Proponiamo, per gentile concessione, la commemorazione che Rosario Quaranta tenne nella chiesa di San Francesco di Paola in occasione del trigesimo della morte di P. Stea (9 gennaio 1998).
PADRE FRANCESCO STEA DE I MINIMI
(Sannicandro di Bari 1 aprile 1915 – Grottaglie 10 dicembre 1997)
Pur benché senza premi, e ricchi onori,
tessiam degni lavori,
per cui l’antico studio si richiama,
seguendo nostra propria alma vaghezza,
che ha l’origine sua chiara, e celeste;
e fra colpi e tempeste
di Fortuna, a cacciarne al fondo avvezza,
spieghiam l’intensa voglia
del saper puro, ond’altri anco s’invoglia
a poggiar l’erta, erma e spinosa strada,
sol ch’a virtute, e a gloria indi si vada.
(Gherardo Degli Angioli)
Questi versi di Gherardo Degli Angioli, poeta e oratore del secolo XVIII, discepolo di Giambattista Vico e, come P. Francesco Stea, religioso dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, esprimono bene la figura umana, spirituale e culturale dell’uomo, del sacerdote, dello studioso: una vita dedicata, oltre che al ministero sacerdotale e al magistero per tante generazioni, alla Cultura vera, a quel Saper puro, a quell’antico studio che si coltiva con sacrifici immani, fra colpi e tempeste di Fortuna, senza finalità di ricchezza o di onori, ma per esclusivo gusto e vaghezza delle cose buone e belle, e per condurre alla virtù.
La notte tra il 9 e 10 dicembre 1997 si spegneva improvvisamente Padre Francesco Stea, dei Minimi lasciando addolorati e sgomenti tutti. I confratelli anzitutto, i parenti, i numerosissimi amici di Grottaglie e delle città vicine, gli ex alunni e quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzarne le grandi qualità dell’animo e della mente come religioso, sacerdote, educatore e uomo di cultura.
Ma chi era veramente P. Stea? Sembrerà del tutto inutile e fuori posto questa domanda; tuttavia perché il tempo non sbiadisca la sua memoria, è doveroso tributargli, in attesa di una successiva e più completa ricostruzione biografica e intellettuale, questo modestissimo omaggio commemorativo anche come segno di riconoscenza per tutto ciò che egli generosamente ha dato e ha fatto per Grottaglie.
Padre Francesco Stea, che a giusto motivo possiamo considerare grottagliese, nacque a Sannicandro di Bari il 1 aprile 1915 da modesta famiglia, “figlio – come egli stesso ha scritto – di umile gente, di modesti, coraggiosi e tenaci operai, muratori sbattuti dalla bufera e dalle angustie di chi cerca e non trova, di chi vuole e non ha per vivere almeno decorosamente”.
Entrò giovanissimo nel Collegio dell’Ordine dei Minimi a Paola, compì gli studi liceali, filosofici e teologici a Palermo dove venne ordinato sacerdote dal cardinal Luigi Lavitrano il 24 luglio 1938.
Passò poi nel convento di Paola. Dopo una breve permanenza a Bari, fece parte della comunità dei Minimi di Taranto (1941 – 44 ), durante i quali, insieme con altri religiosi, riaprì il convento dei Paolotti di Grottaglie (novembre 1943). Dal 1945 al 1951 fu a Milazzo in qualità di rettore del santuario di San Francesco di Paola; dal 1952 al 1958 tornò di nuovo a Taranto dedicandosi instancabilmente al ministero sacerdotale, in particolar modo alle confessioni e alla sacra predicazione. Dopo un altro soggiorno a Bari, venne definitivamente in questo convento grottagliese (1961) dal quale non si allontanerà più, legandosi così in modo duraturo alla Città della ceramica che ha sempre considerato “sua”, e dove ha lasciato una larga eredità di affetti e di stimoli umani e culturali. Il 17 marzo 1963, a quarantotto anni, si laureò in Lettere a Bari, discutendo una tesi sulle soppressioni religiose e l’evoluzione agraria del secolo XIX in Puglia.
A Grottaglie Padre Stea ha avuto modo di educare e guidare spiritualmente per 36 anni generazioni intere come docente nel Collegio dei Minimi e nella Scuola Media “Pignatelli”; come parroco e superiore, come cappellano nell’Ospedale San Marco e, infine, come studioso particolarmente versato nella storia dell’Ordine e locale, e nella letteratura italiana e latina. Brillante oratore e conferenziere, si distingueva per la forbita eloquenza, per l’efficacia e la piacevolezza della parola.
