Ha destato scalpore un po’ in tutto il mondo la notizie che una nota casa automobilistica tedesca avesse trovato un ingegnoso sistema per aggirare i rigidi controlli antinquinamento americani.
A voler essere maligni, si potrebbe pensare che – almeno in Italia – il risalto mediatico dato alla notizia sia dovuto al fatto che questa volta sulla lavagna dalla parte dei cattivi ci siano i Tedeschi, con cui noi Italiani abbiamo da decenni – se non secoli – un conto aperto. Altrettanto malignamente si potrebbe chiosare sul fatto che a lamentarsi siano gli Americani, popolo che sull’inquinamento atmosferico ha molte e più gravi colpe da farsi perdonare, dal protocollo di Kyoto in poi. Ma a guardare troppo lontano si corre il rischio di perdere di vista quello che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, e allora proviamo a tornare un po’ vicini a casa nostra ed a spendere due oziose riflessioni in merito.
Mi piacerebbe davvero credere che tutti noi, all’atto dell’acquisto di una nuova autovettura, avessimo cura di informarci sul livello delle sue emissioni inquinanti, e mi piacerebbe che questa attenzione fosse rivolta non solo alle autovetture, ma anche agli elettrodomestici ed agli apparecchi di riscaldamento, ma una simile speranza mi relegherebbe, ipso facto, nel girone degli ingenui. Perché se questa speranza avesse anche solo un minimo fondamento nella realtà, non dovremmo assistere quotidianamente a spettacoli che oscillano tra l’orrido ed il grottesco, come quelli che potremmo elencare, cogliendo fior da fiore: oli di sentina di frantoi oleari scaricati in sorgenti e falde acquifere, teli plastici utilizzati per la protezione dei vigneti abbandonati o bruciati senza alcuna precauzione, rifiuti pericolosi come batterie di auto, pneumatici o lastre d’amianto gettati in campagna o lasciati vicino ai cassonetti; le pinete devastate da incuria ed incendi e l’elenco potrebbe essere ancora lungo, tacendo per carità di patria degli insediamenti industriali e delle discariche che potremmo contare nel raggio di poche decine di chilometri… Vogliamo rimanere nella cinta urbana? E perché no, elenchiamo allora le tante autovetture con diversi decenni di vita che ancora circolano allegramente suscitando la legittima domanda sul come possano superare i previsti collaudi; i tanti trattori agricoli che per lunghe decine di minuti, allo spuntare dell’alba, riempiono di rombi festosi e fumi colorati le vie cittadine, lasciati fermi e con il motore acceso mentre il conducente carica il cassone o si concede un caffè in compagnia; l’abilità tutta nostrana di scaricare nei cassonetti dei rifiuti (o più spesso al di fuori di questi) ogni possibile rifiuto he l’essere umano possa produrre; la originate patologia di molti “dog sitter” che forse affetti da lombo sciatalgia non possono chinarsi a raccogliere gli escrementi dei loro amici a quattro zampe, lasciandoli così a punteggiare i marciapiedi cittadini.
Anche in questo caso, ovviamente, ci si può appellare alla necessità di controlli più stringenti ed efficaci delle Forze dell’Ordine, ma è altrettanto vero che – ancora una volta – il primo controllore di ognuno deve essere sé stesso; mi piacerebbe allora credere che questo sussulto nazional-ambientalista serva veramente non solo a vedere la pagliuzza nell’occhio teutonico, ma anche e soprattutto la trave che ci opprime e ci schiaccia, mettendo in seria discussione la qualità della nostra vita e la bellezza dell’ambiente che dovremo lasciare in eredità ai nostri figli e nipoti.