Santoro Filippo arcivescovo Taranto
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È una serata che ha come oggetto il “genio” – ha riferito Aldo Capotorto che l’ha organizzata – il genio dell’uomo e non solo perché Gaber e Jannacci sono dei geni, e Valerio Capasa e i suoi giovani musicisti della GaJa Band sono geniali nel riproporre la loro esperienza musicale e artistica e la loro sensibilità, ma anche perché c’è un genio che è tipico dell’uomo, è originale, è il genio di ciascuno di noi, e si chiama “carità”. Questa capacità di interesse e di passione per ogni uomo, chiunque egli sia, con i suoi bisogni”.

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È iniziata così la serata di beneficenza al Teatro Auditorium Tarentum, “Se potessi cominciare a dire noi”, percorso di canzoni di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci, interpretate e introdotte da Valerio Capasa e dalla GaJa Band, il cui incasso è stato devoluto interamente al Centro Notturno di Accoglienza della Diocesi di Taranto.
Per questo, prima del concerto, sua Eccellenza Monsignor Filippo Santoro, è stato invitato sul palco per rendere tutti partecipi della sua opera di carità.
Quando sono stato invitato, sono stato molto contento – ha riferito l’arcivescovo – sia per risentire le canzoni di Gaber e Jannacci, sia per sentire dal vivo il lavoro che Valerio Capasa ha messo in piedi con i suoi giovani amici musicisti, e per l’obiettivo della serata che aveva anche oltre all’ascolto e alla partecipazione di un momento musicale di alta qualità, anche la presentazione del restauro del Palazzo Santacroce, che avrà come finalità, l’accoglienza dei senza tetto, dei senza fissa dimora.

Il genio della carità di cui ha accennato Aldo Capotorto, è il desiderio di andare incontro al bisogno dell’altro, sopratutto quando per esempio vedi qualcuno che sta dormendo in un’auto, per giorni e giorni e gli vuoi offrire una casa.
Questo è stato il motivo – ha continuato l’arcivescovo – che lo ha portato a pensare che come opera della comunità ecclesiale ma anche civile, si potesse offrire una casa, ai senza tetto, ai senza fissa dimora, a quelli che preferiscono, per varie circostanze della vita, vivere in giro, per cui poi hanno bisogno di alimentarsi, di lavarsi, dei servizi, di un’accoglienza.
C’era già l’idea di restaurare il Palazzo Santacroce, legato proprio alla casa del vescovo. Si pensava di ampliarlo per i servizi della Caritas, poi essendovi poche persone che vi abitavano, sono state sistemate altrove degnamente.
A questo punto all’arcivescovo è venuta naturale l’idea di fare proprio lì, un Centro Notturno di Accoglienza. Questa idea è stata lanciata a partire della Quaresima di due anni fa, prima che cominciasse il Giubileo della Misericordia.
Su questa opera l’arcivescovo aveva convocato tutta la comunità affinché tutti si partecipasse, a partire dalle confraternite, affinché tutti i ricavati delle varie processioni e di altri momenti liturgici, fossero indirizzati non a scopo di lucro, ma di carità. E quindi, le parrocchie, i movimenti, le comunità sono state coinvolte, affinché tutti assecondassero questo desiderio di costruire, di offrire una casa di accoglienza, di poterla fare anche non avendo i mezzi.
Bene, così l’opera è andata avanti, si è sviluppata. Nel Giubileo della Misericordia, Papa Francesco aveva poi detto che sarebbe stato bello se ogni diocesi avesse lasciato un segno del cammino fatto e quindi questa opera è venuta proprio a pennello, questa opera che stanno quasi per concludere.

Un’opera che probabilmente per la festività di San Cataldo, sarà pronta. Cominciano ad esserci dei volontari necessari per una conduzione, una condivisione, che mettono a disposizione la loro capacità di servizio, nella cucina, nella pulizia e così via.
Ma poi l’idea fondamentale è quella di una circostanza in cui non solo si fa l’offerta, ma ci si mette in gioco, cioè si vuol essere vicino, si vuol partecipare. Quindi non solo l’offrire una casa, ma pensare a creare un clima, un ambiente di casa, in cui i senza tetto si sentano accolti, in cui non si sentano estranei, o che non gli si sta facendo un favore, in modo che l’accoglienza sia piena di dignità.
La struttura presenta 40 posti per uomini, 20 posti per donne, 3 suite per ragazze madri, il parrucchiere, il barbiere, le docce, la mensa, la farmacia, tutti i servizi più necessari, affinché venga facile creare un clima in cui le persone possano avere uno spazio di dialogo e di incontro tra di loro.
Si vuol creare un punto d’incontro, un punto in cui il desiderio di andare incontro ai più bisognosi si traduce in opera visibile in un rapporto e in una struttura.

La ristrutturazione del Palazzo Santacroce è andata avanti di proposito secondo i migliori canoni del restauro. Sta venendo fuori un palazzo del ‘700 restaurato a regola d’arte, come il palazzo vescovile. Ci sarà in questo centro di accoglienza una realtà bellissima, un edificio molto bello, tanto che qualcuno potrebbe aver pensato che fosse sprecato, tanto sarebbe bastato un prefabbricato o un capannone.”

Ma a tal proposito Monsignore ha tagliato corto: “Quello che noi vogliamo fare è di offrire ciò che noi vorremmo per ciascuno di noi, e cioè una casa bella, una realtà di accoglienza anche essa bella, perché tutti abbiamo bisogno della bellezza, tutti abbiamo bisogno di qualcosa che ci faccia contenti, sereni. È il segno del significato buono della vita, e quindi particolarmente i poveri hanno diritto alla bellezza! Questo è il grande messaggio che abbiamo imparato nell’incontro con il Signore”.

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