Già, Pino Daniele ha preso il largo tra gli orizzonti degli sconfinati attraversamenti. Come un cielo lacerato nelle nostalgie del Sud che ha la musica come anima e tempo. Non c’è più un altro amico sincero. Un altro amico con il quale raccontavamo pezzi di Mediterraneo.
Una malinconia tutta mediterranea nell’incastro dei suoni che richiamano echi che sembrano giungere da mari distanti o dai confini dai vicoli che intonano voci. Le voci di una Napoli che non è soltanto una città o un luogo tra gli intagli di tradizioni. Ma un essere, e da questo essere parola e suono si sprigiona una musica che è blues, ma è sostanzialmente una parola che recupera tutto il tempo dell’ascolto.
Una mediterranea malinconia quella di Pino Daniele. Una generazione che si è spezzata in quella archeologia dei linguaggi che riporta tocchi di una radicata cultura popolare. Una cultura che ha ritmi di paesi e popoli, di civiltà e tradizioni, di scavi e di elementi che hanno una magia che è lettura popolare, certamente, come ho già detto, ma hanno bassi e alti, nostalgie e acuti che restano come modelli di un archetipo che è un luogo chiaramente, ma è soprattutto un essere. Ovvero un etnos che si dilata lungo il viaggio di una città metafisica.
Questo mediterraneo diffuso, in fondo, ha la voce calda del tempo nel graffio della memoria.
Pino Daniele è stato un costruttore di immagini che non si vedono soltanto, ma si sentono, si avvertono, si dilatano nel circuito breve e/o lungo di una vita vissuta per essere raccontata come mosaico di tradizione.
Quella sua voce aveva qualcosa di labirintico. Le parole una calda frustata del vento dei mari e dei deserti. Frustate di caldo in un Sud immaginario reale immenso straordinario spericolato vero. Una voce. E non per cantate soltanto, ma per narrare una Fabula nell’antico e nel moderno della sensualità onirica. Un luogo è un posto dove fermarsi per abitarlo o dove potersi abitare.
Pino Daniele ha abitato il luogo dell’anima che è l’anima di un mediterraneo diffuso dentro una città. Una città? Un cuore pulsante tra le emozioni e le sensazioni. Già un “cuore”! Attraverso la parola e i suoni ha raccontato l’insieme di etnie diffuse in una civiltà di miti simboli leggende amori mediterranei.
Quei suoni restano spazio – parola. Una dimensione che ha segnato la misura della memoria. Proprio da questo punto di vista la lettura è antropologica. Antropologia che è sostanza di un tempo indecifrabile e indefinibile. Ma la sua esistenza musicale è stata sempre un cercare. Oltre i luoghi vissuti e passati. Oltre l’essere nel presente con un canto che resta come un costante cantico.