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Commentare la vicenda che riguarda il futuro dell’ILVA senza guardarla nel suo complesso nazionale e soprattutto europeo rischia di incupire uno scenario già notevolmente ricco di incognite. Per questo è opportuno richiamare il contesto in cui si è determinato e formato il Bando di gara per la vendita degli stabilimenti ILVA in Italia e il successivo Contratto di vendita.” Così il segretario della CGIL di Taranto, Paolo Peluso che sul dibattito di questi giorni torna ponendo la questione dal punto di vista sindacale.

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Il contratto di vendita di cui tutti oggi parlano è il frutto di un Bando di gara condizionato in ogni suo passaggio dalle indicazioni della Comunità Europea che ha ragionato in questo caso in termini di regole di mercato – spiega Peluso – avvertendo inoltre l’Italia che se quei pre-requisiti non si fossero attuati si sarebbe trovata di fronte alla già avviata procedura di infrazione per “aiuti di Stato” monetizzabile in circa 5 miliardi di euro di multa.

La Comunità europea poneva condizioni chiare che nessun Governo avrebbe potuto variare: non si sarebbero potuti porre dei condizionamenti sul numero dei dipendenti, né sulla quota di stabilimento da acquisire, e si sarebbe dovuto procedere in discontinuità nei rapporti di lavoro come previsto peraltro dalle stesse norme italiane della Legge Marzano relativa alle vendite per complessi industriali in amministrazione straordinaria. Tuttavia in deroga proprio a quest’ultimo aspetto il Contratto di vendita ha introdotto alcuni elementi di garanzia per i lavoratori. Ovvero non si possono avviare licenziamenti collettivi per tutto il periodo di realizzazione del piano industriale proposto da Mittal, si devono assumere almeno 10mila addetti (a fronte degli 8.500 proposti da Mittal), non è necessario concludere l’iter di contrattazione con le parti sociali entro i 10 gg. previsti dall’art. 47 della Legge 388, e soprattutto per perfezionare la vendita è necessario e vincolante il contratto con i sindacati.

Bando e Contratto sarebbero stati dunque secondo la CGIL coerenti con i diktait imposti dall’Europa e a cui sarebbe stato molto complicato sottrarsi.

Ma ora  – dice il segretario della CGIL tarantina – in quella contrattazione ci siamo con le nostre categorie nazionali e in quella sede abbiamo già ribadito che non ci può essere nessun tipo di scambio o di svendita rispetto al Piano Ambientale e che non ci possono essere deroghe a quegli adempimenti di sicurezza e tutela della salute e dell’ambiente nel tentativo di soddisfare l’obiettivo della massima occupazione. Ma al miglior risultato possibile noi dobbiamo tendere. Dal punto di vista salariale e normativo e partendo da quei 10mila in su perché consideriamo insufficienti quei numeri ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano Industriale di AM InvestCo.

Ribadito ciò – conclude Peluso, sarebbe opportuno sostenere l’iniziativa sindacale, dargli forza e non delegittimarla, affinché al tavolo con gli acquirenti le ragioni dei lavoratori e dei cittadini possano arrivare con forza e determinazione. E’ la strada che con intelligenza tutti dovremmo perseguire svestendoci di casacche e strumentalizzazioni inutili.”

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