«La dignità del lavoro e la tutela dell’ambiente, due temi fondamentali del magistero di papa Francesco, a Taranto sono due facce della stessa dolorosa medaglia.» E’ quanto afferma S.E. Monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, in una intervista pubblicata su “Famiglia Cristiana” e riportata sul sito internet della Diocesi ionica.
«Quando marciava a pieno ritmo – ricorda Mons. Santoro, l’Ilva e il suo indotto valevano il 70 per cento del Pil provinciale. Fino al 2008, il gigante siderurgico più grande d’Europa produceva 9 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Dai 20mila addetti del 1980 oggi sono rimasti circa 12mila.» “L’arcivescovo di Taranto, ricorda la nota, era arrivato a Taranto da circa sei mesi quando la magistratura, il 26 luglio 2012, sequestrava gli impianti provocando una sommossa popolare. Accusa: disastro ambientale. Da allora molto è cambiato. La fabbrica continua a produrre ma un terzo dei dipendenti resta a casa a turno, molti fornitori hanno dovuto chiudere e nell’indotto hanno perso il posto in migliaia.
Al referendum del 2013 per decidere la chiusura dello stabilimento è andato a votare il 19 per cento dei tarantini, solo il 9 nel rione Tamburi, il più colpito dall’inquinamento.
Riassumendo brutalmente – conclude la nota riportata sul sito internet della Diocesi ionica, il motto di tanti che all’Ilva ci lavorano è questo: ‘Non vogliamo morire di cancro ma neppure di fame’. “