Chi oggi ha meno di trent’anni, probabilmente non ricorderà un mondo di fame in cui non esistevano computer o telefoni cellulari. Meno di mezzo secolo fa esistevano agende per segnare gli appuntamenti e rubriche per annotare i numeri telefonici di amici e parenti, tutte rigorosamente cartacee.
La discussione su come e quanto la disponibilità di nuove tecnologie abbia influito sulla nostra capacità di utilizzare la memoria è per alcuni stucchevole ma certamente opportuna, anche in considerazione di nuovi modelli didattici in cui le poesie – un tempo mandate a memoria – trovano sempre meno spazio.
Tramandare il sapere in tempo di fame
Grandi capolavori della letteratura, come l’Iliade o l’Odissea, prima di essere immortalati su carta, vennero trasmessi oralmente di generazione in generazione, e fino al secolo scorso anche nelle nostre città – complice la scarsa alfabetizzazione – i fatti di cronaca più salienti erano raccontati da cantastorie ambulanti, che non di rado allestivano una vera e propria “scena del delitto” per raccontare con dovizia di particolari gli eventi più cruenti.
Ancora oggi, in molte popolazioni, coloro che conservano e tramandano il sapere e le esperienze degli antenati sono tenuti in grande considerazione e consultati quando si abbia necessità di un consiglio o un parere su come affrontare una particolare situazione.
Il ritmo del lavoro
Questa trasmissione orale avveniva spesso – dalle nostre parti – nelle sere d’estate, seduti davanti alla porta di casa in cerca di un po’ di frescura, oppure d’inverno, davanti al camino o stretti intorno ad una “fracera”, quando i nonni raccontavano ai nipoti favole e leggende, ed i genitori ammaestravano i figli sui fatti della vita.
Durante il giorno invece, spesso questi racconti erano la “colonna sonora” del lavoro nei campi; la loro composizione in rima ne permetteva da una parte una più facile memorizzazione, e dall’altra conferiva loro una metrica che li faceva utilizzare come un utile espediente per dare un ritmo uniforme a lavori che dovevano essere eseguiti da più persone in maniera sincronizzata.
Così, in America nacquero il blues e gli spirituals, e così in Italia abbiamo avuto i canti delle mondine che affrontavano le loro dure giornate di lavoro con canzoni che parlavano di amori perduti e di proprietari terrieri senza scriupoli.
La trasmissione della memoria
Come è facile immaginare, ad essere tramandati nel tempo erano i fatti di cronaca più eclatanti, non di rado a metà tra realtà e fantasia, utilizzati per deplorare le ingiustizie ed esaltare le virtù.
Ne è un esempio quello che vi proponiamo nel nostro podcast, tratto dalla raccolta dei racconti della tradizione popolare grottagliese curata da Pietro Pierri e data alle stampe grazie al patrocinio della Pluriassociazione San Francesco de Geronimo.
Un artigiano ceramista cade in miseria, tanto da non avere neppure un tozzo di pane per sfamare la sua famiglia. Uno dei figli muore di fame e lui – insieme ad altri disperati – assalta i magazzini del clero locale in cerca di un po’ di cibo.
Scoperto viene bandito dalla città, e per sopravvivere – per lunghi anni – remerà sulle navi dei Saraceni che lo tratteranno con più umanità dei suoi concittadini.
Ma la nostalgia di casa e troppo forte e dopo quindici anni torna a Grottaglie per poter morire nella terra che gli diede i natali, facendo una ultima, amara considerazione sull’animo umano.
Buon ascolto!