Ricordare nella preghiera i primi padri del cristianesimo è per un credente ritornare con la memoria alle proprie naturali origini. Fare memoria è un po’ come invita già il profeta Isaia quando dice “Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti” (51,1). Pietro e Paolo, come recita un testo della Messa di oggi, sono infatti le “primizie della fede cristiana” (preghiera di Colletta) e per ciò stesso come le nostre radici; essi hanno preso da Cristo l’acqua della vita e con la loro vita hanno fatto si che Egli fosse trasmesso fino a noi, ultimi frutti di un albero rigoglioso quale la famiglia di Dio.
Essi furono, in modi e tempi diversi, chiamati a seguire Cristo, unico Maestro, e a testimoniarlo. Pietro è uno dei primi discepoli ad essere scelto; è sempre il primo negli elenchi degli apostoli ed è il testimone di molti avvenimenti importanti, ad esempio la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor (Mc 9).
In altre parole, vive con Gesù tutte le tappe del suo ministero e, sebbene abbia avuto dei momenti di esitazione e paura, sarà lo stesso che traghetterà la barca della Chiesa primitiva fino a dare la vita, come già Gesù gli aveva preannunciato (Gv 21,18-19).
Di lui conserviamo due lettere e possiamo dire che è un modello del vero discepolo, perché non dirà mai di essere lui l’inventore di un grande messaggio divino, ma che invece è anzitutto “discepolo di Gesù Cristo” (1Pt 1,1). Gesù stesso riconosce l’autorità che l’Apostolo ha sul gruppo dei discepoli quando nel vangelo di Matteo a Pietro che gli dice “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, egli risponde “E io a te dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,13-19).
Con queste parole Pietro è eletto capo degli Apostoli e guida della Chiesa. Paolo, a differenza di Pietro e del resto dei Dodici Apostoli, non conosce Gesù mentre questi è in vita, né quindi è chiamato alla sua sequela alla pari degli altri. Di Paolo per tre volte il libro degli Atti degli Apostoli ci racconta la vocazione (capitoli 9, 22 e 26) ed è questo libro che, assieme alle sue lettere, costituisce la maggiore fonte di informazioni su di lui.
Questi testi ci danno delle testimonianze su circa trent’anni della sua vita ed è sorprendente vedere come lo stesso Paolo che prima condannava a morte i cristiani (At 7) ora stia dalla parte di Cristo, a tal punto che a Roma darà la vita per Lui. Così dice di sé nella lettera ai Galati: “Avevano soltanto sentito dire di me: Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunciando la fede che un tempo voleva distruggere” (1,23).
Di tutta la produzione paolina possiamo dire che i versetti 7-9 del terzo capitolo della lettera ai Filippesi siano tra le migliori descrizioni del suo cambiamento interiore; scrive infatti l’Apostolo: “Per il Cristo ho giudicato una perdita tutti questi miei vantaggi. Anzi, li giudico tuttora una perdita a paragone della sublime conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il cui amore ho accettato di perderli tutti, valutandoli rifiuti, per guadagnare Cristo ed essere in Lui”.
Gesù aveva tanto inciso il suo cuore che niente era più importante di Lui nella vita dell’Apostolo. Pietro e Paolo, pur avendo trascorsi di vita differenti si sono anche conosciuti e avevano un grandissimo rapporto di stima. Se non fosse così non si spiegherebbe infatti come mai Pietro possa dire di Paolo che è il suo “amato fratello” (2Pt 3,15), né potremmo spiegarci perché Paolo decida di andare da Pietro e, nonostante l’urgenza di dover viaggiare per il Vangelo, rimanervi quindici giorni (Gal 1,18).
Quest’ultima annotazione non è di poco conto; infatti se Paolo decide di raccontare ai Galati l’alta considerazione che lui ha di Pietro, altro non è che un esplicito riconoscere l’autorità dello stesso capo degli apostoli. Anche oggi, nonostante le divergenze di vedute tra cristiani, sappiamo che Pietro, nella figura del Papa, è il segno visibile dell’unità di tutto il genere umano con Dio e del genere umano in sé. Questo lo comprendiamo con il già noto esempio del gregge e del pastore. Il gregge non esiste quando c’è un gruppo di pecore sparse, ma solo quando un pastore lo raduna; così accade per la Chiesa che è il gregge grande di Dio, radunato sotto la figura visibile di Pietro e dei suoi successori.
Perché oggi celebrare insieme questi due apostoli? Se il beato Giovanni Paolo II ebbe modo di scrivere in un’enciclica che, in virtù del martirio comune subito a Roma, Chiesa di Roma è “la Chiesa di Pietro e Paolo” (Ut unum sint, 90), noi possiamo aggiungere le parole di un altro testo della Messa di oggi, il Prefazio, che rivolto a Dio così recita: “Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea, che costituì la prima comunità con i giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti. Così, con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa, e associati nella venerazione del popolo cristiano condividono la stessa corona di gloria”.
Seguire Pietro e Paolo è un’avventura affascinante. Anche per chi non ha fede, affascina poter entrare nella loro vita la quale, trasformata da Cristo, non è più la stessa di una volta. Camminare sui loro passi significa, infatti, non solo tornare alle origini del cristianesimo, ma anche rivivere dopo duemila anni le prime difficoltà e le prime conquiste. Seguire la loro tenacia è scoprire che si diventa anziani solo quando sono morti i desideri nel cuore e non quando sul volto si affacciano le prime rughe.
Seguirli ci porta a scoprire le difficoltà della fratellanza e del costruire una comunità, ma più di tutto ci fa scoprire che solo una profonda fiducia nel Signore può sorreggere il cammino della vita. Di entrambi la tradizione ricorda che morirono martiri a Roma, probabilmente tra il 64 e il 67. In seguito, in onore di questi due testimoni sono state costruite le basiliche che portano il loro nome. Oltre queste, rispettando le pur notevoli differenze, mi piace ricordare che anche a Grottaglie la cappella di San Pietro (sita in via Forleo) è una testimonianza della devozione verso il primo degli Apostoli.
Il loro ricordo liturgico ricorre il 29 giugno per una tradizione antichissima. Infatti, ne parla già un documento antico che è la Depositio martyrum del 354, anche se probabilmente la loro memoria si celebrava già prima che nascesse la festa del Natale. Questo elemento cronologico non è di poco conto perché se tutto l’anno liturgico è memoria della Pasqua del Signore, la commemorazione dei martiri ci fa ricordare che essi sono testimonianza del compimento della Pasqua di Cristo nella vita personale di chi sceglie di seguirlo, anche fino alla morte.