La religiosità popolare trova nella letteratura uno di quegli strumenti di trasmissione di tradizioni che diventa fondamentale soprattutto nei processi culturali ed identitari delle comunità. Nel recupero di questo senso vivono i valori di un tempo primordiale che si legge nella capacità di una traducibilità di storia in memoria, del concetto di popolo in un concetto molto più ampio che è quello di civiltà.
In letteratura è la contemplazione che pone in essere il senso del miracoloso che vive nel mistero, appunto, della religiosità popolare. Ci sono Santi che restano nel cuore della religiosità popolare come forma etica o come modello di reale appartenenza attraverso un vero e proprio processo di simboli che stimolano l’immaginario collettivo. La devozione è anche una forma contemplante che si inserisce nel quadro di una visione di fede che non ha bisogno di alcuna spiegazione o di alcuna ragione. Anche in questi casi, soprattutto in questi casi, c’è un tempo storico e un tempo onirico.
La contemplazione in letteratura si legge grazie a un tempo onirico che si intreccia tra le maglie della tela della memoria. La religiosità popolare è memoria e non è storia. Come si spiegherebbe allora senza questa memoria del misterioso Padre Pio o San Francesco d’Assisi o San Francesco di Paola? San Francesco di Paola, il fondatore dei Minimi.
Sì, il Santo che ha attraversato sul mantello lo stretto di Messina. Che è stato alla corte dei potenti e ha fatto miracoli. Il Santo che è morto a 91 anni ed ha viaggiato. Il Santo viaggiatore che pur vivendo dentro il potere ha vissuto di carità, di umiltà, di preghiera e il suo miracoloso ha segnato percorsi profetici.
Il Santo calabrese che è andato a morire il 2 aprile del 1507, il Venerdì Santo, a Tours in Francia. Era nato a Paola il 27 marzo del 1416. Seicento anni fa. Il Santo dunque della carità e della servitù evangelica.
Un percorso frammentato che ci fa capire l’importanza, tra l’altro, del misterioso contemplante nella letteratura. Credo che il libro di Nicola Misasi (1850 – 1923) sia uno di quei mosaici coraggiosi che inquadrano il Santo di Paola sia sotto l’aspetto profondamente religioso sia su quello della consapevolezza culturale di un popolo. Ma da scrittore, qual è Misasi, definisce nel ruolo del Santo e dell’uomo la figura e il personaggio di San Francesco. Lo racconta con una umanità tale che sembra strapparlo dalla cerchia retorica delle norme e delle regole.
Un Santo popolare che diventa culto,come ho cercato di sottolineare nei miei tre libri sui Minimi (due su San Francesco e uno su San Nicola di Longobardi) ma nel culto c’è la santità e c’è l’uomo. Uno che ha vissuto fino in fondo il suo tempo cercando di condizionarlo attraverso proposte di carità, di povertà, di pietà. Proprio per questo resta nella tradizione del popolo e la letteratura non può che vivere dentro questo “fatto” che non è un dato antropologico ma sa di misterioso.
Misasi ha scritto: “Francesco di Paola fu dunque un ribelle audace, in quel tempo in cui parlare di Dio, di pietà e di carità ai principi ed ai potenti, era come ribellarsi, significava stigamatizzare le loro opere nefande” (Nicola Misasi, Francesco di Paola, Cultura Calabrese Editrice, 1981).
D’altronde la storia di San Francesco di Paola si racconta sia attraverso i viaggi sia attraverso i miracoli. E i viaggi hanno in sé qualcosa di miracoloso perché sono proiettati in forma profetica nel cuore del tempo che ha una sua “caritas”, proprio secondo il Santo, nel cuore dell’uomo. Fu un educatore e difese gli umili, i poveri, i caritatevoli.
Proprio per questo fu anche un “riformatore”. E’ ancora Misasi: “Francesco di Paola fu il primo che intese la carità come obbligo, come istituzione, come virtù civile, la carità cioè che compendia ogni altra virtù; innanzi al mare sonante egli trovò la parola nuova, la nuova religione, perché di una nuova religione egli sentiva prepotente ed urgente il bisogno…” (pag. 54).
Alla Corte dei grandi di Napoli e di Francia Francesco di Paola dettò la sua singolare fedeltà alla santità non perdendo mai i contatti con il suo tempo e con l’uomo che aveva, in quel tempo storico contradditorio, sempre accanto.
Per Misasi Francesco di Paola rientrava non tanto nella cultura popolare complessiva ma in quella tradizione religiosa che ha sempre caratterizzato la Calabria. Infatti la motivazione che ha spinto Misasi a scrivere un libro sul Santo di Paola la si legge in questa sottolineatura: “…ho scritto questo libro, profondamente persuaso che se la genialità del calabro intelletto è rappresentato da Bernardino Telesio, il cuore e il carattere ne son rappresentati da Francesco di Paola; profondamente persuaso che in questi due grandi si compendia la gloria nostra che è poi gloria di tutta l’Italia del secolo XV“.
