Esattamente 300 anni fa (11 maggio 1716), nella casa professa del “Gesù Nuovo” di Napoli, pieno di meriti e dopo una vita consacrata esclusivamente al Signore e al bene del prossimo, volava al cielo il padre Francesco de Geronimo, sacerdote professo della Compagnia di Gesù.
Per questo motivo Grottaglie è in festa e lo sarà a lungo (11 maggio 2016 – 11 maggio 2017) appunto per riscoprire, onorare e amare il suo figlio più illustre e importante, grazie a una serie di eventi e celebrazioni atte ad approfondirne la figura e il messaggio che, a distanza di tanti anni, rimangono vivi e attuali.
Personaggio importante e noto nella storia della Chiesa per il ruolo di evangelizzazione svolto per quasi tutta la vita nella Napoli tra Sei e Settecento, Francesco De Geronimo consacrò ogni momento della sua esistenza, confortato e animato dall’inseparabile suo protettore San Ciro, alla sacra predicazione e all’aiuto concreto in particolare dei poveri, degli ammalati, degli uomini e donne di malaffare, portando a tutti sollievo ed elevazione con la parola e con le opere. Un’azione umana e sociale che trovava conclusione in quella religiosa e spirituale col ritorno a una vita più degna di essere vissuta all’insegna del messaggio evangelico sintetizzato nel motto: “Tornate a Cristo!”
La sua fu una ricostruzione sociale, morale e spirituale del popolo sostenuta anche da un impulso verso pratiche devozionali (specie verso la Madonna e verso San Ciro) e da una predicazione caratterizzata da semplicità, immediatezza, compenetrazione negli ascoltatori, anche i più umili e emarginati, per ottenerne non tanto il plauso, quanto il raggiungimento dello scopo religioso e morale.
Francesco De Geronimo, nacque a Grottaglie il 17 dicembre 1642 da Giovanni Leonardo e da Gentilesca Gravina, primo di undici figli. Educato dai genitori e da una Comunità di sacerdoti, detta di S. Gaetano, costituitasi presso la chiesa di S. Mattia, il 25 maggio 1659 venne aggregato al Capitolo e Clero grottagliese e inviato al seminario di Taranto per continuare gli studi di retorica, scienze e filosofia presso il Collegio dei Gesuiti. Nel 1665 passò a Napoli per addottorarsi in teologia e in utroque jure. Ordinato sacerdote a Pozzuoli (1666), fu istitutore per qualche anno nel convitto dei Nobili diretto dai Gesuiti a Napoli. Nel 1670 cominciò il noviziato nella Compagnia di Gesù e svolse fino al 1674 un intenso apostolato missionario nel Regno di Napoli e particolarmente nella diocesi di Lecce, rivelando doti straordinarie di predicatore zelante ed efficace.
Tornato nella Capitale, vi rimase per tutto il resto della vita, circa quarant’anni, dedicandosi alle missioni popolari che prevedevano tre momenti significativi: le “Missioni al popolo”, in piazza o per le strade; la “Comunione generale” ogni terza domenica del mese; la “Conversione delle donne di cattiva fama”. La sua infaticabile azione che si irradiava dalla chiesa del “Gesù Nuovo”, si rivolse anche agli addetti alle navi, ai galeotti, ai carcerati, agli artigiani, agli ammalati. Grande rilievo diede agli “Esercizi Spirituali” a varie classi di persone e specie alle religiose. Morì l’11 maggio 1716. Fu beatificato da Pio VII il 2 maggio 1806 e canonizzato da Gregorio XVI il 26 maggio 1839.
Il suo corpo venne riposto in una magnifica cappella a lui intitolata nel “Gesù Nuovo di” Napoli, abbellita da una scultura di Francesco Jerace rappresentante il Santo in atto di predicare.
Dopo la II Guerra Mondiale le sue reliquie, in artistica urna, vennero traslate nel magnifico santuario precedentemente eretto in suo onore nel paese natale, dove nel frattempo si era stabilita una comunità di Padri Gesuiti che sulla scia del De Geronimo ha svolto e continua a svolgere una preziosa azione umana, sociale e spirituale.
