In Italia vengono sprecati ogni anno 8 miliardi di euro in cibo. Si parla di 76 chili di cibo sprecati a persona ed ogni giorno di 13mila tonnellate di pane.
La Francia qualche giorno fa ha approvato una norma che obbligherà tutti i supermercati a recuperare il cibo invenduto e a donarlo. È una rivoluzione copernicana perché finalmente si ribadisce il principio che lo spreco è antieconomico e antisociale. Da questo punto di vista ogni esercente sarà obbligato a giustificare tutto l’invenduto e donarlo ad una associazione. In Italia non è così, è l’esercente virtuoso che ha delle possibilità e che desidera farlo, che lo fa liberamente. Ma non è facile donare, ci sono anche delle complicazioni burocratiche che da un certo punto di vista scoraggiano anche. Per esempio quando esce il prodotto deve essere sempre accompagnato da un documento fiscale. Non si è obbligati a donare e non si hanno nemmeno vantaggi.
Molti testimoniano difficoltà nel donare un prodotto perché in definitiva chi lo fa, incorre in potenziali rischi rispetto a chi lo butta nel cassonetto, anche se sia i piccoli esercenti locali che i grandi gruppi cominciano a cogliere l’opportunità di diventare a spreco zero.
Anche se a volte si fa fatica perché la logica per esempio del catering e della fatturazione, mal si concilia con quella dei doni. L’utilizzo del cibo inoltre è legata alla capacità di poter cogliere in tempi rapidi tutte le opportunità che il territorio offre. Questo è molto facile in territori molto piccoli, più complicato nelle medie e grandi città e lo svantaggio è che la maggior parte dei poveri si trovano nelle grandi città. Quindi i prodotti si fa fatica ad averli soltanto in termini di dono, eppure sembra un comportamento semplice quello di donare un qualcosa che avanza, in realtà perché il cibo è deperibile e può provocare danni alla salute, questo servizio ha bisogno da una parte di una infrastruttura soprattutto nei grandi centri che ne renda possibile un sano utilizzo e dall’altra una normativa che lo agevoli. Tutto sembra complicatissimo, talmente complicato che per esempio nella mensa Caritas di Roma il pane viene pagato 5 euro al chilo quando ci sono 13mila tonnellate che vanno perse.
Poi c’è il problema del bilancio sociale di cui ha trattato nei giorni scorsi Luigi Riso, presidente del Banco Alimentare di Puglia, in un convegno organizzato a Taranto dai Giovani Commercialisti, precisamente dal Coordinamento Regionale UNGDCEC di Puglia e Basilicata, che fa capo a Mariangela Palazzo: “L’ABC di una Società Civile Responsabile”. Il Banco Alimentare è una associazione che distribuisce alimenti a circa 50 mila persone a Taranto e provincia . Il presupposto fondamentale è una corretta stesura del bilancio sociale. Per poter fare questi numeri ha riferito Riso, non bisogna essere bravi, bisogna però avere le idee chiare e soprattutto capire quanto è importante la rendicontazione. Il valore commerciale dei prodotti distribuiti dal Banco Alimentare è intorno a circa 2 o 3 milioni di euro all’anno. Per poter avere tutti questi prodotti, bisogna interloquire con le istituzioni e con le aziende. A questi non bisogna semplicemente dire che fai volontariato ma devi presentare una certa relazione. “Quindi il bilancio sociale è uno strumento che l’associazione è chiamata a dare, affinché quell’euro che viene donato o quel chilo di pasta sia consapevolmente donato e si sappia che cosa c’è dietro e quanto contribuisce l’azienda o l’istituzione, alla realizzazione del bene comune che è poi quello che ci sta a cuore” sono le sue parole.
Quindi un bilancio sociale deve riferire l’organigramma, deve chiarire bene la mission e vanno delineati gli obiettivi. È in definitiva un problema di relazione, perché l’azienda per poter offrire degli alimenti deve potersi fidare, così quello che è uno spreco diventa una risorsa per i più bisognosi. Bisogna saper dimostrare anche cosa hai prodotto rispetto ad un euro che hai gestito.
Prossime novità positive ha lasciato intendere in merito alla legislazione italiana, la vicepresidente dei Giovani Imprenditori Beatrice Lucarella, facente parte del Comitato Nazionale della Responsabilità Sociale e del Bilancio Sociale, intervenuta allo stesso convegno. Compito di questo comitato è quello di discutere di come l’impresa deve oggi rivedere la propria governance considerando di gestire quotidianamente un “capitale sociale” complesso fatto di uomini, cultura e relazioni per cui è necessario far entrare espressioni come , bilancio sociale, responsabilità e sostenibilità perché allargando il discorso al terzo settore, si tratta di ben 301.191 organizzazioni, con quasi un milione di addetti.
“Ma a parte gli addetti ai lavori, pochi sanno che in Senato sta per essere approvata una legge delega i cui effetti potrebbero essere di grande rilievo nel Terzo Settore, ovvero per tutte quelle organizzazioni tramite le quali la società si attiva per risolvere problemi di interesse pubblico senza dipendere necessariamente dallo Stato, e senza mettere al primo posto una motivazione economica” ha riferito Lucarella. Secondo la vicepresidente, il risultato della legge delega si misurerà sulla capacità di aumentare il ruolo della responsabilità attiva dei cittadini e delle organizzazioni sociali nella ricerca di soluzioni a problemi pubblici, con risorse che vanno reperite mettendo in movimento a fini sociali una parte della ingente ricchezza privata presente nel paese visto che le casse dello stato sono esauste.