La SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – precisa quali sono le cause e le possibili conseguenza in merito ai recenti casi emersi a Trento e ad Anzio (in provincia di Roma) rispettivamente di malaria e di Chikungunya.
“La morte di una bimba avvenuta nei giorni scorsi per malaria da Plasmodium falciparum – si legge in una nota della società di infettivologi – ha suscitato grande emozione e comportato richieste di informazioni a vari infettivologi di SIMIT.“ «La ricostruzione dell’accaduto potrà derivare solo dal completamento dalle indagini epidemiologiche e di laboratorio in corso» spiega il Prof. Massimo Andreoni, Direttore U.O.C. Malattie infettive, Università di Tor Vergata e Past President SIMIT .
«L’eccezionalità del caso, la complessità della materia e la volontà di fare chiarezza ed evitare possibili equivoci nell’interpretazione di quanto riportato dai mezzi di comunicazione ci portano tuttavia a ritenere utile precisare quanto segue» aggiunge il Prof. Massimo Galli, vicepresidente SIMIT e Ordinario di malattie Infettive presso l’Università di Milano:
La malaria può essere trasmessa solo da un vettore (una zanzara del genere Anopheles), come accade nella stragrande maggioranza dei casi, o per scambio di siringa volontario tra tossicodipendenti(circostanza che non si verifica in Italia da molto tempo), o per incidente in ospedale (trasfusione, trapianto d’organo o altro tipo di incidente che comporti l’inoculazione del sangue di un paziente malarico in un’altra persona). Cinque specie di plasmodi (sulle oltre cento note) sono in grado di causare malaria nell’uomo. Le specie di Anopheles sono circa 430, di cui 30-40 possono trasmettere malaria. Ciascuna di esse è adattata a una specie di plasmodio o a una sottopopolazione nell’ambito di ciascuna specie.
In Italia sono tutt’ora presenti popolazioni di Anopheles labranchiae, che risulterebbero in espansione numerica e geografica. Questa specie è stata responsabile fino al dopo guerra di migliaia di casi di malaria da Plasmodium falciparum (il nostro paese è stato dichiarato libero da malaria solo nel 1970). Non sembra tuttavia che le popolazioni autoctone di Anopheles labranchiae siano ‘competenti’ cioè possano infettarsi con, ceppi di Plasmodium falciparum provenienti dall’Africa. In altre parole, se anche pungessero persone affette da malaria importata, non sarebbero in grado di trasmettere ‘quel’Plasmodium falciparum ad altre persone. Questo, almeno, fino a prova contraria basata su dati scientifici consistenti.
Le femmine di zanzara anofele, (i maschi non si nutrono di sangue e quindi non trasmettono malaria) vivono in natura da una a due settimane, a seconda delle condizioni di temperatura e umidità. Le informazioni sulle distanze che le zanzare di questo genere possono percorrere sono limitate. In alcune specie africane gli spostamenti sarebbero contenuti al di sotto dei due chilometri. Tutte le considerazioni che possono essere fatte sulla malaria da valigia, cioè sulla malaria causata dalla puntura di una zanzara viva importata, devono tenere conto di questi fattori.
I dati del Ministero della Salute attestano la notifica in Italia, nel periodo 2011-2015, di 3.633 casi di malaria, quasi tutti d’importazione. Le infezioni contratte in Italia (autoctone) sono state infatti solo sette: una sospetta da bagaglio (P. falciparum), una sospetta introdotta (P. vivax), cioè trasmessa da zanzare indigene; tre definite come criptiche (1 da P. falciparum e 2 da P. malariae) poiché non è stato possibile identificare con certezza la fonte d’infezione o ipotizzarne ragionevolmente una; due indotte ( una da P. falciparum e una da P. malariae), cioè accidentalmente acquisite attraverso contaminazioni in ospedale. Dei 6377 casi di malaria riportati in Italia nel periodo 2000-2008, solo nove sono stati classificati come autoctoni: uno da trasfusione, uno da trapianto, quattro da ‘trasmissione ospedaliera’ e tre da valigia. Se ne deduce che la trasmissione ospedaliera è eccezionale ed infrequente, ma può verificarsi e che in alcuni casi è stato impossibile ricostruire le modalità con cui ciò è potuto accadere o identificare comportamenti negligenti o errori da parte del personale.
