Ubicato a circa 6 km dal centro cittadino, a nord-ovest lungo la strada che conduce a Martina Franca, questo santuario della Madonna di Mutata dalla storia secolare è dedicato alla patrona di Grottaglie ed è oggetto della fede e della devozione da parte dei grottagliesi ma anche di tanti residenti nei paesi limitrofi, come Montemesola, Monteiasi e Martina Franca, che lo raggiungono a piedi percorrendo i tragitti che da secoli vedono il pellegrini impegnati nel loro percorso di devozione e penitenza, come accade anche per San Ciro.
Indice
- Cenni storici
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- Le origini del nome Madonna di Mutata
- Il ritrovamento dell’affresco
- Il ristoro per cavalli e viaggiatori
- Il ritrovamento della statua
- Pasca t’li Paolomme
- La Battaglia Giocosa
- Le Opere d’arte
Cenni storici del Santuario della Madonna di Mutata
Elevato a santuario mariano dall’allora arcivescovo di Taranto Mons. Ferdinando Bernardi con decreto del 1 aprile 1954, questo monumento di origine basiliana fu eretto nel 1600 sui resti di una piccola chiesa risalente al X° secolo ed è conosciuto anche con l’appellativo di S. Maria in Silvis a causa della sua ubicazione nella cosiddetta “Foresta Tarantina”.
Le origini del nome “Madonna di Mutata”
L’intitolazione del santuario alla Madonna di Mutata oscilla tra la storia e la leggenda, poiché si racconta che in origine l’affresco di epoca medievale raffigurante la Madonna col Bambino fosse ubicato sulla parete a nord che guardava verso Martina Franca, alla cui popolazione spettava quindi la cura e il decoro del sacro edificio.
Il ritrovamento dell’affresco
Pare che però questo compito non venisse svolto con la dovuta attenzione e così, il lunedì di Pentecoste del 1359 l’affresco venne trovato sulla parete sud, affacciata verso Grottaglie, come a testimoniate la preferenza della Vergine verso i fedeli della città delle ceramiche e delle uve e così, avendo “mutato” la sua posizione, la sacra immagine venne denominata con l’appellativo che oggi conosciamo, ennesimo episodio che rinfocolò l’astio che divideva le popolazioni ed il clero di queste due cittadine.
Il ristoro per cavalli e viaggiatori
A questa ipotesi se ne contrappone un’altra, dall’origine più profana, che individua nei pressi del santuario l’esistenza di una stazione di riposo, ristoro e cambio dei cavalli ad uso dei viaggiatori che percorrevano la vicina Via Appia, funzione a cui appunto andrebbe attribuito il toponimo.
Il ritrovamento della statua
Terza ipotesi, che non contraddice le precedenti, è quella che individuerebbe nella zona dove attualmente insiste il santuario un luogo di culto preromano dedicato alla Mater Matuta, la protettrice delle donne che assistevano, e a volte sostituivano, le partorienti impossibilitate a prendersi cura dei figli neonati. Una ipotesi in qualche modo corroborata dal ritrovamento di una statua in pietra bianca raffigurante una donna con un bambino in braccio, risalente al secolo XII° o XIII° che sembra rievocare gli antichi miti ed i loro simboli.
La Pasca delle Palomme
Il santuario è sempre stato meta di pellegrinaggi in molti periodi dell’anno ma – come capita per tutti i luoghi di culto mariani – una delle date in cui più forte si esprime la devozione dei fedeli è quella del 15 agosto, giorno in cui la Chiesa Cattolica ricorda la Assunzione in cielo di Maria Vergine, titolare dello stesso santuario.
Ma se la data di agosto è, come detto, comune a tutti gli altri luoghi di culto mariani, c’è un altro giorno il cui la Madonna di Mutata vede accorrere a sé centinaia di pellegrini festanti. Si tratta di un giorno nel periodo pasquale, quando nella Domenica in Albis qui si svolge la cosiddetta “Pasca t’li Paolomme“, un evento che unisce fede e svago e vede i pellegrini celebrare la festività con un festoso pic-nic a base di gustose ciambelle chiamate appunto “palomme“.
Anche in questo caso il periodo scelto non è forse casuale, cadendo nei pressi del Calendimaggio celebrato in molte zone dell’Italia centro settentrionale, in analogia con il Beltane celtico ed in ricordo dei riti propiziatori di cui troviamo un eco anche nella foc’ra che si accende in onore di San Ciro.
La Battaglia Giocosa
Vi era un tempo un altro giorno ancora in cui lo spiazzo davanti al santuario si riempiva di fedeli, ed anche in questo caso si trattava di una data relativa ad avvenimenti strettamente legati alla storia grottagliese; si trattava del giorno in cui si svolgeva la cosiddetta “battaglia giocosa“, evento più profano che sacro voluto da Pietro D’Onofrio, un soldato che aveva combattuto vittoriosamente contro i pirati turchi in uno scontro avvenuto nella piana di Rossano nel 1575 e durante il quale era riuscito anche a strappare all’armata nemica il loro prezioso stendardo di guerra, portandolo poi in dono come riconoscente ex voto proprio al santuario. Per celebrare questa vittoria contro gli infedeli venne allora istituita questa rievocazione storica, in cui due fazioni si affrontavano facendo rivivere lo scontro armato di allora.
Probabilmente, con l’andare del tempo, la attività ludica divenne sempre più preponderante rispetto alla celebrazione sacra, tanto che nel 1788 la rievocazione venne proibita dall’allora arcivescovo Mons. Capecelatro che la ridusse ad una semplice “scamiciata” sino a quando, nel 1935 la festa venne completamente cancellata, salvo rivivere in qualche sporadica riedizione negli anni scorsi.
Statue, quadri e tante opere d’arte
Come è facile immaginare, tante sono le opere d’arte donate al santuario dai fedeli, in segno di devozione ed ex-voto per grazia ricevuta; alcune possiamo ammirarle ancora oggi, altre sono perse per sempre, rubate da mani sacrileghe e mai più ritrovate.
Così, allo sguardo dei fedeli si offre ancora oggi un prezioso armadio secentesco ricco di intarsi dorati e colorati, contenente – tra gli altri beni – un crocifisso ligneo cinquecentesco ritenuto miracoloso dai fedeli. Degne di nota sono anche la statua in pietra dipinta raffigurante San Giuseppe con il Bambino Gesù, gli affreschi policromi che abbelliscono volte e pareti e le tele raffiguranti “Gesù legato alla colonna” e “Gesù con la canna” risalenti al XVII secolo.
Conserviamo invece solo il ricordo e qualche immagine di altre tele, perse per sempre, tra le quali il quadro risalente ai primi anni del Settecento e raffigurante la Vergine del Carmelo tra San Lorenzo e San Francesco da Paola, la contemporanea tela dedicata a Santa Barbara, i due quadri entrambi dedicati a San Ciro e realizzati rispettivamente da Francesco Solimena e da Ciro Fanigliulo e la statua in pietra con la venerata immagine di san Cataldo, un tempo presente sull’altare dedicato al santo irlandese.
Tra i capolavori ospitati nel santuario va infine doverosamente citato il pavimento in maiolica decorata, frutto dell’ingegno e della maestria dei maestri ceramisti grottagliesi; un florilegio di decori, motivi geometrici, foglie e colori dai ricchi colori tra cui spiccano il giallo, il rosa, il bianco e il blu.
Abbiamo detto molto ma non tutto, questo santuario merita una visita attenta e paziente, e sarà ben disposto a raccontare la sua secolare storia di fede e tradizione a tutti coloro che lo vorranno ascoltare.