Misasi nel raccontare San Francesco di Paola racconta anche i luoghi. Sono i luoghi dove il Santo ha dimorato o dove ci sono stati riferimenti e tracciati che riportano al paolano. Si comincia proprio con un rapporto tra Paterno (paese calabrese) e Roma. Restano incisive le immagini di una Calabria antica e luminosa. Affascinante e contadina.
Il Crati “giallo e profondo”, la pianura di “sibari la lussuriosa”, “quella terra che racchiude tanta dovizia di arte e di memorie”. “Di questa mia Calabria io ho ritratte tutte le energie, sia quelle del male, sia quelle del bene, che si sprigionavano impetuose e gagliarde per effetto dell’ambiente in cui la nostra gente visse per tanti secoli”. Ecco, dunque, la Calabria di Misasi che diventa la Calabria nella quale ha vissuto Francesco di Paola, “il più grande calabrese di tutti i secoli”. La letteratura ha quindi cantato e raccontato la fede del Santo di Calabria. E’ Lorenzo Corrado, un poeta vissuto tra il 1620 e il 1690, che recita: “Nel più fertile clima de l’antica/Magna Grecia, non lungi da Cosenza/Metropoli tra i Bretii, è Paula, amica/Di virtudi, di pace e di clemenza:/Terra vetusta e di ozio nemica,/Come lo mostra ben l’esperienza:/Quivi nacque Francesco: onde da quella/Col cognome di Paula egli s’appella…“.
E’ Giuseppe Battista (1610 – 1675) che nelle Poesie meliche sottolinea: “Straccian con prue ferrate il campo algoso/I Tifi algivi, iTeucri Palinuri,/Ch’è re Francesco, in mezzo al mare spumoso,/Sono fiocchi tessuti Almi sicuri“.
Giuseppe Battista nasce proprio a Grottaglie nel 1610 e muore a Napoli all’età di 65 anni. A San Francesco di Paola dedica cinque sonetti nei quali si ricorda la vita del Santo. “Transivimus per ignem et aquam, et eduxisti nos in refrigerium”, “Per S. Francesco da Paola, che sul mantello passa il faro della Cicilia”, “Il Santo stesso passa il mar di Cicilia sul mantello”, “S. Francesco da Paola entra in una fornace cadente di calcina, la ripara, e n’esce illeso”, “S. Francesco da Paola passa il mare di Cicilia sul proprio mantello“.
Così Francesco Stea commenta: “Grottaglie, dove l’Ordine dei Minimi ha profonde radici sin dal 1536 con una sentita e mai sopita devozione verso il Santo di Paola e i suoi figli religiosi, qui, tornati dopo centotrentaquattro anni di deprecata assenza, in seguito alle inique leggi soppressive, in conseguenza delle quali, il vetusto e monumentale convento vedeva il più affliggente degrado e abbandono, non poteva mancare di dare l’accento poetico per la penna di un suo illustre figlio, Giuseppe Battista…” (pag. 69).
San Francesco continua ad essere presente nella letteratura. Così di seguito. Badre Luigi Benetelli (1641 – 1725), Tommaso Aceti con il suo Taumaturgo di Brezia S. Francesco di Paola musicato nel 1731. E ancora i dieci canti di Antonio Barbaro pubblicati il 1745 come Vita di S. Francesco di Paola.
E andando avanti non si può non citare Igino Giordani nato il 1894 e morto nel 1980 che affrontò la santità e la storia del paolano attraversando la chiave di lettura misasiana.
E poi le lettura che ne fanno Nicola Giunta morto nel 1968 e nato nel 1895, Attilio Romano, Michele Bertelli, padre Giuseppe Renato Fiorini Morosini. Il Convento di San Francesco di Paola è depositario urbanisticamente di una serie di resistenze (i conflitti interni ed esterni) proprio per la sua posizione logistica.
Le sedi religiose avevano un senso anche in fatto di ubicazione. Si pensi a tal proposito al Convento – Seminario di Paola che domina dall’alto la città. Avevano il compito di raccogliere. D’altronde la circolarità o il quadrilatero dei chiostri sono una lettura non immaginaria ma etica che procedeva con delle metodologie ben precise.
Tutto ha una sua logica. Le decorazioni impresse pur in una forma pseudo lineare hanno dei movimenti. La struttura a vista emblema del fascescanesimo e della cultura dei paolotti è un documento che permette una lettura di un mondo non di sfarzo. Infatti le strutture rispecchiano alcuni codici che sono di ordine morale, etico, umano.
Sono, queste strutture, la trasposizione di un vivere nell’umiltà. Oltre che dalle parole e dai fatti la memoria si ricava da quelle testimonianze che si documentano. Appunto le strutture. Il Santuario di Paola è una dimostrazione emblematica. Il giaciglio, il luogo della preghiera e della penitenza, lo scorrere del fiume nella vallata sono dimensioni di un territorio non sono fisico ma anche esistenziale.
Per San Francesco la grotta era un altro segno della povertà, della carità e del vivere in umiltà. Ma ci sono più casi che definisco ciò. Non si tratta assolutamente di coincidenze. Ma il rupestre è l’immediato contatto con la terra. Il vivere in grotta è il vivere con la terra, con la natura, con le forme della natura. Tutto era in grotta.