Il rifiorire degli studi storici e letterari a Grottaglie, ma anche nella provincia e nella regione, si deve anche in buona parte a questo erudito quanto semplice e generoso religioso che, senza far pesare la sua grande preparazione culturale, ha saputo infondere l’amore per il vero e il bello, grazie anche alle numerosissime pubblicazioni che onorano l’Ordine dei Minimi e la stessa Grottaglie.
Ricordiamo le opere: Il chiostro di S. Francesco dì Paola in Grottaglie (Schena editore, Fasano, 1974 ); Soppressione religiosa ed evoluzione agraria in un comune del Mezzogiorno (Schena editore, Fasano 1975); Un monumento barocco a Grottaglie (Schena editore, Fasano 1979); Amministrazioni e amministratori postunitari Grottagliesi (con Luigi Galletto, vol. I, Cressati. Taranto 1980; vol, II, Schena editore, Fasano 1983; vol. IlI, Schena editore, Fasano 1985); Tolti dall’oblio, letterati del Seicento italiano (Tip. Tiemme, Manduria 1986, con Rosario Quaranta); Alla scuola di G. B. Vico, Gherardo Degli Angioli poeta ed oratore (Congedo editore, Galatina 1988, con Rosario. Quaranta); Il quadrante nel chiostro (autobiografia con lo pseu¬donimo di Minimo Chierico, Congedo editore, Galatina, 1990); I predicabili su San Francesco di Paola nei secoli XVI e XVII, in Fede, pietà. Religiosità popolare e San Francesco di Paola, Atti del II Convegno Internazionale di Studi, Paola, 7 – 9 dicembre 1990, (Roma 1992, pp. 356 – 377); Grottaglie, la primogenita dell’Archidiocesi tarantina, in Taranto, la Chiesa / le chiese, a cura di C. D. Fonseca, (Mandese editore, Taranto 1992, pp. 357 – 389); Sannicandro di Bari (Lacaita editore, Manduria 1992); Orazio. Odi ed epodi (Congedo editore, Galatina 1988); Orazio. Le satire (Lacaita editore, Manduria 1992); Francesco da Paola. Prospettive letterarie (Tip. Tiemme, Manduria 1995); Il solco sotto traccia (Tip. Tiemme, Manduria 1995); Orazio. Le epistole (Edizioni del Grifo, Lecce 1996); Raminghi per virtù (Tip. Tiemme Manduria 1996).
Un riconoscimento alla sua attività è venuto pochi mesi or sono, nell’estate scorsa (23 agosto 1997), quando gli è stato assegnato il premio alla cultura Giuseppe Battista “Per i suoi studi storici e la sua ricerca per la cultura classica, che lo hanno contraddistinto come Protagonista della riscoperta del Sud”.
Padre Stea ha continuato a studiare e a scrivere fino all’ultimo confidando di poter dare alle stampe uno studio comparato sulla poetica di Giacomo Zanella, Clemente Rebora, Davide Maria Turoldo e Salvatore Mario Trani: la morte, però, lo ha colto la sera del 9 dicembre, dopo pochi giorni di rapida e improvvisa malattia.
Di Padre Stea non potremo mai dimenticare le elette qualità umane: il suo tratto gioviale, la sua bonomia, la serenità, la capacità di intrattenere rapporti amichevoli con persone di ogni età e di tutti i ceti sociali; l’amore per l’arte, per la musica, le sue battute intelligenti e simpatiche, espresse per stemperare momenti difficili, per incoraggiare, per rasserenare, per distendere gli animi, per indirizzare verso i valori umani e religiosi. In ciò fece suo il motto: Castigat ridendo mores, proprio dell’arte e della letteratura classica a lui tanto cara.
Una invidiabile apertura mentale gli consentiva di evitare da una parte quegli sterili moralismi che spesso allontanano dalla religione invece di avvicinare; dall’altra l’acritica accettazione di ogni novità in campo religioso, sociale e culturale, preoccupato come sempre di coniugare le esigenze dell’umanità e della trascendenza, della ragione e della fede, della società e della Chiesa da lui vista sempre come madre premurosa e affettuosa, dell’uomo alle prese con i tanti problemi e del sacerdote attento ai segni dei tempi.
Un amore particolare aveva per l’Ordine dei Minimi e per il suo Patriarca San Francesco di Paola. Della sua famiglia religiosa conosceva come pochi la storia, le vicende, i personaggi, i monumenti.
Naturalmente noi grottagliesi saremo particolarmente grati a Padre Stea per aver riaperto, cantato e illustrato con la sua attività questa chiesa e questo convento. Nella nostra città nominare Li Paulini, la chiesa o il convento di San Francesco dì Paola ha significato dire semplicemente, in una immediata associazione di idee, Padre Stea.