Una descrizione di P. Francesco De Geronimo
Ecco come descrive il nostro Santo il biografo contemporaneo Carlo Stradiotti che con lui viveva nel “Gesù Nuovo” di Napoli:
“Fu il Padre Francesco di statura più tosto alta che bassa; di vita smunta e scarnata; e benché ossuto non era di complessione da reggere a tante e sì continuate fatiche. Fu di testa piccola e alquanto acuta, di fronte larga, cui stringevano le tempia incavate verso il capo un poco calvo; di capellatura negra, ma sparsa di bianchi; le ciglia folte; gli occhi negri, e rientrati, che sempre teneva sommessi a terra; e quando li sollevava devotamente al Cielo, spiravano pietà: che se talora gli fissava verso alcuno, si vedevano vivaci e spiritosi e penetravano i cuori; le guancie smunte; il naso alquanto rilevato e che si slargava nelle narici; il colore abbronzito, e come cotto dal Sole; la barba negra ma sul mento bianca; il collo sottile e macilento. La voce era sonora, quando predicava; ma nel discorso familiare tutta sommessa, e umile. La bocca larga, nel che mancano i Pittori con fargliela chiusa, poiché gli dava grazia, e non difetto la dentatura mancante e scarsa di denti. Le braccia nelle strade portavale coperte sorto il mantello; e in casa incrocicchiate nel seno, con tenere spesso in mano la berretta, e il capo scoperto: cortese, anzi umile con tutti”.
Una descrizione che corrisponde perfettamente al ritratto, probabilmente il più antico, ritrovato nel Museo dei Gerolamini di Napoli, studiato e restaurato di recente da Carmine D’Anna. Un prototipo iconografico, basato sulla maschera di cera del Santo fatta subito dopo la morte, che condizionerà in maniera quasi esclusiva la raffigurazione di Francesco De Geronimo fino ai giorni nostri.
La “morte preziosa” del P. Francesco De Geronimo nella narrazione di un testimone oculare
Considerata la fausta ricorrenza del terzo centenario della morte, proponiamo al cortese Lettore alcuni passi della testimonianza data nel processo canonico per la beatificazione dal confratello padre Francesco Fernandez che ebbe modo assistere personalmente al pio transito del De Geronimo.
“Io so molto bene – racconta egli – che il Venerabile Servo di Dio Padre Francesco de Geronimo morì in Napoli in questa Casa Professa agli 11 di Maggio dell’anno 1716 nel giorno di lunedì verso mezzogiorno, di mal di petto; e mi ricordo che poco prima di morire, detto Venerabile Servo di Dio fece molti atti di virtù in eroico grado, come benedire Iddio e ringraziarlo dei patimenti che gli aveva mandato in quella sua dolorosissima infermità. E quantunque i dolori che soffriva fossero acerbissimi, dimostrava grande ed ardente desiderio di soffrirne maggiori e dolcemente si esercitava parlando della Passione di Nostro Signor Gesù Cristo dicendo: “Io mi merito di patire; e questo è poco male in cambio di quello che dovrei avere. Cristo solamente patì senza ragione alcuna; a noi tutti si deve il patire”. E poi, riprendendo se stesso, mi ricordo che disse: “Somarello mio, abbi pazienza, patisci pure perché è poco per i tuoi peccati e ti meriti peggio”. Queste parole le ho conservate a memoria per mia consolazione e per mio esempio (…). Ricordo che si esercitava negli atti di confidenza nella bontà di Dio e di amore verso l’infinita sua amabilità, e sfogava l’amore che gli bolliva nel cuore con sospiri e lagrime, frammischiando bellissime e dolcissime giaculatorie, ed alcune volte si tratteneva a recitare Salmi interi. Le più frequenti giaculatorie che egli diceva, mi ricordo che sono le seguenti: “Mi chiamerai ed io ti risponderò. Benedetto Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, Padre di misericordia e Dio di ogni consolazione che ci consola in ogni nostra tribolazione”. Come pure: “Benediciamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ecco le porte di Sion: i giusti entreranno per essa”. Quest’ultima giaculatoria era la più frequente nella sua bocca in quegli ultimi giorni prossimi alla morte (…). Prima di morire Padre Francesco ricevé tutti i Sacramenti della Chiesa con somma devozione, in quanto, se mal non mi ricordo, il santissimo Viatico lo ricevé tre volte (…). Prima di riceverlo fece dolcissimi e tenerissimi colloqui col Signore Sacramentato, con volto acceso da Serafino, dicendo: “E donde a me, mio Redentore, che tu venga a ritrovarmi”? E rivolto ai Padri disse: “E voi Padri miei che avete avuto tanta pazienza e bontà nel sopportare questo ignorantone, perdonatemi le mie male creanze, rozzezze, ed inciviltà. Io non posso usarvi altra gratitudine se non che quella di pregare sempre” (…).
