Calabrese. Era nato a Cosenza il 30 maggio del 1933. Proviene da uno profondità di studi che ha visto il Liceo Bernardino Telesio di Cosenza al centro della sua formazione. Le sue origini erano Italo – albanesi. Una famiglia dalla tradizione liberale e cattolica di un piccolo paese Arbereshe, San Benedetto Ullano.
Stefano Rodotà è scomparso il 23 giugno a Roma dove viveva. Una storia che lo ha sempre caratterizzato tra il mondo giuridico, nelle diverse Università sino ad approdare a Roma, e i diversi incarichi istituzionali alti in una visione della politica che trova nella cultura radicale di Mario Pannunzio dei punti di riferimento forti.
È qui, nella struttura e nel pensiero pannunziano, che si apre ad una dialettica forte sino poi a rivolgersi alla sinistra comunista e viene eletto nelle liste di questa sinistra, anche come indipendente, in più legislatura rivestendo ruoli di primaria importanza. Eletto anche al parlamento europeo.
Certo, le nostre posizioni culturali sono state e sono completamente divergenti, ma Rodotà era una intelligenza lungimirante e, vissuto in una famiglia con profonde tradizioni religiose cattoliche e ortodosse, raccoglieva con molta sapienza la dialettica.
I suoi interessi primari restarono i suoi studi, il pensiero giuridico, e i processi politici che si focalizzeranno sul concetto di democrazia e di diritto alla cittadinanza democratica. I suoi studi e i suoi testi si basano proprio intorno a tali principì di valori. Uno dei suoi testi riepilogativi e “tracciabili” è, senza alcun dubbio: “Libertà e diritti in Italia. Dall’Unità ai giorni nostri”, del 1997. Intorno a queste valenze storiche si afferma la sua ricerca e le numerose proposte nascono da questa base tra storia e politica, tra storiografia e contemporaneità. La sua resta un percorso chiaramente giuridico, ma ha nel suo interno una identità umanistica.
Scriverà, infatti, che: “Se i diritti fondamentali vengono cancellati dal denaro e la democrazia cede alla dittatura, presto nessuno sarà più libero”. I diritti umani sono le valenze che pongono al centro l’uomo. Sia sul piano del diritto sia su quello antropologico. Un intreccio alla cui base il legame tra democrazia e libertà diventa fondamentale soprattutto quando afferma: “La persona è irriducibile alla logica di mercato”. La persona come metafisica nella ricerca dell’identità i suoi libri testimoniano tutto ciò.
Penso ad uno dei suoi primi testi a “Il diritto privato nella società moderna”, del 1971, a “La vita e le regole. Tra diritto e non diritto”, del 2006, a “Dal soggetto alla persona, del 2007, a “La rivoluzione della dignità”, del 2013, a “Solidarietà. Un’utopia necessaria”, del 2014 sino al libro del 2018 dal titolo: “Vivere la democrazia”. Un fenomeno giuridico che Rodotà trattò sempre attraverso il filtro della filosofia.
Sapeva con acutezza essere critico a tutto tondo.
Così: “Un principio inaccettabile per la sinistra è la riduzione della persona a homo oeconomicus, che si accompagna all’idea di mercato naturalizzato: è il mercato che vota, decide, governa le nostre vite. Ne discende lo svuotamento di alcuni diritti fondamentali come istruzione e salute, i quali non possono essere vincolati alle risorse economiche. Allora occorre tornare alle parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza, libertà e fraternità, che noi traduciamo in solidarietà: e questa non ha a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale che favorisce i legami tra le persone. Non si tratta di ferri vecchi di una cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali aggiungerei un’altra parola-chiave fondamentale che è dignità“.
Ebbi modo di incontrarlo quando nel 2005 istituimmo al, e per il, Mibac il Comitato per la salvaguardia e tutela delle minoranze linguistiche. Si portava dentro quelle sue radici di Calabria, quelle radici di famiglia che avevano la profondità albanese.
D’altronde la sua famiglia ha dato un contributo notevole al “rinascimento” liberale albanese soprattutto nel tempo del Risorgimento italiano.
Infatti sulla presenza degli Italo – albanesi all’Unità d’Italia ci soffermammo e pensammo anche ad un convegno. Le sue connotazioni politiche portavano lo scavo del confronto tra liberalismo, socialismo e presenze cattoliche.
Si soffermava spesso su questa dimensione: “Un innegabile bisogno di diritti, e di diritto, si manifesta ovunque, sfida ogni forma di repressione, innerva la stessa politica”. Il suo concetto, comunque, scavava su questo pensiero: “Una delle virtù della democrazia, ineliminabile, consiste nel fatto che ciascuno deve essere esposto alla maggior quantità possibile di opinioni diverse”.
Completamente divergenti, come ho sottolineato già, le nostre visioni, quelle volte che abbiamo avuto l’opportunità di incontrarci la centralità dell’umanità (e dell’essere calabresi di Cosenza) aveva il sopravvento sulle idee. Un signore con grande stile che spaziava nel diritto e nelle antropologie del diritto. La politica era una volta una antropologia del diritto come scelta e come destino.