Oggi gli ampi corridoi e ambienti conventuali, ma anche le strade adiacenti e la città stessa di Grottaglie sentono la sua mancanza e avvertono un vuoto che difficilmente potrà essere colmato.
Di Grottaglie P. Francesco Stea si è sempre sentito figlio: amava non solo questi sacri ambienti, ma l’intero paese, la sua storia, i suoi monumenti, le contrade del territorio che conosceva meglio di noi, la cultura contadina, il corposo dialetto, la civiltà della ceramica, i tanti personaggi storici antichi e moderni che l’hanno resa, diciamolo pure, importante. Spesso Grottaglie costituiva argomento delle comuni riflessioni, e quando nelle frequenti e quasi quotidiane conversazioni mi capitava di aggiun¬gere qualche altra notizia storica relativa a qualsiasi momento, luogo e figura del nostro paese, notavo nei suoi occhi quell’at¬tenzione, quella curiosità, quell’interesse che solo un figlio poteva manifestare per la sua madre amata.
Un esempio eloquente del suo amore per Grottaglie è possibile osservare in molti suoi scritti; mi permetto solo di cogliere poche felici espressioni tratte dalla sua opera più nota, Un Monumento barocco.
“Su una di queste colline, dove profuma il timo ed olezzano il serpillo e la nepitella, chi dal Galeso s’inoltra verso Oriente, Grottaglie assidersi vede, a chiusura di quello scenario, che, a destra, s’apre con San Giorgio Ionico, s’alza a Roccaforzata e si solleva a Monteparano, s’abbassa a Carosino e a Monteiasi, per risalire a Montemesola; in fondo, a manca, la cornice dei Monti di Martina.
Tre gli aspetti tipici della cittadina: quello antico, di quasi un millennio, groviglio di vie e viuzze che s’intersecano l’una nell’altra, come a formare un dedalo intricato, dal quale è difficile uscire; abitazioni ancora assai modeste, silenziose e taciturne. Sotto i merli dell’antico maniero medievale, le botteghe dei fìguli: grotte scavate nel ventre della roccia, annerite dal fumo delle fornaci, quasi antri preistorici, in cui pare nascondersi il mostro omerico dell’Odissea,
Il terzo è il rione alto “de le case nove”, dove Grottaglie va ogni giorno più estendendosi: dimore tenute costantemente linde e pinte, “allattate”, di frequente, specie, nelle maggiori solennità dell’anno; balconi infiorati di garofani e di gerani sempre verdi; in tali vie incrociantisi a scacchiera, secondo il criterio dell’ur¬banistica moderna, campeggiano, nello sfavillio della più recente policromia, alcuni importanti edifici.
Tre pure le antiche contrade storiche: la discussa Rudiae, situata sulla Via tarantina; Mesocoron, sull’Appia, entrambe rase al suolo negli anni funesti “di rabbiosi e cruenti conflitti”, che seguirono alla caduta dell’Impero Romano; poi Salete, danneg¬giata, ma non distrutta. Furono questi i tre nuclei principali dell’odierna Grottaglie. E con la storia s’intreccia la leggenda, e la toponomastica antica, alterandosi con il tempo, diede vita e nome agli abitanti di Rudiae in Rusciu, divenuta, in seguito “Riggio”, Casale Magnum, oggi Grottaglie, e Casale Parvum, ora lama di Pensieri…”
E alla fine, egli conclude la sua presentazione di Grottaglie con una riflessione davvero bella: “Se Orazio (il suo Orazio, l’autore latino più amato e studiato, croce e delizia della vita intera) tornasse a vivere, forse, non disdegnerebbe di venire ancora a dorso di mulo dalla sua Venosa a Taranto per gustarne il mare, il pesce squisito e i frutti fragranti; egli darebbe una sferzata ancora al suo paziente mulo e tirerebbe sino a questo poggio, sul quale, se non arride il mare con i suoi riflessi d’argento, ne invitano la salubrità dell’aria e la tranquillità del luogo”!
Ma P. Francesco Stea, è stato il cantore di questa chiesa e di questo convento di S. Francesco di Paola che contribuì a riaprire. Ecco come egli stesso racconta quell’esperienza del lontano scorcio d’estate del 1943:
“Nella suggestione delle ombre in fuga del chiostro, sotto le volute cupe delle arcate, lo spirito parla e i fremiti dell’arte, al declino, scuotono le ossa. Uomini, donne, nobili e signori, re e regine, fanciulli, giovinetti, persone d’ogni ceto, sulle pareti, nei riquadri delle lunette, al visitatore, attonito e curioso, parlano barocco.
