Ci sono tre poeti italiani del Novecento, tra tanti altri, che non rientrano nel mio itinerario di pensiero che ha come centralità la metafisica della parola che si fa destino di senso. Non potrei indicarli come riferimenti né all’interno dei processi culturali del Novecento e tanto meno potrei conformarmi con la critica antologica che li inserisce come chiavi di lettura parametrale di tre temperie. Sono Umberto Saba, Eugenio Montale e Pier Paolo Pasolini. Certo chi analizza il testo cerca di ingravidare una grammatica della poesia. Chi va oltre il suono della poesia come eco e come nulla cerca un approccio mai lineare ma sempre labirintico tra una cifra ontologica e una persistenza metafora.
Montale è il poeta delle “bufere” e delle “occasioni”, ma che posto davanti allo sguardo di Vincenzo Cardarelli diventa il sacrestano allievo della parola e davanti alla roca voce del maestro Ungaretti diventa soltanto il portatore di frecce che non riesce mai a lanciare. Una poesia tarda ottocentesca anche nel salire e scendere le scale. Eppure la scuola italiana lo ha reso obiettivo, da Nobel, centrale dal qual far partire quel grande Movimento che si chiama Ermetismo. Cosa completamente falsa.
L’Ermetismo nasce dal Futurismo, vera e unica Avanguardia nazionale, che Montale non capì mai anche quando scrisse, per la rivista fascista di Bottai “Primato”, un saggio che “giustificava” il suo “male di vivere”, che non era sua terminologia come vocabolario della psicologia umana, ma apparteneva e appartiene al Barocco di Ronsard e al Baudelaire del male disegnato sui fiori. Semplice, per comprendere. Non ripetere mai ciò che gli altri dicono e hanno scritto. Penetrare la parola come essenza ontologica. È il segreto dell’estetica della parola penetrante.
Saba è il triestino che punta a superare il Petrarca vero della canzone, ma si trova tra un “Mediterraneo” che non ha nulla a che fare con il suo linguaggio ebraico, con una partita a pallone e con il suo tentare di comprendere il “belare” di una capra. Già, ho parlato ad una capra… e soltanto per questi versi, non ironici, ma esteticamente brutali andrebbe cancellato dalle antologie scolastiche. Ha cercato, dicevo, di fotocopiare il senso del “canzoniere” alla maniera poliziana e prima petrarchesca, ma gli è riuscito malissimo perché poco accorto del linguaggio poetico e anche quando descrive la città vecchia lo fa con un falso pudore e falso moralismo che costringono Fabrizio De André a recuperare, meravigliosamente, il luogo e le immagini delle strade vecchie di una città che sa di mare e di puttane. Ma a Saba interessava Ernesto, un romanzo completamente inutile. Certo, molto più alta è la poesia di Sandro Penna che, comunque, si agita tra il Saba “ernestiano” e il Pasolini di ragazzi di vita.
Pier Paolo Pasolini non ha il “registro” del vocabolario poetico. Credo che oltre ai versi di Casarsa non abbia dato poeticamente più nulla. Siamo, comunque, ad un linguaggio della antropologia poetica. Ma di Pasolini si è creato il mito. E i miti crescono dove vivono l’inverosimile. Omosessuale, prima comunista poi indeciso, poi viene a conoscenza della uccisione del fratello da parte di un nucleo comunista poi cerca di recuperare del Gramsci le ceneri.
Insomma io farei studiare il Pasolini elzevirista e non il finto poeta o il non regista o lo scrittore complessato delle vite violente. Ma la sua è stata una vita violentata e volente. Ci sono pagine di Giuseppe Berto che lo descrivono in modo profondo.
Già, si parlava di poesia. Ma la poesia non è una astrazione. È un vissuto e la parola cattura sempre un vissuto. Io sono altrove. La lezione di Maria Zambrano, di Eliade, di Cioran, di Ungaretti, di Cardarelli, di Ionesco, di Pavese, di Cristina Campo mi portano altrove. Non discuterò dei poeti che sono distanti dalla mia formazione. E tra questi che si usano chiamare sistematicamente poeti ci sono anche quelli che tali non sono.
Attenzione. La scuola ha bisogno di guardare con molta acutezza e intelligenza estetica al pensiero forte, soprattutto in un tempo in cui la leggerezza dell’essere ha preso il sopravvento. Anche in letteratura la poesia non può essere l’espressione di una debolezza del pensiero. Sì, perché la poesia non è solo mistero o magia, ma proprio, essendo anche mistero e magia, non può essere debole.
Facciamo un giochetto da illusionisti. Invece di Montale, Saba, e Pasolini insistiamo su Cardarelli, Michelstaedter, Cristina campo. Una provocazione? No, semplicemente il dire cosa è poesia, crocianamente, e cosa non è poesia. Non è una contrapposizione. È soltanto un invito a pensare oltre la leggerezza.