“E l’ erbaiuol rinnova di sentiero in sentiero il grido giornaliero...” scriveva Giacomo Leopardi nella “Quiete dopo la tempesta”, ben centottanta anni fa. E quel grido giornaliero esiste tuttora soprattutto nelle nostre realtà meridionali assumendo di volta in volta quel colore particolare che affonda le sue radici nella cultura di cui è figlio e che ci porteremo sempre dentro come parte del nostro vissuto. Per quanto io possa, dato la mia relativa giovane età, cercherò di farvi un affresco di quelli che sono stati i “gridi giornalieri” dagli anni ’80 ad oggi a Grottaglie.
Uno dei primi suoni ambulanti che ricordi più che un grido era un suono. Andavo ancora al liceo e la mattina venivo puntualmente svegliato dal suono ripetuto e particolare che proveniva da un Ape che portava a casa dei vicini il pane fatto in casa ricoperto col classico “scialle ti lana pisante”. Era “l’ Ape ti lu Streco”. C’erano poi i venditori di frutta e verdura conosciutissimi soprattutto dalle massaie della loro zona di competenza.
C’era quello che verso Piazza Verdi vendeva i fagiolini con l’ ormai famosissimo grido perentorio e ripetuto:” Li faggioline, li faggioliiine!”. C’erano quelli che sentivo spesso passare per la zona Capone come “Sciamne all’ accia scià. Sciamne alli pipalure paesane scià”, oppure “Iamme ch’ è bellu lu pisellaro, iamme ch’ è bellu lu pisellaaaro, iamme ch’ è bella la pummaruola, iamme ch’ è bella la pummaruooola” o ancora “Meloni, melooooni!” seguito da un ripetuto suono di clacson.
Molto particolare come grido era quello dell’ omino che vendeva li pampanedde durante l’ estate :” Frischi sontu li paaaaaampanedde!”, partiva quasi silenzioso per poi crescere con la voce fino al pampanedde finale. Molto azzeccato era il grido di un venditore di frutta e verdura d’ estate che reclamizzava i suoi succosissimi pomodori per fare le friselle “Pummitore cu la simenta pi li frisedde!!!” come non comprarli.
C’era poi quello che vendeva le patate sulla 167 che gridava una frase che si riusciva a capire solo per metà :”Tre sacchi di patate tre mila lire...”, i puntini di sospensione stanno appunto al posto della continuazione che nessuno ha mai capito e che comunque ha interpretato a modo suo. C’ era poi quello che vendeva l’ olio e la “moria” che gridava:” Ollia moriaaa”, chiaramente per gli amici meneghini sarebbe stato praticamente impossibile capire.
E poi come poter dimenticare il mitico “Siggiaro” con la sua voce per alcuni inquietante ma particolarissima ed inconfondibile: “Ripara li scegge… lu sciggiaaro. Scegge a sdraiaaa, scegge ti legnoooo. Lu sciggiaaro...”, semplicemente favoloso. Celeberrimi anche gli slogan dell’ omino che ritirava i ferri vecchi e del venditore di galline che ancora oggi si sentono girare soprattutto più in periferia:” Farri vacchi, farri vacchi” e :”Uè li jàddineee”.
Come non citare poi la voce del camion che vende i materassi a molle:”Materassi, materassi, materassi. Materassi a molle. Tutto quello che vi occorre abbiamo, Sioorra!”. Ricordo che ai tempi dell’ università mi piaceva fare le imitazioni dei nostri ambulanti ai miei amici del Centro-Nord. Un giorno mentre ero a casa uno di loro mi chiamò emozionato non so da dove e mi disse “Angelo ascolta, non ci posso credere” e mi fece ascoltare al cellulare la voce in diretta di “Materassi a molle”. Bellissimo. Anche al Nord però hanno i loro miti come il famoso “E’ arrivato l’ arrotino e l’ ombrellaio...”.
Non posso però non citare i venditori al mercato. Ricordo che una mattina un venditore cominciò a battere con una gruccia contro il palo metallico di sostegno della sua baracca gridando: ”Che robba, che robba, che robba, Siora” ed in pochi attimi uno sciame di donne quasi ipnotizzate si avvicinò calamitato dalla sua merce. Sicuramente il signore sapeva il fatto suo.
Certamente questi suoni, queste voci sono parte di noi, della nostra cultura. E sono convinto che i nostri compaesani che vivono lontani dal loro paese si emozionerebbero a risentire queste voci familiari. Magari noi che viviamo sempre a Grottaglie le diamo per scontate ma vi posso assicurare che nella lontananza possiamo tranquillamente annoverarle tra le cose che ci mancano del nostro amato paese.