Quattro settimane fa iniziava il tempo di grazia dell’Avvento, che è tempo di speranza poiché ci ricorda che il Signore, fedele alle sue promesse di bene, viene a visitarci. Lungi dal considerare il Natale come il tempo di un’attesa inesaudita e che ogni anno tenta di avverarsi, contempliamo in esso il mistero di Dio che si fa uomo per fare noi come Lui. Egli nasce bambino povero così che nessuno abbia a sentirsi a disagio davanti a Lui.
Come predicò l’allora card. Ratzinger “diventando un bambino Dio ci propone di dargli del tu” (Omelia del Natale 1980). La Solennità odierna affonda le sue radici nella tradizione bimillenaria della Chiesa e ripropone al cuore dei credenti la certezza che Dio vive in mezzo al suo popolo e viene ancora a visitarlo. Ciò dà a noi la sicura speranza che Egli ascolta e conosce il più intimo del nostro cuore: per questo Egli ascolta le nostre preghiere! Per conoscere l’origine della festa dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di qualche secolo, scoprendo che la testimonianza più antica è di origine romana. La troviamo, infatti, nel Cronografo romano di Furio Dioniso Filocalo del 354. Poiché la sua prima redazione è del 336, e anche lì il Natale è calendarizzato, abbiamo motivi sufficienti di ritenere che la prassi di celebrare la Solennità odierna risalesse già al 330. Il IV secolo è un periodo di grande fermento teologico per la Chiesa universale: è l’epoca delle accese discussioni dei Concili di Nicea (325) e Costantinopoli (381). È inoltre il periodo di un’intensa attività teologica il cui fine era svelare il mistero di Dio; Egli si è fatto carne ed è pienamente Dio, pur essendo veramente uomo. È in questo contesto che prende avvio la prassi delle celebrazioni natalizie. Nel secoli medioevali, infine, fu la tradizione francescana il corrimano di una certa spiritualità “natalizia”, grazie anche alla diffusione del presepe il quale, come ben sappiamo, fu inventato da San Francesco d’Assisi. Il grande impulso alla celebrazione del Natale come vero mistero di Dio fatto uomo per la nostra salvezza venne, in maniera evidente, dal papa Leone Magno verso la metà del V secolo. Con lui la solennità fu istituzionalizzata, sia per il carico teologico delle sue riflessioni, che con i sermoni natalizi. Egli dedicò dieci omelie all’occasione e si ritiene ancora oggi il padre dei testi liturgici utilizzati nelle Messe del tempo natalizio. I suoi testi sono ancora oggi ristampati presso diverse editorie. Per Leone essa è una memoria che cambia la vita spirituale del credente poiché porta in noi una consapevolezza nuova: la nascita di Cristo è l’inizio della nostra redenzione. Facendosi uomo, morendo in croce e risorgendo Cristo ha operato per noi la salvezza perché ci ha redenti dalla morte eterna. Siccome Lui ha vinto la morte, non vi è morte che ci possa separare da Dio in eterno. Così anche la nascita del Salvatore nel mondo acquista un carico speciale di salvezza giacché momento dell’inizio di tale opera redentiva: “La nascita del Signore, nella quale il Verbo si è fatto carne (Gv 1,14), non tanto la celebriamo come un evento passato, ma piuttosto la intuiamo farsi presente […] lo Spirito per opera del quale nasce Cristo dal grembo della madre illibata, è lo stesso per il quale dal grembo della santa Chiesa rinasce il cristiano […] per questo esultiamo nel giorno della nostra salvezza” (Leone Magno, Sermone 9,1).
Il Natale è dunque tempo di gioia. Il lieto messaggio del gaudio generale è annunciato dagli angeli che ai pastori proclamano: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Luca 2,10-11). È spontaneo citare ancora Leone Magno, il quale afferma che “non è bene che vi sia tristezza nel giorno in cui si nasce alla vita, perché il Salvatore, avendo distrutto il timore della morte, ci presenta la gioia promessa dell’eternità”; il motivo di tanto gaudio non può essere fuori dal cuore di nessuno perché “il nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, è venuto per liberare tutti, senza eccezione, non avendo trovato alcuno libero dal peccato” (Sermone 21,1). Se Leone scrive che intuiamo farsi presente ancora oggi la nascita del Redentore, se ai pastori è detto con forza che “oggi” è nato un Salvatore, non possono sfuggire alla nostra attenzione tali espressioni che ci richiamano a un’attualità sempre nuova della salvezza. Cari amici, oggi ci scambiamo gli auguri dicendoci “buon Natale”, ma che significa che questo deve essere buono? Perché oggi è una giornata buona e non tutti gli altri giorni? Non vi confondano queste parole: ogni giorno deve essere Natale perché oggi sia Natale. La nascita di Cristo, la sua venuta, non è da spostare in un domani che non arriva; questa gioia e questa pace non sono da vedersi nemmeno in uno ieri che non tornerà. Oggi e ogni giorno è Natale! Gesù è nato per noi perché ogni giorno potessimo sperimentare la sua presenza e ogni istante avvertire la sua salvezza, la salvezza dalla morte eterna. Che oggi sia un buon Natale, ma nella consapevolezza che ogni giorno può essere buono e può essere Natale, se apriamo le porte al Signore che viene.
Da ricco che era si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi del suo amore” (Prefazio IV). Ecco dunque l’ultimo ed uno dei più grandi misteri del Natale: noi siamo “divinizzati” in virtù della nascita di Cristo. Per questo motivo preghiamo dicendo che: “In lui oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale” (Prefazio III del tempo di Natale).