Intorno al presente ed al futuro dello stabilimento ILVA di Taranto non si scontrano solo i cittadini divisi tra il desiderio di chiusura dell’insediamento e la speranza della sua ambientalizzazione, ma anche i poteri dello Stato.
Per l’ennesima volta infatti, negli ultimi giorni si è assistito ad una sorta di ping-pong legal-giudiziario tra la magistratura tarantina ed il governo centrale. Oramai da tempo, Roma e Taranto sembrano essere, se non sulla rotta di collisione, quanto meno orientate verso direzioni divergenti, con il Governo che ha inanellato ben otto decreti per assicurare il proseguimento dell’attività dell’Ilva, e le toghe ioniche che invece non fanno mancare provvedimenti tendenti a limitare la produzione e l’esercizio. Ultimo atto dello scontro in questi ultimi giorni: dopo la tragica morte di un operaio, i giudici tarantini avevano disposto il sequestro di AFO/2 senza facoltà d’uso dell’impianto, provvedimento che – di fatto – condannava l’Ilva all’arresto totale della produzione e che a più di qualche commentatore era apparso eccessivo, anche alla luce dei risultati dei primi rilievi tecnici, che non avevano stabilito con certezza le cause dell’incidente costato la vita al trentacinquenne dipendente ILVA.
Dopo pochi giorni, con un decreto, il Governo autorizzava di fatto il proseguimento dell’attività dell’Ilva di Taranto e della Fincantieri di Trieste, due insediamenti produttivi sotto la lente degli inquirenti e la cui attività era stata appunto fermata da provvedimenti giudiziari. Botta e risposta che è proseguito con una mossa a sorpresa del GIP di Taranto, Martino Rosati che, in risposta ai legali dell’Ilva che chiedevano la facoltà d’uso dell’impianto e accogliendo una richiesta della procura ionica, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del decreto legge dello scorso 4 luglio trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale poiché, secondo le toghe tarantine, l’articolo 3 del decreto legge sarebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 4, 32 comma 1, 41, comma 2 e 112 della Costituzione.
A qualche giorno di distanza, e senza che si siano placate le perplessità di chi ritiene che i giudici debbano applicare le leggi emanate dal Governo e non contestarle, ennesimo colpo di scena: i carabinieri entrano nello stabilimento e procedono alla identificazione di 19 operai impegnati a lavorare nella zona sequestrata dalla Procura ionica. Stando all’interpretazione letterale della procedura, avendo il magistrato sospeso il giudizio sulla richiesta di facoltà d’uso presentata da Ilva, il sequestro non ha mai perso efficacia e rimarrebbe quindi confermato lo spegnimento dell’altoforno, già disposto come conseguenza della mancata facoltà d’uso disposta dallo stesso sequestro.
L’azione delle forze dell’ordine non ha mancato di suscitare ulteriori polemiche, soprattutto in considerazione del fatto che ha riguardato una ventina di operai che hanno agito non certo di libera iniziativa, ma seguivano delle direttive aziendali; un blitz mirato a constatare una sorta di “flagranza di reato” è apparso – agli occhi di molti, più un colpo di teatro che una azione giustificata ad interrompere un pericolo grave ed imminente. Proteste dei sindacati di categoria dei metalmeccanici delle sigle CGIL-CISL e UIL, che non ci stanno a vedere gli operai come unici ed ultimi destinatari di un provvedimento al limite dell’intimidazione e prendono posizione sull’accaduto:”Alla luce di quanto accaduto nello stabilimento ILVA sede di Taranto, FIM, FIOM e UILM unitamente alle Segreterie confederali, hanno ricevuto convocazione presso la Prefettura di Taranto, esprimendo forte preoccupazione dei lavoratori tutti. Al tavolo, erano presenti il Prefetto, Il Comitato provinciale Ordine e Sicurezza i quali dopo ampia disamina hanno formulato rassicurazioni circa l’estraneità dei lavoratori ai fatti contestati e che simili azioni non avranno a ripetersi. Ampie rassicurazioni sono state fornite in merito all’accesso su AFO 2 di tutti i lavoratori interessati alle pertinenti lavorazioni. FIM, FIOM e UILM nell’apprezzare la disponibilità manifestata dalle competenti Autorità, auspicano che tutti i soggetti in campo a partire da ILVA mostrino maggiore chiarezza, responsabilità e manifesta collaborazione per il superamento delle forti criticità tutt’ora presenti.”
Anche l’Ilva prende posizione ed in una nota ufficiale ribadisce di aver operato nel pieno rispetto della legalità in ottemperanza alle previsioni del decreto legge 92/15, evidenziando che dipendenti identificati hanno eseguito le previsioni di un decreto Legge normato su presupposti di urgenza. La direzione del siderurgico garantisce la continuità produttiva e la tutela legale dei propri dipendenti, annunciando che fornirà loro la più ampia assistenza.
A tentare di placare gli animi ed a chiarire le motivazioni giungono le spiegazioni del Comando Provinciale dei Carabinieri di Taranto, che spiega le motivazioni dell’intervento dei suoi uomini: “Con riferimento ad alcune attività ispettive svolte, su delega di questa Procura della Repubblica, dagli organi di Polizia Giudiziaria all’interno dello Stabilimento ILVA, si precisa che sono stati effettuati solo accertamenti di carattere assolutamente preliminare in vista di eventuali successive attività di indagine. Tanto è stato precisato nel corso di un incontro tenuto nel pomeriggio odierno in Prefettura, cui sono intervenuti anche i Sindacati, dal comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Taranto.”
Tutto risolto quindi? E’ forse presto per dirlo; di certo c’è che sul futuro dello stabilimento Ilva di Taranto continuano a non mancare dubbi e perplessità, e mentre aziende e lavoratori sono costretti a navigare a vista, tra incertezze del credito e impossibilità di programmare attività a medio e lungo termine, a Taranto come a Roma, qualcuno sta giocando forse una partita che ha una posta diversa da quella che appare puntata sul tavolo.