L’Occidente non vive la sua decadenza. È decaduto. Forse “deceduto”. Nel momento un cui si è interpretata la Bibbia tra ideologia e teologia, ogni sistema vero di valori ha perso la sua connotazione sia religiosa che antropologica.
Le civiltà muoiono non perché vengono sconfitte. Perché tra ragione e ontologia non si pone una dimensione metafisica. L’uomo della Bibbia è l’uomo che “inventa” una Tradizione nell’annuncio della creazione già avvenuta.
San Paolo non è tanto o solo il continuatore del viaggio cristiano nella disobbedienza latina. Ma è soprattutto l’interprete di Mosè. L’Occidente ha sempre eredità mediterranee, con il divino – divinità greco – mesopotamico – mediterraneo e misteri orfici, ma è con Paolo prima, che parla con la voce di Cristo e del Mistero rivelante di Gesù e della Passione e Redenzione, e con il tempo filosofico (e dopo teologico) di Agostino, che segna solchi di Tradizione.
Porta dentro di sé la dimensione del Divino biblico. Un Divino che è fatto dalle scaglie delle divinità pagane omeriche, post omeriche e greche. L’Occidente non è decadenza. È decaduto.
Al suo viaggio metafisico è stato sostituito il decodificante viaggio di una struttura dell’uomo e della civiltà “srotolata”. Ovvero senza ontologia. De-ontologizzata. L’Occidente non si geografizza spiritualmente con Platone o Aristotele o Socrate. Prende la sua forma metafisica con Paolo nel tempo di Seneca.
Paolo non è cattolico. Non serve il cattolicesimo all’Occidente. Non si tratta di teologia soltanto. Ma di filosofia. Le Lettere di Paolo vanno oltre la teologia perché non hanno rigore dialettico ma spiritualità metafisica e, in questa spiritualità, però, costituiscono la lettura tra l’Uomo e Cristo.
L’Occidente infatti è decaduto nel momento in cui ha smarrito la metafisica o ha confuso la teologia cattolica con la metafisica dell’anima. Perdere la tradizione l’Occidente è perdere la vera metafisica del pensiero. L’ortodossia è una libertà e diventa pensante in una ontologia del sacro al quale tendeva Cristina Campo.
La storia è un concetto moderno che vive dentro il passaggio della ragione. L’uomo che si assume la responsabilità spirituale ha dentro di se non solo il pensiero osservante, ma completamente metafisico.
Le Confessioni di Agostino sono la modernità e la luce che guideranno Dante nel suo andare oltre l’incontro con il Demone. I due viaggi contrapposti sono quello di Omero e, appunto, di Dante. Il primo conosce il nostos. Il secondo la rivelazione delle stelle. All’interno ci sono le stanze del “palazzo” dell’anima della D’Avila che accoglie Mosè e Virgilio.
Ma senza Paolo non ci sarebbe stato Agostino. Perché Paolo, in fondo, anticipa il viaggio della conversione sino alla Charitas di San Francesco di Paola, in un contesto pre rinascimentale e al centro dell’Umanesimo, e oltre l’humanitas di San Giuseppe Moscati, la cui visione del mondo è completamente affidata alla santità, che sembra annunciare ciò si focalizzerà nella teo-filosofia di Benedetto XVI. Tutto questo mosaico ha trovato comunque un Occidente non dialogante con l’eresia. Non ha compreso che l’eresia non è un assurdo nella contrapposizione o una disubbidienza. È piuttosto uno scavare nell’Utopia. La questione di Giordano Bruno è diversificazione teologica che resta al centro della filosofia. Come quella di Tommaso Campanella che recupera Agostino in un confronto tra “Dio” e il “Sole” all’interno della metafora ontologia della “Città” come custode del Palazzo dell’Anima di Teresa d’Avila. L’eresia diventa un esilio oltre ad essere l’utopia. Maria Zambrano ha messo al centro il Dio Illuminante proprio con L’uomo e il divino in un tracciato non vitalistico ma, appunto, onto-meta. Il pellegrino non è teologico, come non è teologico il mistico.
Ci sono ombre e nuvole nel cammino del pellegrino o del viandante. Ci sono boschi da superare attraversando le aurore e i tramonti da vivere con la pienezza dell’esilio. Bisogna abitarlo l’esilio come si abita la propria solitudine. Perché è nella solitudine che vivono le parole del silenzio.
Il silenzio è sempre una voce che lascia echi nello specchio. Come Beatrice nello sguardo di Dante. Come l’infinito negli occhi del divino.
Maria Zambrano un giorno mi disse: “La poesia conosce sempre l’anima della memoria. Anche quando credi di non pensare il tuo viaggio è creazione. Tu vivi la creazione perché involontariamente la creazione è in te. Perché la creazione è il mistero di Dio”. Spesso ricordo queste parole.
La metafisica non è solo un sapere. È soprattutto un sogno creatore. Il pellegrino è sempre un viaggiatore che trova spazi in un tempo immenso e immisurabile e il “chiaro del bosco” è una voce sottile che penetra la notte. Nelle scaglie del giorno c’è un’eco che ha il suono delle conchiglie di mare. Si vive non dimenticandole. Non dimenticando scaglie di notti e di luna. Sempre senza alcuna reticenza bisogna abitarsi per non cedere al quotidiano della morte.
L’Occidente passa inevitabilmente attraverso queste feritoie, ma non ha saputo cucire alcuna ferita. Non ha saputo comprendere i deserti delle civiltà e la sconfitta della caduta dell’Impero Romano. La disperazione che ha colpito l’Occidente non è il nichilismo e neppure il sottosuolo dei pensieri suicidi della ragione. Piuttosto è stato quello di far diventare la storia teologia e la teologia impostazione cristiana.
In fondo il conflitto tra Paolo e Pietro ruotava intorno a questi concetti. Una Chiesa teologia e una Chiesa mistero. L’antico dilemma che ha attanagliato la filosofica pre cristiana con la disputa tra il dio e la divinità. Ecco perché è necessario che il Dio Illuminante venga recuperato alla metafisica e non alla teologia.
La centralità dovrebbe essere Dio – Uomo, non come Verità ma come viaggio salvifico. Soprattutto in una terra di diaspore e di esodi della spiritualità nel sacro della cerca rivelante. L’Occidente ormai sradicato pone dubbi sul Dio assoluto. Ovvero sul Dio che converte Paolo.
La decadenza è nel pensiero creativo – creatore distrutto dal “relativismo” teologico e “filosofico”.