La tristezza del crepuscolo dell’incipiente autunno 1943 avviluppò chi, per la prima volta, poneva il piede nel buio dell’eremo; l’inconscio dello spinto restava sommerso nelle cadenze degli spettri murali e sorpreso nello scorgere i frammenti delle singhiozzanti didascalie, mozzate e sbilenche dietro l’amaro della calce, asfissiate dal fumo e dalla fuliggine. L’incubo della guerra finiva, la vita riprendeva serena e tranquilla nella pace beatificante; in un angolo remoto e riposto l’elevazione trovava la sua fonte essenziale e il sito più idoneo per l’estasi. Era come rinascere, superato lo smarrimento del primo entrare nella solitudine; la notte avvolgeva tutto in un immane silenzio”.
In questo convento pochi coraggiosi frati : II P. Antonio Sirico, parroco della chiesa di San Francesco di Paola in Taranto.
“Compagno gli fu il P. Salvatore Mozzillo; in seguito altri se ne aggiunsero, dandosi il cambio, non sempre gradito, settimanalmente da Taranto.
Ci si adattò nel sottostante vano delle campane, dov’era un focolare, intorno al quale si conveniva per riscaldarsi nelle lunghe e fredde sere d’inverno. Il locale attiguo serviva come dormitorio, sala da pranzo e sagrestia (….). Il nostro pensiero corre a quanti generosamente sovvenivano alle necessità in cui si trovavano i frati nello squallore del dopoguerra: a quei giovani che, entusiasti di vera e sentita pietà cristiana, si stringevano a noi d’intorno, riscaldandoci con il loro affetto e stima, e più, alle famiglie del vicinato, che gareggiavano perché non si avvertissero le ristrettezze dell’ambiente e del tempo”.
Fortunatamente i tempi cambiarono, e in meglio, grazie all’opera silenziosa e concreta di tanti religiosi Minimi che si sono succeduti in questo convento e in particolare alla lunghissima presenza di P. Stea che molti concittadini hanno identificato tout court con questo sacro luogo, questo Monumento Barocco a Grottaglie, da lui studiato e divulgato fuori delle mura cittadine grazie alla meritoria omonima pubblicazione.
Sarebbe troppo lungo ricordare le testimonianze di affetto e devozione di P. Francesco Stea per il Santo Patriarca S. Francesco di Paola: dagli innumerevoli panegirici da lui recitati in tante chiese e basiliche, agli studi dedicati, e in particolare al voluminoso S. Francesco di Paola. Prospettive letterarie; del suo Santo riesce a cogliere i tratti autentici e più importanti:
“A meravigliare e a stupire non sono solo i prodigi e i portenti, quanto più l’azione sociale dell’uomo singolare, il cui cuore ardeva di amore e carità, fiaccola che alimentò, sin dal suo nascere, il Serafino sorto dai gioghi aspri della Calabria, perciò l’animo suo adamantino sente anche la forza di reagire e di resistere alle lusinghe e profferte che gli provenivano dai potenti (…). Onusto di anni ormai, trasmi¬grando dal suo luogo natio, attraverso la Lucania nel Napoletano, per Roma, la Liguria, a Genova, nella Francia, a Marsiglia, Lione, Tours, dovunque lascia l’orma del suo zoccolo miracoloso, come colomba col ramoscello dell’olivo della pace sulla bocca.
Francesco se ne muore. Di venerdì santo nasceva e di venerdì santo trapassa; Cristo sulla Croce, Francesco d’Assisi sulla nuda terra, non diversamente Francesco di Paola spirante sul pavimento del coro conventuale, e ai frati circostanti raccomanda la carità e la penitenza, guiderdone di vita e speranza certa di immortalità. Egli non ha avuto un cantore pari a Dante, il quale se l’avesse conosciuto, sarebbe certamente uscito in accenti non meno ispirati con cui esaltò il Santo della Verna. Il cruccio piuttosto un altro: il numero assai esiguo, che va assottigliandosi tristemente, di quanti militano sotto le sue gloriose insegne; se, però, la penitenza, il cui valore è sempre attuale, resterà linfa alimentatrice della minimitica famiglia, essa non si estinguerà. In tempi come gli attuali, ammalati di benessere e di sovrabbondanza, di uomini penitenti e mortificati il mondo ne ha di bisogno; i veri valori dello spirito non tramontano mai”.
