Credo che lo scrittore italiano non ha soltanto un dovere morale e letterario, ma deve esercitare un diritto fondamentale che è quello di promuovere non solo i suoi libri ma la lingua italiana.
Abitare la propria lingua significa dare un senso alla propria eredità culturale ed esistenziale. La lingua è il centro di un percorso profondamente umano. Ho viaggiato molto per Paesi e Nazioni. Discutere di cultura italiana è stato sempre raccogliere un confronto tra eredità linguistiche autoctone e appartenenze sfilacciate. oltre che leggere nei ritagli di contaminazioni. che sono riferimenti di dialettiche complesse. Ho cercato sempre di comprendere le culture e le tradizioni che mi hanno ospitato cercando di stabilire, non solo sul piano istituzionale, modelli le cui radici sono riferimenti certi. La lingua resta sempre una identità di partenza. La lingua italiana è l’espressione della cultura italiana.
Così come ogni cultura è l’espressione di una lingua. Il percorso della lingua è un interfacciarsi con modelli di civiltà. Ormai è accertato che la lingua italiana occupa la quarta posizione tra le lingue del mondo. Un fatto non relativo e altamente positivo in un tempo in cui si cerca di recuperare anche la forma dialettale delle lingue, creando delle contaminazioni.
La lingua italiana, nata da un contaminato di linguaggi, diventa un punto fermo all’interno di quei processi culturali in cui la comunicazione del linguaggio è comunicazione antropologica, sociologica, linguistica, arrivando ad occupare un’interrelazione all’interno del contesto mondiale significativo.
Ho attraversato diversi percorsi visitando molti paesi, portando la lingua italiana nel mondo dal Sud America ai Paesi balcanici e mi sono reso conto che c’è stata sempre una forte simpatia e vicinanza non solo alla lingua italiana, ma soprattutto alla cultura italiana. Ciò significa che il modello greco-latino occidentale, sul piano culturale e linguistico, non solo è conosciuto ma studiato attentamente.
La storia di un popolo, di una civiltà, di una visione identitaria ha permesso di leggere tutta una realtà storica e linguistica. La realtà storica si forma sui processi culturali che, a loro volta, nascono da visioni e da interpretazioni linguistiche.
La lingua è comunicazione. Attraversare una lingua significa attraversare e conoscere una cultura.
La conoscenza di una lingua, o l’apparentamento nei confronti di una lingua, ci porta ad approfondire le radici di quella determinata lingua. Le radici della lingua italiana sono all’interno di un processo profondamente occidentale. La lingua italiana, al di là del dibattito sul “De vulgari eloquentia”, che ha permesso di sviluppare un percorso tra la lingua latina e la lingua volgare, ha dato il segno tangibile di come una lingua possa svilupparsi all’interno di una dimensione storica.
Il dibattito sulla lingua in Italia ha sempre tracciato e lasciato dei segni indelebili, dal 1200 – 1300 fino al percorso bembiano. Il Rinascimento nasce all’interno di una civiltà delle culture, ma anche attraverso il dibattito di Bembo sulla questione della centralità della lingua. Un processo che è possibile verificare anche nei secoli successivi.
La lingua barocca, che ha avuto origine all’interno del contesto lessicale semantico barocco, ha come dimensione le culture barocche che si sviluppano dal Regno di Napoli fino a tutta l’Europa e in seguito anche in Brasile. Si pensi al barocco brasiliano che parla il linguaggio che era del Regno di Napoli, fino ad arrivare al grande dibattito leopardiano sulla lingua contestualizzata nella temperie tra Leopardi e Manzoni.
Con Manzoni si unifica un concetto di lingua omogenea che non resterà mai tale, perché sono i dialetti che insistono. Ecco perché ho sempre sostenuto che la lingua italiana è il concentrato dei dialetti, quando il dialetto assume l’identità di una comunità. Ciò tocca valenze antropologiche oltre che filologiche e prettamente glottologiche. L’antropologia non fa i conti soltanto con il costume di una civiltà e con precise identità, ma tiene alto lo spesso della tradizione proprio grazie alla lingua.
I dialetti che usa l’antropologia nel recupero delle comunità sono parte integrante di una lingua nazionale. Lo scrittore ha il dovere di parlare la sua lingua di appartenenza. Smettiamola con le tante bisticciate forme di un vocabolario a volte non comprensibile. Io scrittore italiano parlo la mia lingua. Io scrittore italiano parlo la mia lingua. L’Italiano al centro della vita e della mia identità culturale occidentale e mediterranea. Non si può inventare neppure un dialetto in letteratura quando questo non è parte integrante di un vissuto o di un vivere.
Certo, i dialetti hanno la loro importanza e specificità territoriale ma è necessario che sia la lingua italiana ad essere promotrice di comparazione e confronti con i dialetti e con le forme di contaminazione etnica. Un dato inconfutabile è la centralità della lingua italiana con la quale bisogna raccontare la storia di una civiltà.
Non si può educare, promuovere e valorizzare se non si parte da una conoscenza primordiale, che per uno scrittore italiano resta quella lingua che ci permette una comunicazione forte nei confronti delle altre letterature. Le contaminazioni sono necessarie. Ma si parte dalla lingua ufficiale per vivere in modo non confusionario anche le “cosiddette” forme contaminanti.