Era una calda serata di una domenica di fine novembre del 1980. Ricordo che stavamo guardando la televisione in attesa del telegiornale delle 20 quando ad un tratto mio padre disse che aveva appena avuto l’ impressione che la sedia a dondolo sulla quale era seduto si fosse mossa da sola.
Io, mio fratello e mia madre non ci accorgemmo di niente. Notammo solo che il gatto che era accovacciato vicino a noi si trovava spostato di qualche centimetro più avanti. Sicuramente qualcosa era successo. Lo sapemmo subito, appena meno di mezz’ ora dopo al telegiornale. Una forte scossa di terremoto del 9°-10° grado della scala Mercalli era appena stata registrato a cavallo di tre regioni: Campania (la più colpita), Basilicata e Puglia. Sembrava essere addirittura più violento di quello verificatosi quattro anni prima in Friuli che aveva fatto quasi un migliaio di vittime. Le notizie arrivavano frammentarie. All’ inizio si parlò di decine di morti, poi di centinaia, alla fine di migliaia, oltre 10.000, con interi paesi completamente cancellati dalla carta geografica. Le edizioni straordinarie del telegiornale si ripetevano e le notizie che giungevano erano sempre più drammatiche. Il ritardo dei soccorsi rendeva la situazione sempre più incerta con molta gente ancora viva a gridare aiuto sotto le macerie. Il giorno dopo a scuola non si parlava d’ altro. La mia maestra riferì di averlo udito, di essere scesa in strada, di aver preso la macchina e di aver guidato fino a Taranto senza una meta precisa.
Anche qui da noi c’erano state scene di panico generale. I parenti e gli amici venivano a casa e raccontavano le loro esperienze: ”Tu n’tisu ieri sera lu tirramoto? A casa mea s’è scasciatu lu specchiu ti intra’ llu corridoio!”. Scoprii che molti lo avevano sentito eccome. Chi si era messo in macchina alla volta addirittura della Jugoslavia, chi aveva preso i figlioletti ancora piccoli ed era sceso in strada temendo crolli. Di certo il terremoto lo avevano avvertito quasi tutti soprattutto nel centro del paese. La situazione più drammatica era per chi aveva parenti o qualche figlio che faceva il militare a Napoli, ad Avellino, a Salerno, a Potenza o a Foggia. All’ epoca a Grottaglie il telefono lo avevano ancora non molte persone e soprattutto nella mia zona che era nuova. Iniziarono subito le azioni di solidarietà per le popolazioni colpite. A scuola ci dissero di portare abiti vecchi usati da donare ai terremotati. Ricordo che mia madre prese dal suo armadio un bel po’ di vestiti che usava da ragazza, vestiti anni ’70. Ricordo in particolare un cappotto a quadri di mia madre ed un giacchetto di pelle nero di mio padre. Li arrotolò in grosse buste di cellophane e disse a me e a mio fratello :”Nà, scià purtatele pi quiri puriedde...”.
Davanti alla scuola Calò, sui gradini del portone d’ entrata, c’erano i miei compagni di classe anche loro con abiti ormai non più usati da donare ai terremotati. Ricordo che la solidarietà fu grande e da parte di tutti. Certo non mancavano le battute di pessimo gusto :”Tu purtatu li rrobbe pi li terremotate?”, “Ce rrobbe e rrobbe, chiù terremotate ti nue?”. Quando riferivo a mia madre che qualche adulto mi aveva riferito certe parole, lei si arrabbiava tantissimo. La solidarietà durò giorni e giorni finchè la gente non aveva più abiti vecchi da donare e cominciammo a dare anche beni di prima necessità come pasta e pane. Ognuno dava quel che poteva. Molti ricordavano quei paesi sulle montagne dell’ Irpinia, dove magari anni prima quando non vi erano le autostrade e si procedeva paese per paese avevano comprato durante il viaggio degli ottimi salumi e formaggi. Quei paesini ormai non esistevano più, erano stati completamente cancellati dal terremoto. Solo dopo alcune settimane si ebbe il reale bilancio dell’ accaduto: il terremoto dell’ Irpinia del 23 novembre 1980 alle 19:34 provocò la distruzione di oltre 360.000 abitazioni e la morte di 2.914 persone.
Nel dopo-terremoto non mancarono innumerevoli episodi di speculazione per la ricostruzione. A tutt’oggi vi è ancora un’ accisa di 4 centesimi su ogni litro di carburante acquistato per finanziare il terremoto in Irpinia.