Quotidianamente assistiamo a disastri e eventi traumatici attraverso il tg, la radio o internet! Terremoti, uragani,eventi terroristici, disastri individuali e collettivi di diverso genere ‘accompagnano’ le nostre giornate, scatenando paure e preoccupazioni.
Il disastro costituisce, come nel nostro caso, una causa di trauma per la persona e per la società: crollano le certezze materiali, affettive e simboliche (la casa, la distruzione degli spazi abitati e vissuti dalle persone, l’organizzazione familiare e sociale ecc.), viene messa in discussione l’identità sociale, quindi cambiano le rappresentazioni sociali, le opinioni, gli atteggiamenti, i livelli di partecipazione sociale, le capacità di progettare e di programmare della società.
Ed è proprio sul trauma vissuto da chi si trova coinvolto come spettatore o vittia in qualche evento catastrofico che vorrei porre l’attenzione, riportando le sensazioni riferite da alcune persone con cui sono entrata in contatto. “PAURA! Scene da film indescrivibili a parole! Le lamiere sbattute in aria come se fossero carta velina, auto che si ribaltavano, pezzi di calcinacci come mine impazzite… Paura e terrore di non sapere cosa fare, dove andare e a chi rivolgersi”.
E’bene sottolineare quindi l’importanza che le emozioni hanno in questi casi di emergenza e in particolar modo la loro funzione adattiva, basilare per gli esseri viventi. Il ventaglio di emozioni suscitate dall’insicurezza in situazioni di emergenza, è vasto: dall’ansia, alla paura, dall’agitazione al panico. Ma le nostre emozioni sono un potente strumento che possediamo! Le emozioni possiedono un importante carattere ‘funzionale’: permettono di prendere coscienza della situazione e consentono un’attivazione coerente alle caratteristiche della situazione stessa.
La paura ha la funzione di segnalare uno stato di emergenza ed allarme, preparando la persona alla reazione. Di fronte a situazioni di pericolo la persona, come gli animali, può reagire fuggendo, rimanendo immobile (paralizzato o bloccato) o attaccando. Restare paralizzati dalla paura significa bloccare le funzioni motorie quasi al fine di fingersi morto dinnanzi alla minaccia (molti animali si paralizzano dinnanzi al predatore).
Attaccare o fuggire invece permette uno stato di attivazione ed eccitazione generale per la persona. Queste differenze dipendono essenzialmente dalle possibilità di fuga dalla situazione minacciosa e,l’uomo a differenza degli animali può avvalersi dell’azione sinergica di varie strutture cerebrali, che consentono di accertarsi sugli elementi di pericolosità e di minaccia eventualmente presenti negli ambienti circostanti. La reazione finale quindi è determinata da una serie di elementi cognitivi, materiali, simbolici, affettivi..e, dunque, non solo fisiologici. Questo è importantissimo per noi esseri umani!
Poiché le persone che ho sentito narrare la propria personale esperienza sono salve ‘anche’ grazie alla propria paura! “Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva” sostiene Holderlin, e questo non solo a livello strettamente individuale, ma anche a livello comunitario, infatti la paura ha svolto la funzione di mettere all’erta anche gli altri membri del gruppo di appartenenza circa la presenza di un pericolo, mobilitando aiuto e soccorso. Questo permette lo svilupparsi in itinere di una cultura dell’emergenza che guarda alla comunità come soggetto attivo.
Attraverso il sostegno sociale e un proficuo lavoro di rete è possibile attenuare lo stress derivante da queste situazioni di pericolo esperite. Mi riferisco sia al sostegno informale, ossia familiari, amici e persone con cui si ha un alto grado di confidenza e condivisione che spesso in queste circostanze spontaneamente fanno rete e da contenitore per condividere narrando e elaborando ciò che è accaduto, e anche al sistema formale, ossia ai professionisti, alle strutture istituzionali che operano nell’ambito della prevenzione, della cura e della riabilitazione.