Mi piace chiudere questo ricordo di Padre Stea con alcune sue dolcissime espressioni rivolte alla Vergine Santa tratte dal bel volume autobiografico Il quadrante nel chiostro, espressioni che presentano nitidamente l’uomo e il sacerdote:
“II dolore e la sofferenza sono la lezione sempre dura e difficile per me a capirsi; ho saputo considerare altri; forse sarò riuscito pure a confortare e a consolare, ma provarli no! La sofferenza l’ho vista e considerata, ma… in altri; sono pure riuscito a sollevare dal letto del dolore, il dolor mio, no! Una riluttanza più forte di me (…).
La maestà dì Dio mi ha sempre soggiogato e non mi sono rivolto a Lui direttamente, ma tramite intercessori, in particolar modo la Vergine Madre sua. Nelle vicissitudini della vita, Lei ho sempre invocato e, ripetutamente, con la recita della corona, anche completa delle quindici poste; durante la lunga degenza del mio male. L’ho tempestata fino ad annoiarla anche e senza alcun rispetto umano; mi hanno così visto medici, infermieri e ammalati: “Ave Maria”, pur se recitata meccanicamente, con la volontà e con cuore aperto, fremente di devozione e di pietà.
Gli accenti sublimi che soddisfano appieno il cuor mio sono versi immortali con i quali ho imparato sin dalla giovinezza nel rivolgermi a Lei:
“Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio, umile e alta più che Creatura, termine fisso d’eterno consiglio. Tu se’ Colei che l’umana natura nobilitasti si che ‘l suo Fattore non disdegnò di farsi sua Fattura”.
E davvero in questo atteggiamento di preghiera e di contem¬plazione, per singolare grazia della Vergine, così a lungo invocata, egli ha chiuso i suoi occhi, il 10 dicembre scorso, assistito amorevolmente dai suoi confratelli e dagli amici più cari, consegnando un esempio meraviglioso di speranza e di edifica¬zione religiosa, A noi non resta che sussurrare un grazie per tutto ciò che egli ha fatto e che continuerà a fare con le opere, con gli insegnamenti, con gli esempi e, ancor di più, con la guida serena e forte che dal Cielo non farà mancare a quanti lo hanno conosciuto e amato.
Se poi a questo tacito e doveroso ringraziamento Grottaglie volesse far seguire una esternazione più concreta, niente di meglio che pensare alla intitolazione di una via col suo nome, possibil¬mente vicino al suo convento e alla sua chiesa; e sarebbe davvero cosa lodevole che l’Amministrazione Civica, aggiungesse al gesto di squisita sensibilità e attenzione dimostrata in occasione della sua tumulazione nella tomba comunale, l’assegnazione post mortem della cittadinanza onoraria grottagliese in virtù delle tante benemerenze acquisite. Auspicabile pure un convegno di studi sulle varie opere di R Francesco Stea, in specie su quelle riguardanti la realtà grottagliese.
Ai confratelli e agli amici l’augurio e l’invito a non disperdere la sua eredità religiosa, umana e culturale:
A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti…
20 ANNI DOPO… UN AUSPICIO
Bisogna riconoscere che Grottaglie ha mostrato gratitudine verso questo importante personaggio e concittadino onorario.
La Città della Ceramica, infatti, in segno di apprezzamento e di rispetto, gli ha conferito la cittadinanza onoraria post mortem il 21 aprile 1998, su petizione popolare promossa per iniziativa di chi scrive. La petizione, firmata da oltre 500 concittadini di tutti i ceti sociali, venne votata all’unanimità e per acclamazione nel Consiglio Comunale riunito in quella data in sessione straordinaria, alla presenza di numeroso pubblico.
L’anno successivo (18 febbraio 1999), a P. Stea è stato dedicato nella chiesa di San Francesco di Paola un apprezzato e affollato convegno che vide la partecipazione di importanti personalità dell’Ordine e della cultura e i cui Atti vennero pubblicati nel volume “Il viaggio di Minimo Chierico. P. Francesco Stea”, Edizioni del Grifo, Lecce 1999.
A distanza di tanti anni permangono, inoltre, ancora vivi e incancellabili la sua figura, il suo esempio e i suoi insegnamenti: preziosa eredità umana, culturale e religiosa non solo per la sua amatissima Grottaglie, ma anche per il nostro Sud.
Appare, pertanto, più che opportuno e doveroso riconoscere a questo esemplare religioso e profondo studioso, a venti anni dalla morte, un ulteriore attestato di benemerenza che, differito negli anni, non è stato finora realizzato, e cioè l’intitolazione da parte dell’Amministrazione Comunale di Grottaglie di una via o piazza della Città.
“Quod est in votis!”
Rosario Quaranta