“Non si è soli se qualcuno se ne è andato, si è soli se qualcuno non è mai venuto”. Sono le parole di una stupenda canzone di Roberto Vecchioni a sembrarmi il commento più adeguato all’ultima fatica letteraria di Alfredo Annicchiarico.
“Tanto fra un po’ piove” (Gelsorosso Editore) è una storia di solitudini scelte e subite, imposte e sfuggite, reali e virtuali. Solitudini a cui la pioggia del titolo a volte fa da sipario ed altre volte da palcoscenico. Una pioggia tante volte evocata in film e canzoni, da Jovanotti ad Achille Togliani, da Fred Astaire a Frankenstein Junior, un po’ come l’amore, che troppe volte ci illudiamo sia dappertutto e per sempre, ed invece l’Amos Oz citato in apertura del romanzo ci rivela stretto e angusto.
Ancora una volta Alfredo Annicchiarico ci racconta storie normalmente straordinarie, con personaggi che vivono una vita che “corre lungo l’asse del paradosso di un futuro già vissuto, estratto da un passato a volte complicato da ricostruire” . Come in ogni opera d’arte che sia tale, a contare non sono solo i protagonisti principali, ma anche quelli solo apparentemente secondari, ed anche in questo Alfredo mostra il suo talento ed il suo mestiere, raccontando con pochi e sapienti tratti l’attore bullo e quello sulla cresta dell’onda, il telegiornalista che scava nelle miserie altrui per scovare oscene sventure da dare in pasto ad un pubblico sempre più affamato di emozioni posticce utili a cloroformizzare mente e cuore, l’agente cinico e il prete saggio e pratico, personaggi di un presepe descritto con capacità quasi pittorica, che si tratti dei binari della stazione Termini, dei pomeriggi ferraresi o della campagna toscana.
“Tanto fra un po’ piove” capovolge l’iceberg che custodisce i momenti importanti dell’anima dei protagonisti e li svela con attenta prudenza, come un chirurgo esperto che voglia andare sino in fondo nella sua ricerca di un qualcosa che forse non sa neppure bene se sia o meno un male, riportando alla luce ricordi che sono “il naturale guardrail che delimita le strade più impegnative della vita”. E forse sono proprio i ricordi a fare la differenza, la parte che il lettore aggiunge ad una storia già ricca, rendendola unica e personale: i ricordi di una Roma vissuta decenni fa e da allora persa e ritrovata come una amante volubile e capricciosa, quelli dell’emozione davanti ai quadri di Hopper e quelli di fronte ad un figlio lasciato bambino e ritrovato uomo, quelli dei libri di Tondelli e quelli della scomparsa della persona con cui credevi di poter vivere tutta la vita. Ricordi che sono emozione ma non malinconia e neppure solitudine o insicurezza, sensazioni che Alfredo Annicchiarico fa raccontare a Nanni e fa riverberare in chi legge, perché che si sia nonni, figli, o nipoti, ciascuno ha la sua parte e il suo alter-ego, e in “Tanto fra un po’ piove” c’è una parte di ciascuno di noi.
Saranno le ultime pagine allora a svelarci che “la vita non può essere sempre e solo sottrazione” e che a ciascuno di noi, per scoprirlo, basta “restare sempre all’erta, con lunga e paziente cura, per non rischiare di perderci il meglio”.
«Ti sei mai chiesto cosa potrebbe significare tornare indietro, anche solo per un attimo? […] Erano ormai mesi e giorni che avevo sempre meno argomenti da scambiare con il mio mondo di allora; anche Benedetta vagava per casa con i capelli legati e gli occhi stanchi e mi passava davanti come un fantasma inquieto e silente. Cristo santo, se l’avessi abbracciata in quel preciso momento! Le avrei affondato il viso tra il collo e la nuca, avrei respirato anch’io la sua stessa solitudine, ma solo per condividerla. Perché qualcuno, un giorno, me l’ha pure detto che soltanto due solitudini che si ritrovano possono affrontare la parte migliore della vita, l’una dell’altra. Invece non l’ho abbracciata. Per giustificare la mia presenza in quello spazio, ho solo dato fiato alla bocca, dicendo una stronzata qualsiasi: “Dovrò portare l’auto al lavaggio” e mia moglie mi ha risposto con un’altra banalità: “Non ne vale la pena, tanto fra un po’ piove”. Mi sono sempre chiesto se quella sua frase fosse stata solo la ratifica di un atto di pura rassegnazione. La resa alla fine del nostro amore. E non c’era più spazio neanche per una speranza sospesa».