«Era il 9.9.1860, allorquando il Sindaco di Grottaglie, Alfonso Pignatelli prendendo atto del comunicato del Sotto Intendente del Distretto di Taranto, convocava il Decurionato (Consiglio comunale) composto dai Decurioni signori Francesco Petraroli, Francesco Maggiulli, Oronzo Monaco, Ciro Vincenzo Ragusa, Mattia Angiulli, Raffaele Papocchia, Giuseppe Cantore, Francesco Motolese, Luigi Verga, Oronzo Blasi, Gennaro Santorio, Giuseppe Messina, Michele Blasi, Vincenzo Simeone e Ciro Chianura, che fungeva da Decurione Segretario, (infatti non vi erano nè i Segretari Comunali, nè i Direttori Generali, nè per loro fortuna, i Presidenti del Consiglio, tutte figure istituite successivamente dalla “politica” e profumatamente pagate dal Popolo).» A ricordare un evento fondamentale per la storia grottagliese è Michele Mirelli, con la sua nuova “Pillola di Storia”.
«Il 9.9.1860 – prosegue Mirelli, il sopra costituito Decurionato, approvava alla unanimità “…il Proclama che il Sotto Intendente ci ha rimesso ed il Municipio tutti unanimemente ha accettato e riconosciuto con la intestazione di Vittorio Emanuele Re d’Italia. Firmato dal Generale Garibaldi Dittatore delle Due Sicilie.
Il proclama fu successivamente letto direttamente da Cavour al Senato, ubicato a Torino in lingua francese “Le Roi notre Auguste Sauverain prend pour lui-meme et pour ses successeurs le Titre de ROI d’ ITALIE. Dopo tale proclama e la presa d’atto della firma del Dittatorato delle due Sicilie, furono rasi al suolo letteralmente i paesi dei “briganti insorti” di Pontelandolfo, Casalduini, Campolattaro, mentre Gaeta veniva cannoneggiata e saccheggiata (2.000 cadaveri vennero messi in una fossa comune), Vennero fucilati gli insorti di Bronte, Nicosia, Biancavilla,Leoforte, Racalmuto, Niscemi, Trecastagni, San Filippo D’Agira, Castiglione, Noto, Regalpetra, furono uccisi e trucidati 150-160 insorti a Gioia del Colle, stessa sorte fu riservata agli insorti di Vieste,tra cui un arciprete, 4 canonici, un capitano della Guardia Nazionale e 21 militi, 60 a Montecillone, 1245 ad Isernia, 45 ad Auletta,40 a Pietralcina, 5 a Paduli, 232 a Nola, 117 a Scurcola, 526 nel Teramano, 50 a Casamari, dai 135 ai 150 a Montefalcione, Vena Martello,153 fucilati a San Vito e 120 deportati, Ruvo del Monte, Pagese, San Marrtino, San Marco in Lamis, Cotronei (paese Calabro di etnia Albanese) Guardiaregia, così come furono dati alle fiamme i paesi di Vico, Rignano,Palma, Barile, Campochiaro.
In sintesi si contarono dai 54 agli 81 paesi distrutti, sia i “Briganti” che le “Brigantesse” seviziate con particolare crudeltà, anche dagli Ussari così come assoldati, venivano esposti nudi nelle pubbliche piazze. Furono proprio queste stragi anche degli innocenti (un milione di vittime su 10 milioni di popolazione, con un P.I.L. secondo il CNR, terzo, a quei tempi solo all’Inghilterra ed alla Francia,) che forse determinarono anche in Grottaglie un moto di reazione.
In effetti il Sottoprefetto Bozzi già nell’aprile del 1862 rimproverava i Sindaci di non vigilare alla repressione ed alla reazione di “…ogni minaccia alla sicurezza ed alle persone”.
Mitiche le figure a Grottaglie di Papa Ciro Annicchiarico ed a San Marzano di San Giuseppe di Cosimo Mazzeo conosciuto con il soprannome di Pizzichicchio. Fu infatti proprio Pizzichicchio che la notte del 17 novembre 1862 irrompendo da Porta Sant’Angelo, al grido “Viva Francesco II” ed “Abbasso i liberali” “Viva i piccinni nostri” entrò in Grottaglie e distrusse tutti i ritratti di Vittorio Emanuele II, in ciò indirizzato da tutti i renitenti alla leva di origine Grottagliese, che non volevano comunque essere arruolati nelle forze Sabaude. Il giorno 19 novembre 1862 era stato destinato appunto al sorteggio delle nuove reclute ed in parte questo fu il motivo della rivolta che fu animata da tale Francesco Monaco, così affermano alcuni storici, mentre l’Arciprete Michele Orlando, pubblicando uno scritto, ebbe ad assolverlo totalmente da ogni responsabilità.
Scritto, questo, però mai rinvenuto.
“I briganti in numero di ventisei irruppero a piedi ed a cavallo dalla Porta Sant’Angelo ed in piazza acclamati dalla folla ebbe ad udirsi “fuori i lumi” e “la piazza si Illuminò come in una sera di festa”
Si presero di mira subito gli Uffici della Guardia Nazionale, dove vennero trafugati 16 fucili, si passò al Carcere e si liberarono tre detenuti ad uno dei quali, giù in piazza, si ordinò di inneggiare a Francesco II. Furono prese di mira il Palazzo Maggiulli, la casa di Giuseppe Pignatelli, trafugandone 2 cavalli, così come successivamente si passò ad un vero e proprio esproprio proletario sui negozi di alcuni facoltosi commercianti e persino una rivendita di tabacchi “dove non fu lasciato neppure un sigaro”. Gli atti di rivolta durarono tutta la notte sino all’indomani, allorquando intervenne un Distaccamento del 30° Reggimento, 150 Militi della Guardia Nazionale, i Carabinieri di San Giorgio Jonico, il Sottoprefetto di Taranto ed il Procuratore Del Re. La sommossa fu stroncata con arresti in massa e giustizia sommaria. In sintesi – conclude Michele Mirelli – anche Grottaglie espresse il proprio dissenso alla unificazione d’Italia, ma questa è storia che non può pronunziarsi ed è storia che certamente non può entrare nei libri di testo!
Eppure ci appartiene!!!
Le informazioni qui in parte trascritte – conclude Michele Mirelli – sono state tratte da “Terroni” di Pino Aprile e da “Amministrazioni ed amministratori postunitari grottagliesi” di F. Stea e L. Galletto, edito a cura della Banca Popolare Jonica -Grottaglie (testi interessantissini e che indico alla lettura).»