Quando poi ricevette il Sacramento dell’estrema Unzione proferì anche parole dolcissime e di sommo affetto verso il Signore e supplicò che gli facessero guadagnare tutte le Indulgenze che gode la nostra Compagnia e la Congregazione della Missione della quale era egli Direttore; e voltandosi con le lagrime agli occhi al Superiore nostro, Padre Preposito Antonio de Angelis, disse: “Non mi riconosco degno che il mio corpo sia mandato a quella sepoltura dove stanno depositati tanti corpi di così insigni Servi di Dio; per tanto prego Vostra Riverenza a volermi fare una fossa in mezzo a questo giardino e seppellirmi con i gatti e con i cani”. E queste parole, come le altre da me riferite nell’antecedente mio esame, dette dal Servo di Dio Padre Francesco de Geronimo le ho bene tenute in memoria, poiché quando disse quelle in mia presenza e degli altri nostri Padri, volli annotarmele nel miglior modo che mi sovvennero (…).
Il Venerabile Servo di Dio Padre Francesco de Geronimo in tutto il tempo della sua infermità, fino agli ultimi momenti della sua vita, sempre stette in retti sensi ed operò e discorse come fosse sano e mostrò così con gli atti, come con le parole, di morire di buona voglia e volentieri dicendo spesse volte: “Signore, volentieri vengo a te”. E mi ricordo che nel ricevere il santissimo Viatico disse: “Signore tu mi hai dato settantaquattro anni di vita; ora mi togli da questo Mondo; vengo volentieri a te. Solo ti prego che mi voglia far partecipare del tuo bellissimo volto ed a concedermi quel Paradiso che mi hai comprato col sborso del vostro preziosissimo Sangue. Né fate, Dio mio, che i miei peccati, negligenze e tepidezze mi impediscano il possesso di un tanto Bene.
Negli ultimi giorni della sua vita 1’osservai sempre con volto ilare, pio e placido, eccetto che una mattina essendo andato nella sua camera lo trovai affannato; ed avendogli io domandato che aveva e come si sentiva, mi rispose: “Figlio, battaglia, battaglia! così piace al Signore”; e dopo qualche tempo si rasserenò secondo il suo consueto… Ma essendosi avveduto il nostro Fratello Pietro Maglietta, infermiere della Casa Professa, che già era giunto al termine della sua vita, diede il segno col campanello solito darsi quando qualche nostro Padre o Fratello sta nell’ultima agonia; e sentitosi il suono di detto campanello, così io, come gli altri Padri, accorremmo e lo ritrovammo boccheggiando, posto in atto come di chi riposa, con la destra sotto il suo volto che teneva rivolto al Cielo. E quantunque il colore naturale del suo volto fosse bruno, in quella circostanza lo vedemmo bianco come il latte e bello; e incominciata da me la recita del “Proficiscere”, tranquillamente nella pace del Signore spirò la sua anima senza dar segno alcuno di perturbazione o di moto sregolato. E tutto ciò lo so per averlo veduto”.
La rapida diffusione della fama di santità e le suppliche per la sua beatificazione e canonizzazione
Un segno tangibile dell’immensa considerazione che Francesco godeva in vita e subito dopo la morte si può facilmente evincere dalle lettere o suppliche rivolte al Papa (furono ben 81, delle quali solo 30 furono pubblicate negli Atti del processo) per chiedere l’attivazione del processo canonico e l’introduzione della causa della sua Beatificazione e canonizzazione. Inviate al termine del processo diocesano svoltosi a Napoli tra il 1718 e il 1725 dalla Germania e da varie parti d’Italia, chiedevano con insistenza al Sommo Pontefice la rapida introduzione di detta causa nella Sacra Congregazione dei Riti.
