«Neanche questa iniziativa farà cambiare verso all’Italia: la manovra di stabilità è un provvedimento che non riesce a dare risposte alle esigenze e alle aspettative di un Paese sempre più in affanno». E’ il commento del senatore Dario Stefàno che sottolinea la «evidente dicotomia tra quello che viene annunciato ai media e i provvedimenti realmente previsti».
«E’ una manovra – aggiunge Stefàno – che continua a colpire le fasce più deboli della popolazione attraverso tagli alla sanità, al welfare ed ai servizi, mentre in tv ci si fa vanto della lotta agli sprechi. Si continua a tagliare sulla formazione, sull’istruzione pubblica, sull’Università e la ricerca mentre contemporaneamente si fa partire la campagna “la buona scuola”. La pressione fiscale aumenta, mentre non c’è ancora una solidità delle coperture per i famosi 80 euro, peraltro non per tutti coloro che dovrebbero esserne i naturali destinatari.
“Ci aspettavamo una manovra di cambio di rotta, con una visione ben precisa – prosegue il senatore di SEL – e piena di determinazione, fondata su politiche anticicliche, espansive e , invece, non c’è nessuna traccia di investimenti utili a favorire la ripresa economica. Il numero di emendamenti presentati, circa 4000, peraltro molti a firma di parlamentari della maggioranza, è emblematico di quanto il provvedimento abbia prodotto molti scontenti e pressochè nessuna risposta alle tante e note aspettative.
Auspico che la discussione di questi giorni in Senato ci aiuti a capire meglio anche come si intende trovare soluzione ad alcune questioni importanti e di attualità, tra cui il problema del personale nelle Province, in seguito agli effetti della riforma Delrio, il trasporto pubblico locale, quota96, i tagli ai Patronati.
Non posso che associarmi all’iniziale disappunto delle Regioni – conclude Dario Stefàno – per l’assenza di dialogo con il Governo, pur coltivando la speranza che si possa giungere ad un’intesa ragionevole, perché sarà proprio sugli enti locali e, quindi sui territori, che graveranno molte delle scelte».