Due le date pugliesi dello spettacolo di Max Collini; a Lecce e a Monopoli l’ex cantante degli Offlaga Disco Pax torna a raccontare le sue “Storie di Antifascismo senza retorica” con la sua solita aria ironica e pungente.
Lo spettacolo, da cui è stato tratto un libro scritto insieme ad Arturo Bertoldi e pubblicato di recente da People, tratta – come esplicitamente evidenzia il manifesto dell’evento – di memorie, persone, resistenza; storie che partono dalla metà degli anni ‘40 del secolo scorso, quando il fascismo era quello delle camicie nere e dell’olio di ricino, sino ai decenni successivi, quelli della strategia della tensione e delle stragi indiscriminate.
A chiarire il tono dello spettacolo anche a chi non conoscesse Max Collini ci pensa la scenografia, essenziale ma esplicita: sullo sfondo una immagine di Rambo in tenuta da combattimento con in alto a destra il logo dell’ANPI, sul bordo anteriore del palco un micro mezzo busto di Lenin che domina su uno shopper con una scritta molto chiara: “Sta rottura de cojoni dei fascisti”, ispirata allo sfogo di un cittadino che così commentò la manifestazione di Casapound per l’arrivo a Rocca Di Papa di 100 migranti sbarcati dalla nave della Guardia costiera Diciotti dopo i giorni di stallo imposto dal Viminale.
La Storia e le Storie
Si abbassano le luci e il monologo inizia; il primo racconto è quello dedicato a Bertazzoni, un fascista che più fascista non si può, uno che veste da fascista, parla da fascista, agisce da fascista e piscia da fascista che fa una promessa avventata che – ahilui – dopo la liberazione si trova a dover onorare.
Seguono altri momenti, tristi e allegri, alcuni sono i testi già cantati da Max Collini con gli Offlaga Disco Pax e con Spartiti: Sensibile, che racconta del rapporto tra Giusva Fioravanti e Francesca Mambro; Ida e Augusta, le due tedesche di Gombio; la spedizione punitiva che voleva colpire Andrea Bellini, capo del servizio d’ordine del movimento milanese del Casoretto dei primi anni ‘70.
E poi altre storie, quelle di un altro Bellini, questa volta schierato sulla parte opposta della barricata e con una condanna in primo grado per la strage di Bologna; quella della prigionia in Austria del padre di Andrea “Pojana” Pennacchi, raccontata con dolente ironia come fosse una vacanza adolescenziale; quella del provvidenziale Toblerone (che – ci tiene a precisare Max Collini – niente ha a che fare con quello degli ODP) che ha salvato un viaggio di ritorno dall’URSS ed ha segnato – forse – la fine di una illusione; la descrizione dei benefici dello stato sociale e le vicende dei tanti partigiani a cui è dedicata una qualche via in qualche città, che percorriamo distratti ignorando il perché di quella intitolazione.
Castigat ridendo mores
Conclude lo spettacolo una citazione di Rossana Rossanda, preceduta dalla spiegazione della immagine presente sulla t-shirt indossata da Max Collini che – ispirata ad un iconico logo che esaltava New York – sostituisce al nome della città americana quello di Dongo.
Con ironia e senza praticamente mai citare “il marito di Donna Rachele” con il suo nome e cognome Max Collini racconta cosa avvenne a Dongo e perché ogni anno, in occasione dell’anniversario di quella fucilazione che per alcuni fu doverosa giustizia e per altri barbara vendetta, in quel paesino “sul ramo del lago di Como” convergano esponenti delle due diverse fazioni, con una evidente disparità di mezzi e ragioni a sostenere le proprie idee.
Anche in questo caso alle parole occorre far seguire i fatti, tanto che Max Collini invita tutti ad iscriversi alla sezione dell’ANPI di Dongo per sostenere praticamente chi si oppone intellettualmente, politicamente e praticamente le ragioni dell’antifascismo, non senza suggerire – con la sua solita ironia – come gestire eventuali muscolari contestazioni da parte di chi dovesse trovare inopportuna la citazione evocata dalla maglietta.
Memoria e ricordo
Il “cosa” è lampante, il tema dello spettacolo è chiaro, che si parli di antifascismo è evidente; il “come” è detto ma può non essere colto subito ma rappresenta uno dei molti valori aggiunti dalla testimonianza di Max Collini: offerta senza retorica, appunto; con una netta scelta di parte condita di una sana ironia ed una frequente “chiamata all’azione” del pubblico che non si è fatto pregare ed ha inframezzato lo spettacolo con frequenti applausi.
“Quelle raccolte e rese vive sul palco e in queste pagine da Arturo Bertoldi e Max Collini sono storie di uno scontro lungo, che dura ancora. Perché il fascismo non finisce nel 1945, ma se è per questo nemmeno l’antifascismo. Non raccontano di una Resistenza generica, quella che per paura di indossare un colore assomiglia sempre più a una macchia grigia, tradendo una storia di lotta che va riconosciuta. In questo libro c’è una Resistenza rossa come il sangue di chi combatté prima e dopo il 25 aprile 1945, «per una libertà diversa da quella americana», come direbbe Gaber.
Storie che si rincorrono, tracciando un quadro di continuità che va dall’esperienza di opposizione ai fascismi al potere fino alle suggestioni di altri continenti, sempre alle prese con le battaglie per la giustizia sociale vera e il progresso reale per tutti. «Senza retorica», perché è nelle parole semplici, forti, nei gesti concreti di solidarietà contro la barbarie, che sta il senso vero dell’antifascismo.
Nessuna conquista democratica, nessuna Costituzione figlia della Resistenza può dirsi acquisita per sempre e il presente non fa che ribadirlo ogni giorno, per questo sarà meglio cominciare da noi stessi a ricostruire il rapporto con la Storia dell’ultimo secolo.
Abbiamo cercato di farlo raccontandovi episodi, aneddoti, eventi del passato e della contemporaneità. Storie minime, personali, umane. Senza retorica, senza eroi, senza ufficialità, senza bandiere e, proprio per questo, nostre nel profondo, là dove si fanno i conti con chi siamo, che cosa vogliamo, quanto ci resta ancora da dire. Perché l’«assenza di fascismo» in questa Repubblica, dal 1945 a oggi, è stato solo il desiderio, mai realizzato, di chi ama la democrazia.”
(Dalla presentazione del libro)