Molte pervennero, ovviamente, dalla Puglia. Dal paese natale spedirono suppliche: il feudatario del tempo Giovanni Andrea Cicinelli, il Capitolo e Clero, l’Università o amministrazione civica, i frati minimi di S. Francesco di Paola, i frati carmelitani e le monache del monastero di Santa Chiara.
Giunsero suppliche anche da Carosino, Monteiasi, Martina, Taranto, Massafra, Avetrana, Fasano, Oria, Casalnuovo (Manduria), Francavilla, Conversano, Molfetta e Andria. Sono suppliche e lettere che, come si può immaginare, rivestono grande importanza; una trentina di queste vennero riportate interamente a cura della stessa Congregazione negli Atti del Processo canonico del 1729.
La più altisonante che chiudeva la lunga sequela è certamente la supplica di Carlo VI d’Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero, spedita da Gratz il 27 giugno 1728. Ma tutte indistintamente costituivano la voce insistente di moltissime persone che non desideravano altro che di vedere elevato agli onori degli altari il grande Missionario di Napoli.
Ecco l’elenco riordinato cronologicamente di quelle inserite negli Atti: Giovanni Andrea Cicinelli Duca delle Grottaglie (10 gennaio 1726); Il Duca di Carosino (10 gennaio 1726); Angela Spinelli Principessa di Tarsia. Napoli (10 gennaio 1726); Principe di Cuccoli. San Vito (Chietino) 15 gennaio 1726; Carlo Ungaro Barone della Terra di Monteiasi (20 gennaio 1726); Capitolo e Clero di Martina (10 febbraio 1726); Regio Monastero di S. Chiara di Napoli (10 febbraio 1726); Ettore Carafa Duca d’Andria (16 febbraio 1726); Canonici ed Eletti della Città dell’Aquila (15 marzo 1726); Il Capitolo e Clero della Terra delle Grottaglie ( 28 marzo 1726); Università ed Uomini della Terra delle Grottaglie (30 marzo 1726); Domenico Invitti arcivescovo di Sardi (Napoli 1 giugno 1726); Francesco Cardinal Pignatelli (Napoli 8 agosto 1726); Filippo Vescovo di Conversano (29 agosto 1726); Nicolò Cardinal Caracciolo Arcivescovo di Capua (31 agosto 1726); M. Marchese d’Oria (francavilla 19 Ottobre 1726); Gli Eletti di Napoli (16 novembre 1726); Capitolo, e Clero della Chiesa Metropolitana di Taranto (27 luglio 1726); Fra Filippo Arcivescovo di Chieti (4 gennaio 1727); Compagnia della SS. Trinità dei Pellegrini, di Napoli (2 febbraio 1727); Congregazione dei Cavalieri del Gesù di Napoli (9 febbraio 1727); Città di Lecce (17. gennaio 1727); Cardinal Innico Caracciolo, Aversa (1 aprile 1727); Sindaco ed eletti di Cosenza (26 aprile 1727); Antonio Farnese, Parma (21 agosto 1727): Dorotea Sofia Duchessa di Parma, (6 agosto 1727); Clemente Augusto Arcivescovo di Colonia (Bonn 6 giugno 1728); Michele Federico Cardinale d’Althann (vicerè), Napoli 13 gennaio 1728); Carlo Alberto, Elettore di Baviera, Monaco (2 aprile 1728); D. Carlos por la Gracia de Dios Emperador, Gratz (27 giugno 1728).
È alquanto curioso il fatto che il duca di Grottaglie, che la leggenda ha dipinto sempre come empio ostacolatore della costruzione del Cappellone di San Ciro della chiesa madre grottagliese, sia stato il primo patrocinatore del processo canonico di beatificazione. Questo fatto (ma ricordiamo pure che il feudatario fu anche uno dei primi a imporre il nome di Ciro a un suo figliolo nel 1707) e il tenore stesso della supplica pongono evidentemente qualche interrogativo sulla reale verità storica di alcuni episodi tramandati dalla voce popolare.
Ecco il testo di questo importante documento:
BEATISSIMO PADRE.
