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Aveva soltanto 63 anni. Gli anni sono un intreccio di secoli. Avevo conosciuto Giorgio Faletti al Salone Internazionale del Libro di Torino nel 2010 e poi nel 2011. Uno scrittore, con la sua esperienza di attore, cantante, autore di testi, pittore, che mi incuriosiva. La sua “seriosa” ironia e il suo sorriso appena accennato lo rendevano ancora di più accattivante. Parlò di letteratura usando un linguaggio altro rispetto agli scrittori che vogliono essere a tutti i costi scrittori. Faletti non si perse mai dietro il linguaggio impostato. Pirandelliano fino a restarne felicemente consapevolmente “prigioniero”

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Quasi quasi inventò in nuovo genere di thriller già dal 2002 con “Io uccido”. Un romanzo molto affascinante. Soprattutto dal punto do vista degli incastri che strutturano una storia. Uomo ironico e malinconico. Già nelle sue canzoni, l’ironia si intrecciava con la malinconia. Ma questo intreccio aveva un senso anche se il labirinto delle parole certificava anche il suo umorismo.

“Io uccido”: “L’uomo è uno e nessuno. Porta da anni la sua faccia appiccicata alla testa e la sua ombra cucita ai piedi e ancora non è riuscito a capire quale delle due pesa di più. Qualche volta prova l’impulso irrefrenabile di staccarle e appenderle a un chiodo e restare lì, seduto a terra, come un burattino al quale una mano pietosa ha tagliato i fili”

Ricordo. Pirandello fu, comunque, un ritratto che ci accomunava. Non parlammo, però, mai di letteratura in modo “professionale” o sul piano critico. Su Pirandello discutemmo di recita e sogno. D’altronde agli scrittori non compete discernere del breviario delle letterature comparate. Poi per Faletti vennero altri incontri nelle misure del tempo e quel suo romanzo non smise di affascinare.

Dopo Torino ci furono altri incontri. Altri confronti. Nella sua scrittura il linguaggio è come se nascesse dall’immagine. Ovvero dalla costruzione di un immaginario che si offriva già con dei personaggi predefiniti. Quella scrittura non avrebbe una sua struttura narrante senza la centralità dei personaggi.

Si pensi a “Io sono Dio” del 2009. Letteratura e umanità in un solo inciso: “Uomini hanno vissuto per pensare e altri non hanno potuto farlo per essere stati costretti alla sola incombenza di sopravvivere”.

Tutto tirato sul filo che forma una ragnatela simbolico – reale in una tramatura di segni, ma anche di penetranti fatti che i personaggi vivono. È una questione di lingua e di profili, di storie e racconti che delineano una impalcatura narrativa consistente sia sotto l’aspetto letterario che su quello dell’intreccio di una intelaiatura realistico – rappresentativa.

“Niente di vero tranne gli occhi” del 2004 è molto suggestivo e credo che resti uno dei testi “sommativi” del suo narrato. Basta una chiosa per uno scavo suggestivo e forte: ““Si dicono parole che lasciano dietro conseguenze e significati. Si fanno gesti che possono ferire, per volontà espressa o per leggerezza. O per il semplice timore di essere feriti”. Come anche “Appunti di un venditore di donne” del 2010: “…ogni volta che ci provo si sovrappongono a quelle sequenze i suoi occhi, troppo belli per essere veri, troppo belli per essere finti”.

I racconti si intrecciano in queste atmosfere e in questi percorsi che danno un senso originale alla scrittura. In fondo, l’attore, il cantante, il pittore Faletti è come se vivessero, ognuno per proprio conto ma poi assemblati, nello spazio dell’anticamera dei diversi personaggi che si delineano nel viaggio dei dialoghi.

Al 2011 appartiene “Tre atti e due tempi”. Un titolo che ha una teatralità certamente ma anche una enigmaticità scavata nel paradosso tra l’umorismo pirandelliano e l’assurdo richiamante Ionesco.

Uno scrittore in una stagione di vita. Breve. Sia tra i vissuti dell’esistenza sia tra le esistenze stesse della scrittura. Era nato nel 1950. dal 4 luglio di quest’anno non c’è più.

Lo ricordo. Con giovialità e con il sorriso accogliente di uno sguardo profondo che, nonostante tutto, mascherava sempre una dolce e pungente malinconia. La vita è fatta di appuntamenti. Mai di resoconti da rivedere. Lo ricordo. Un ricordo che è memoria e dura tra gli anni insondabili.

Mi risuona nella voce e nell’anima una frase che non smette di bussare. Da “Io sono Dio”. Rimbomba: “Io non esisto più. Sono un fantasma”. Cosa aggiungere ancora? Silenzio e una rilettura di un suo libro.

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