Il 20% dei casi registrati tra il 2011 e il 2015 si sono verificati in cittadini italiani, di cui il 41% in viaggio per lavoro, il 22% per turismo, il 21 % per volontariato o per missione religiosa. Il restante 80% è stato diagnosticato in stranieri, l’81% dei quali immigrati regolarmente residenti in Italia e tornati nel paese di origine in visita a parenti ed amici, il 13% tra immigrati al primo ingresso. La specie di plasmodio predominante è risultata P. falciparum, con l’82% dei casi.»
LA FEBBRE CHIKUNGUNYA. «La segnalazione di tre casi di febbre Chikungunya in persone che non si sono recate in aree tropicali non desta particolare meraviglia” dichiarano i prof. Andreoni e Galli. Nello scorso mese d’agosto sono stati segnalati nel sud della Francia sei casi analoghi in persone viventi nei dintorni di Cannet-des-Maures (Var). L’Italia ha già sperimentato dieci anni fa un’epidemia che ha coinvolto, tra luglio e settembre del 2007, un totale di 205 persone residenti a Castiglione di Cervia e Castiglione di Ravenna. Nel 2014 in Europa sono stati segnalati 1461 casi (816 confermati), 39 dei quali osservati in Italia. Con l’eccezione di 11 casi autoctoni, tutti riportati in Francia, le persone colpite avevano contratto l’infezione durante viaggi al di fuori dell’Europa. I casi ‘importati’, se il vettore (una zanzara) è disponibile nell’area e le condizioni climatiche sono favorevoli, possono essere causa di diffusione nei residenti, come dimostrato nel caso dell’epidemia del2007 in Italia. La capacità di diffusione della malattia in aree mai precedentemente toccate è drammaticamente testimoniata da quanto accaduto recentemente nelle Americhe. Il virus Chikungunya è infatti ‘sbarcato’ per la prima volta in Saint Martin, un’isola dei Caraibi, solo alla fine del 2013. Da allora la malattia ha interessato 45 paesi del continente americano in cui si stima si siano verificati , all’aprile scorso, oltre un milione e settecentomila casi.
La trasmissione all’uomo avviene attraverso la puntura di zanzare infette appartenenti al genere Aedes. In Italia la specie implicata è Aedes albopictus, la ben nota zanzara tigre, probabilmente importata accidentalmente verso la fine del secolo scorso. Le prime segnalazioni sulla presenza di Aedes albopictus in Italia risalgono al 1990, ma nel 2006 la zanzara tigre era già presente in quasi tutto il territorio nazionale, con maggiore intensità in pianura, nelle aree costiere ed in zone con vegetazione abbondante. Una mutazione, avvenuta probabilmente all’inizio di questo secolo, ha consentito al virus di adattarsi alla zanzara tigre, che ne è diventata un importante vettore, rendendo la malattia potenzialmente diffusibile nel nostro paese e in altre aree dell’Europa mediterranea.
“La malattia è generalmente benigna e guarisce spontaneamente” affermano ancora i proff. Galli e Andreoni. “È però caratterizzata da una febbre che nei primi giorni può essere molto alta e da dolori articolari anche intensi che possono permanere per settimane”. La parola“chikungunya” significa in lingua Makonde “contorcersi”, a testimonianza dei dolori in ossa e muscoli causati dalla malattia. I sintomi, che comprendono anche cefalea, nausea, astenia e rash cutaneo, sono presenti in oltre il 75% delle persone infettate e esordiscono con la febbre 3-7 giorni dopo la puntura della zanzara. Il virus è presente in circolo per circa 5 giorni dopo l’inizio dei sintomi e in questo periodo può essere assunto da una zanzara di una specie suscettibile che punga il malato, e da questa trasferito alla persona punta successivamente. Allo stato attuale non sono disponibili ne farmaci specifici, ne un vaccino. Casi gravi o mortali sono eccezionali.
Nel libro bianco consegnato da SIMIT alle Autorità sanitarie nel 2015 SIMIT raccomandava l’ulteriore implementazione dei programmi di controllo dei vettori e di programmi di sorveglianza epidemiologica per l’identificazione tempestiva dei casi di importazione e dei focolai autoctoni. La rete dei reparti di malattie infettive presenti negli ospedali rappresenta un presidio di primaria importanza per la rapida diagnosi dei casi e per la loro corretta assistenza.»
La Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT è punto di riferimento a livello nazionale per i professionisti in infettivologia e raccoglie migliaia di specialisti in tutte le regioni italiane. SIMIT, con oltre 700 associati, rappresenta la maggioranza degli infettivologi italiani operanti sul territorio nazionale.