Sento, che le Università e Persone grandi ed illustri di questo Regno, per adempire ai Decreti di Papa Urbano Ottavo di felice memoria, degnissimo Predecessore della Santità Vostra, concorrono unitamente a darle umilissime le lor suppliche, acciò si degni segnar la grazia per la commissione della Causa e Processi Apostolici da compilarsi sulla santa vita, virtù eroiche e miracoli del Servo di Dio Francesco di Geronimo Missionario Apostolico della Compagnia di Gesù. S’egli è così, Beatissimo Padre, non debbo io tralasciare, avendone maggior l’obbligo, di unirmi con gli altri, a darne alla Santità Vostra fervorosissime le mie, come umilmente già fò per mezzo di questa riverente, pregandola vivamente ed in fatti degnarsi commetter detta Causa ed Apostolici Processi, affinché si veda dalla Santa Sede, formati i medesimi, quanto il Signore siasi compiaciuto d’operare per i meriti ed intercessione del detto suo Servo Francesco di Geronimo che veramente visse sempre d’Apostolo, e tale facendolo vedere al mondo dopo sua morte, per le strepitose grazie e stupendi miracoli che in diverse parti e della nostra Italia e della Germania, si è degnato a sua intercessione prodigiosamente fare. Né oggidì cessa dal Cielo benignamente consolare i Devoti che al patrocinio del medesimo Servo di Dio ricorrono. La fama delle cose suddette essendo chiara, non occorre che nella medesima maggiormente mi diffonda, anche per non recare a Vostra Santità soverchiamente tedio; mi restringo solamente ad attestarle la profonda umiltà, che in grado eroico risplendeva fra le altre virtù nel detto Servo di Dio, mentre viveva e riflettendo che per la virtù suddetta il Signore sia stato compiaciuto dopo sua morte di glorificarlo. Priego adunque umilmente di nuovo la Santità Vostra a degnarsi segnare la bramata grazia e nel mentre resto certo d’ottenerla, con profondissimi inchini resto prostrato innanzi al suo Trono, baciando devotamente i suoi santi piedi. Grottaglie 10 Gennaro 1726.
Di Vostra Santità, Umilissimo, Divotissimo, ed Obligatissimo Servitor vero Giovanni Andrea Cicinelli Duca delle Grottaglie.
Altrettanto importante è la supplica che la Communità o Università delle Grottaglie (oggi diremmo l’Amministrazione comunale) scrisse al Papa e che qui volentieri riportiamo, anche per le diverse notizie ricordate sulle due missioni che il Santo tenne nella sua città natale nel 1707 e nel 1709, compresi alcuni miracoli compiuti a favore di una coppia di popolani, di un bambino e del proprio genitore morente.
Eccola:
BEATISSIMO PADRE Alle suppliche delle altre Università insigni e personaggi illustri di questo Regno, unisce per obbligo le sue umilissime l’Università della Terra delle Grottaglie Patria del gran Servo di Dio Francesco di Geronimo Missionario veramente Apostolico della Compagnia di Gesù, instantemente pregando la Santità Vostra a volersi per ora compiacere segnar la grazia per la compilazione degli Apostolici Processi da fabricarsi sulla santa vita, eroiche virtù e santa morte del detto Servo di Dio, per poi dichiararlo Ella stessa Beato, giacche ha la facoltà di dispensare alle leggi. Le strepitose grazie, Beatissimo Padre, ed i stupendi miracoli che sua Divina Maestà, ad intercessione del medesimo suo Servo si è compiaciuta benignamente operare, e giornalmente non cessa glorificarlo in diversi luoghi di questo Regno ed in altre parti fuori di esso, specialmente in quelle della Germania, hanno maggiormente svegliato nel nostro animo, e di tutto questo Pubblico, un ardentissimo desiderio di già vederlo dalla Santità Vostra dichiarato Beato, tanto più che le Genti di questa Terra se le confessano in modo particolare obbligate per le due Missioni fatte in essa nel 1707 e 1709 con tanto spirito e profitto delle anime, oltre dei Miracoli praticati a benefizio di essi Cittadini, e precise ad una donna chiamata Rosa Quaranta, consorte di Giuseppe la Pace, la quale era così disavventurosa nei suoi Parti che prima di darli alla luce si vedevano nell’utero materno morti: onde la detta Rosa in passando un giorno il detto Servo di Dio dalla contrada ove abitava, supplicò