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Giunge in questi giorni in libreria “Nulla è stato inutile”, l’ultima opera di Alfredo Annicchiarico, edito da Les Flaneur. Un lettore attento potrebbe divertirsi con un ideale gioco di specchi tra questo romanzo e quello che lo ha preceduto; qui abbiamo un “nulla” e lì abbiamo un “tutto”, qui si parla al passato e lì al presente, qui il protagonista cerca una forse impossibile risposta, lì il protagonista fa un po’ troppe domande.

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La Storia siamo noi

Il dolore non vale da obiezione alla vita” scriveva Friedrich Nietzsche, e capita così che si sopravviva anche al dolore più grande, sia subito che inferto, sia pure con le cicatrici che ti rimangono sul corpo e nell’anima come spietati post-it. C’è chi per cancellarle usa l’acool, chi l’adrenalina, altri la dissezione del percorso che ha condotto al punto in cui tutto cambia per sempre.

Farlo non serve a nulla, lo sappiamo tutti, eppure tutti ci illudiamo che per noi sia diverso, che noi riusciremo dove altri hanno fallito, che noi – sopravvissuti come la protagonista del romanzo di Josephine Hart – non saremo pericolosi per coloro che avranno la ventura di incrociare il loro destino col nostro.

Roberto Ruggeri, protagonista di “Nulla è stato inutile”, non fa eccezione, e pagato il suo conto con la giustizia degli uomini, decide di affrontare una prova ben più impegnativa, ripercorrendo un passato che ritorna ad essere presente. Membro di un gruppo terroristico che si macchia dell’omicidio di un sindacalista, compiuto davanti agli occhi della figlia bambina, Ruggieri scontata la sua pena e rimessi insieme i pezzi della sua vita cerca il perdono di quell’orfana oramai divenuta donna.

C’è chi lo sostiene e chi lo dissuade, chi lo comprende e chi non lo capisce, chi lo aiuta a guardare al futuro e chi lo riporta drammaticamente al passato, smentendo la consolatoria speranza che tutti i fantasmi scompaiano al sorgere del sole. Se e come quel perdono arriverà non lo diremo qui, lasciando al lettore il dipanarsi degli eventi che sino all’ultima pagina si inseguono, concludendosi con le parole del titolo e raccontando un periodo troppo lontano per la memoria e troppo vicino per la storia.

Roberto Ruggieri chiede molto agli altri e forse molto poco a sé stesso, anche se a lui pare il contrario, la vita si incaricherà di pareggiare i conti, senza necessariamente preoccuparsi di fare giustizia. Tra colazioni scadenti ed una ex moglie paziente, un figlio con preoccupazioni da adulto e una libreria caduta nell’adempimento del dovere, il romanzo presenta personaggi ed eventi in un incastro sapiente che si concede il lusso di rinunciare a prevedibili colpi ad effetto e svenevoli melodrammi da telenovelas sudamericana.

Tutto è misurato, nella scrittura di Alfredo Annicchiarico, tanto l’ironia come la tragedia, perché la vera abilità dello scrittore sta nell’impiegare sentimenti ed emozioni con la capacità di evocarli ed il pudore di tacerli. Non mancano quelli che sono oramai dei veri e propri “marchi di fabbrica” di questo scrittore giunto ormai al suo ottavo romanzo: le metafore tratteggiate e le descrizioni mai sopra le righe, una ironia mai sguaiata, la copertina che dice molto a chi ha la accortezza di osservarla con attenzione (d’altronde, Luigi Petraroli, autore della immagine, è un genio nell’immortalare attimi di vita) e la playlist musicale, colonna sonora che idealmente accompagna la lettura, accessibile tramite un QR Code nella terza di copertina.

Una città per/da cambiare

“Nulla è stato inutile” è ambientato a Taranto, una città che ha molto in comune con il protagonista del romanzo. Una città che oggi paga le scelte del passato, che ora ci appaiono scellerate ed allora le migliori possibili, una città ricca di passato, povera di presente e stordita dal futuro.

Taranto, bella e dannata, da qualche tempo è spesso scelta come set cinematografico per produzioni di vario genere: commedie, serie televisive, action movie e addirittura fantascienza. Non altrettanto frequenti sono le opere letterarie, e non certo perché la Città dei Due Mari non abbia di che arricchire prosa e poesia, viste – una per tutte – la descrizione che ne diede Pasolini nel reportage sul suo viaggio lungo le strade italiane.

Alfredo Annicchiarico la tratteggia da par suo, senza nasconderne i difetti e le brutture e senza girare il coltello nelle piaghe di inquinamento e malaffare che da decenni la portano periodicamente alla ribalta delle cronache nazionali. Lo fa rendendola il palcoscenico ideale di una lotta di classe immaginaria, che in effetti si fatica a credere non sia mai scoppiata in uno stabilimento che impiegava decine di migliaia di persone. Ma Taranto non era Torino e l’Italsider non era la Fiat, qui le pistole hanno sparato per droga ed estorsioni e non per riscattare il proletariato, e va ad ulteriore merito del romanzo aver immaginato che al fianco dei metalmezzadri poteva anche esserci chi smentiva il cemenefuttismo ionico.

A Taranto c’è chi torna per chiudere i suoi conti in sospeso e da Taranto c’è chi parte per aprire un nuovo capitolo della sua vita.
Tutto è compiuto.
Nulla è stato inutile.

Roberto Ruggeri è un traduttore di successo, ma durante gli Anni di piombo ha fatto parte di una banda armata che pretendeva di salvare il mondo, dichiarando guerra allo Stato e combattendo per cambiare il sistema e le condizioni di vita degli operai, nella città dominata dalla fabbrica e dai suoi altiforni. Esule in Francia, è stato arrestato e ha scontato la pena, fino a essere finalmente reintegrato nella società civile.

Ma se durante la sua giovinezza la lotta armata era un torrente carsico che scorreva sottotraccia fino a emergere in superficie e allargarsi in cerchi concentrici, portando con sé i tumulti del sottosuolo, con la stessa dinamica il passato di Roberto riaffiora e si insinua nei suoi giorni, obbligandolo ad affrontare il dolore che ha arrecato alle vittime. Soprattutto a colei che ancora bambina ha assistito all’esecuzione di suo padre da parte del commando di Roberto e dei suoi compagni.

Con l’ausilio di uno psicologo tutt’altro che convenzionale, l’uomo intraprende così, a quasi settant’anni, un accidentato percorso di riabilitazione che gli consentirà – forse – di ricomporre quella frattura e di riconciliarsi con le ombre della sua vita.

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