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Totò a 50 anni dalla scomparsa, ovvero Antonio de Curtis nel personaggio esemplare di Totò. L’ironia e la poesia sono un colloquiare tra le linee del sorriso – consapevolezza del sogno tragico. Un personaggio complesso. Un attore mai attore sul senso tout court del termine, ma personaggio che recita la vita. O meglio che lascia che la vita si rappresenti nella sua sfaccettatura con le maschere e con gli specchi.

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Non c’è l’umorismo filosofico pirandelliano nel suo dire e nel suo essere come umorismo di sorrisi vani. L’umorismo nella ironia tragica del quotidiano, (cfr. anche Petrolini), vivere è già oltre il riso – sorriso, ma è anche consapevolezza del senso inquieto del vivere. Intorno alla figura di Totò, al personaggio Totò, ci sono dimensioni teatrali, letterarie e chiaramente cinematografiche. Ma Totò nasce nella letteratura. Il Totò poeta e drammaturgo. Ovvero nei linguaggi e nella gestualità di un pirandelliano modello in cui sembra incrociare Ionesco e Kafka. O meglio l’assurdo e l’enigma.

È un dato letterario di non poca rilevanza sino a toccare uno scrittore italiano che è sulla linea del “gioco” fittizio e reale della vita – letteratura: Tommaso Landolfi. Landolfi e il gioco.
È chiaro che Totò incarna la “napoletanità” nella gestualità , e nel linguaggio poetico, di Eduardo Scarpetta. Ma Napoli è il centro della recita trecentesca e barocca e rivoluzionaria.
La napoletanità è la “bufera” della metafora nerudiana della maschera di Troisi, ma è anche l’eccezionale messa in scena del salotto Serao e delle gesta di Eduardo Scarfoglio, inquieto esploratore dei mondi sommersi e viaggiatore elettrizzante – estetizzante con D’Annunzio, che intreccia la scena, la ribalta, il retroscena.
Totò, comunque, conosce l’incastro sottile e letterario che si vive tra il Pirandello della maschere muse nude e Eduardo De Filippo nel suo equilibrio di un riso terribilmente ironico inquieto.

Come Pirandello non è essenzialmente teatro dell’umorismo, ma dell’ironia tragico, Totò rappresenta il sorridere nella consapevolezza della tragico nella solitudine delle vite. E non è solo cinema. Credo che bisogna partire da un “ritaglio” di fondo che è quello letterario.
Non c’è uno spartiacque definito tra Pirandello De Filippo Totò e Eduardo Scarpetta. È la recita propriamente mediterranea sicula – campana alla quale aveva dato un forte contributo Giovanni Boccaccio nel suo abitare luoghi e personaggi napoletani con una Fiammetta popolano.
Totò in fondo conosce molto bene questi ruoli e queste appartenenze e rende il tutto in una intelaiatura in cui il linguaggio e la fisicità dei gesti restano fondamentali.
Totò crea un linguaggio rompendo tutti gli schemi semantici. La sua è propriamente una lingua non solo popolare ma ironico – aristocratica. Può sembrare strano ciò. Ma il popolare e il nobiliare sono parte integrante di quella “livella” che è la filosofia del quotidiano.
Per questo credo che non si può prescindere da una visione letteraria in cui la lingua e il linguaggio dei gesti e delle forme sono rappresentazione di una estetica dei personaggi, del personaggio Totò e dell’uomo Antonio de Curtis.

Certo, ritornerò a scrivere e a parlare in più occasioni su Totò, Antonio de Curtis (per abbreviazione perché i titoli e i nomi sono molti), e su questi percorsi.
Totò era nato a Napoli il 15 febbraio 1898 e morto a Roma il 15 aprile del 1967. Un personaggio oltre la maschera stessa. Sempre nostro ironico e italico contemporaneo.

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