il Padre che l’avesse toccata con lembo della sua veste, giacché faceva le creature che si morivano senza Battesimo; alle quali preghiere il Padre, tratta dal petto una cartolina delle polveri di S Ciro, la diede alla detta Rosa, ordinandole, che per tre mattine ne prendesse con recitare tre Pater & in onore della Santissima Triade, e tre altre al Santo, e lo stesso facesse in approssimarsi al parto, mentre così le Creature avrebbero il Battesimo, e non morrebbero; il che quella facendo si verificò la predizione del Servo di Dio, mentre dopo di questo avendo dato alla luce più figli, hanno tutti ricevuto il Battesimo, e ve ne sono oggidì due viventi. Altro portento il Servo di Dio praticò nel tempo della prima Missione fatta in questa Terra nel 1707 in persona del proprio suo Padre, il quale essendo di anni 88 decrepito e con grave infermità giacente in letto, che l’aveva costituito presso à morire, e ritrovandosi giunto il detto Servo di Dio per venire alle Grottaglie a far la Missione nella Città di Taranto, determinò D. Tomaso di Geronimo Arciprete Fratello di detto Servo di Dio di scrivergli che avesse dovuto differire in altro tempo la Missione per l’accidente suddetto; quando la mattina giunse in questa Terra il Servo di Dio, ed arrivato nella propria casa, ed informato dall’Arciprete suo Fratello del mal stato del lor comune Padre, si portò nella camera ov’era il di lui Genitore, il quale per incontrare il suo caro Figlio a grande stento si era levato da letto, ed inginocchiatoseli d’avanti baciandoli i piedi, li disse: “Signor Padre, voglio che domani mattina veniate agli Esercizi Spirituali”; onde fu di maraviglia a tutti un tal detto, con tutto ciò il vecchio Padre la seguente mattina riavutosi da ogni malore, stando bene, andò a sentire gli esercizi, continuando per tutto il corso di essi. Di vantaggio, dopo seguita la morte di detto Servo di Dio, ritrovandosi l’unico figlio di Giuseppe de Carolis d’età d’un anno e tre mesi già disperato da Medici, ricorse il Genitore abbandonato dalle speranze umane al favore del Servo di Dio Padre Francesco, e con le lagrime accompagnando le preghiere, le venne ispirato dal Santo di riconciliarsi con la Madre e Fratelli con li quali passava alcuni disgusti, e perché non fece conto della medesima ispirazione, s’ingagliardì il male, onde il Figlio stava per spirare; però avanzando la santa ispirazione nell’animo del detto Giuseppe, chiedendo nuovamente la vita al figlio, promise al Servo di Dio Padre Francesco di riconciliarsi con i suoi la mattina seguente; e con tal promessa mandò a pigliare la Berretta che usò il detto Padre Francesco, quando fece la Missione in questa Terra, che si conserva in casa del Fratello, e toccata con essa la testa del Bambino, ch’era quasi incadaverito, come se da morte a vita resuscitasse, rinvenne con chiamare il Padre e prender latte, e dall’ora in poi non ha patito alcun vestigio di male; tralasciando li molti altri Miracoli e grazie che Nostro Signore ad intercessione del medesimo suo Servo alla giornata per mezzo di detta Berretta si compiace dispensare. Ad ella, Beatissimo Padre, più d’ogni altro, è cognito il merito di questo Servo del Signore, e perciò alla medesima ricorriamo profondamente inchinati, supplicandola per la di lui Beatificazione, potendo dispensare, se vuole, come vivamente speriamo che voglia, alle leggi, anche per secondare la volontà del Signore, mentre a quest’oggetto si è impegnato di tanto glorificare per il passato il suo Servo, ed ogni dì seguita a farlo. Sicuri adunque delle grazie della Santità Vostra, restiamo umilissimamente baciando i suoi Santi Piedi.
Grottaglie 30 Marzo 1726. Di Vostra Santità Umilissimi, ed Obbligatissimi Servi L’Università, ed Uomini della Terra delle Grottaglie.
Il processo di canonizzazione di P. Francesco De Geronimo, dopo alcune difficoltà incontrate per via della temporanea soppressione della Compagnia di Gesù, venne ripreso e concluso, come già ricordato, con la beatificazione decretata da Pio VII il 2 maggio 1806 e con l’iscrizione nel catalogo dei santi fatta Gregorio XVI il 26 maggio 1839.