Quintali di ostriche “uccise” dal gran caldo: una vera e propria calamità. Quasi 4mila quintali di prodotto, pronto per andare sui mercati nazionali ed esteri, andato distrutto e un settore innovativo messo in ginocchio.
Stamane il sopralluogo sugli impianti in Mar Grande, con il presidente della cooperativa della Ittica Jonica, Damiano D’Andria, il presidente di Confagricoltura Taranto, Luca Lazzàro, e il direttore Carmine Palma per verificare la situazione.
Un “sogno” imprenditoriale, far rinascere l’allevamento di ostriche a Taranto, liquefatto dalle altissime temperature dell’estate. E forti investimenti che ora rischiano di fare la stessa fine. I soci della Ittica Jonica, infatti, avevano trovato il modo per migliorare il prodotto attraverso un procedimento completamente biologico, diversamente dalla concorrenza francese, e c’erano pure riusciti. 18 mesi di lavoro e di attesa, dal seme al prodotto da mettere in bella vista in banchetti e cenoni, andati irrimediabilmente perduti. L’innovazione, coperta da brevetto, sta proprio nel procedimento produttivo: una grande gabbia che ospita almeno 100 pergolati e permette al seme delle ostriche di attaccarsi alle cozze, un vero e proprio “matrimonio del mare”. Un esempio di simbiosi che filava d’amore e d’accordo. Sino a luglio scorso, quando nel giro di poche ore il gran caldo, con punte di 36 gradi, ha fatto letteralmente bollire l’acqua in cui le ostriche si riproducono e si nutrono: un processo bloccato irrimediabilmente. Così la bella avventura imprenditoriale della cooperativa tarantina capitanata da Damiano D’Andria e da altri pionieri del settore ha subito un durissimo colpo.
“Le nostre ostriche – dicono i produttori – vengono fatte al naturale, col seme innestato e l’allevamento in mare: nient’altro. È la nostra forza rispetto al prodotto francese, che è basato su un procedimento costruito in laboratorio. Il caldo di quest’estate, però, ha distrutto gran parte di questa pregiata produzione svuotando le ostriche del loro frutto: un disastro. E ci tocca vedere morire le ostriche sotto i nostri occhi senza poter fare nulla. Per non chiudere la cooperativa ci siamo autotassati, stiamo stringendo la cinghia per non mandare per strada tante famiglie. Ma senza prodotto non c’è reddito: quanto possiamo resistere?”. Si tratta di una produzione unica, acquacoltura biologica fatta in Mar Grande, che è tornata a rifiorire a Taranto nel 2009 dopo 50 anni di stop e i fasti degli Anni ‘40 quando i generali americani, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, venivano a posta in riva ai Due Mari per gustare questa prelibatezza assieme a quella più nota delle cozze. La beffa oltre al danno: gli ostricari tarantini dovevano andare in Parlamento il 29 luglio scorso a far conoscere il loro straordinario prodotto. Appuntamento saltato, perché le ostriche hanno dato forfait, schiuse e rimaste a boccheggiare nell’acqua del mare. E ora i produttori sperano che gli venga riconosciuto lo stato di calamità naturale e Confagricoltura Taranto, che ha appena aperto la sezione “Acquacoltura”, si è subito attivata per avviare la pratica che dovrà partire verso la Regione Puglia, per la necessaria declaratoria, e poi verso Roma per incassare il decreto del Ministro delle Politiche agricole.
«Confagricoltura Taranto – spiega il presidente Luca Lazzàro – raccoglie anche questa sfida e per vincerla confidiamo che la Regione Puglia inserisca il pesantissimo danno subito dagli allevamenti di ostriche tarantine nel fascicolo già aperto, la settimana scorsa, per la produzione di cozze. Siamo di fronte all’80 per cento degli impianti danneggiati e a quasi la totalità del prodotto distrutto, in più è andato perso anche il seme delle ostriche, con la conseguenza che anche la produzione dell’anno prossimo rischia di essere compromessa assieme al lavoro di soci e dipendenti»
Nel frattempo, le ostriche (e i produttori) sperano che non finisca così e che, soprattutto, la Regione Puglia riservi loro lo stesso trattamento offerto alle “cugine” cozze.