Il Questore di Rimini chiude per quattro mesi il “Cocoricò”, delle più famose discoteche di’Italia.
In piena stagione estiva, con quella che a molti è sembrata una entrata a gamba tesa, un’impresa che da lavoro a qualche centinaio di persone viene chiusa nel pieno del periodo di lavoro più intenso. A far scattare l’ordine di chiusura, la tragica morte di un sedicenne che nel locale da ballo avrebbe assunto una dose mortale di MDMA, una droga che lo ha condannato ad una morte fin troppo comune tra i ragazzi che passano dal ballo allo sballo senza troppo curarsi delle conseguenze. Quello che appare agli occhi del comune cittadino che non ha letto ordinanze e referti investigativi e giudica quello che vede, è però una sorta di schizofrenia amministrativa, l’ennesima situazione in cui uno Stato incapace di far rispettare le leggi che emana, scarica sui cittadini – più o meno impotenti – le conseguenze delle sue omissioni. Nel provvedimento della Questura di Rimini si legge infatti: “Il provvedimento in questione nasce dalla necessità di contrastare tutti quegli aspetti devianti volti a modificare o addirittura a porre in pericolo la tutela dei dettami posti alla base della Carta Costituzionale, quali diritti fondamentali ed irrinunciabili dei cittadini, ripristinando, mediante l’adozione di un provvedimento urgente, a tutela di primari interessi quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la moralità, il buon costume e la sicurezza dei cittadini, anche quelle percezioni, assunte dalla maggioranza dei cittadini in ordine a concetti etici e morali, oltre che nel caso del concetto stesso di sicurezza pubblica. Il provvedimento ha lo scopo fornire tutela ai soggetti minorenni nei confronti dei quali appare incontestabile la particolare attenzione che la normativa nazionale e internazionale rivolge loro, essendo i minori persone certamente più fragili e vulnerabili rispetto alle altre e, per tale motivo, soggette, ben più di altre, a sfruttamento ed abusi da parte di altri soggetti“.
Quanto affermato sopra non fa una grinza e non può che trovare concordi tutti noi, ma la domanda che non possiamo non farci è: ”Basta davvero chiudere una discoteca per tutelare primari interessi quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la moralità, il buon costume e la sicurezza dei cittadini?” Vogliamo davvero credere che l’onere di una tale crociata possa scaricarsi solo sulle spalle di un imprenditore privato che tra l’altro, nel caso specifico, non può per legge negare a nessuno l’ingresso in un locale di pubblico spettacolo? Vogliamo davvero credere che la tribù dello sballo non troverà altri luoghi dove continuare la loro pericolosa roulette russa con pastiglie e bustine? Vogliamo davvero credere che basti così poco allo Stato per lavarsi le mani di fronte a queste tragedie? In ogni città si sa bene dove – se non chi – spaccia droga, eppure non sempre lo Stato appare altrettanto deciso contro questi mercanti di morte; qualche giorno fa a Roma c’è stato un vero e proprio assalto contro alcuni carabinieri che avevano bloccato due spacciatori, eppure non ci pare che il quartiere dove è avvenuto l’assalto sia stato oggetto di coprifuoco o di perquisizioni casa per casa. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo, troppo spesso oramai si permette una illegalità diffusa che da latente diventa esplicita e sempre più arrogante, lasciando il cittadino solo con sé stesso nel fronteggiarla.
Si parva licet componere magnis, basta farsi un giro in una qualunque città italiana per averne contezza: si obbliga un cinema o un teatro ad avere le uscite di sicurezza funzionanti, ma stranamente non si multano e non si rimuovono le auto parcheggiate sui marciapiedi a ridosso delle porte, che quindi in caso di necessità non potrebbero aprirsi; si chiede ad un negoziante di alimentari di dotarsi di tutta una serie di autorizzazioni e presidi igienico sanitari, ma nulla si contesta all’ambulante, spesso abusivo, che sosta di fronte alla sua serranda; si chiede al cittadino di denunciare all’Autorità ogni eventuale illegalità di cui dovesse essere testimone, poi lo si costringe a recarsi tre o quattro volte alla caserma o al commissariato perché – sfortunatamente – il funzionario è sempre fuori ufficio o in altre faccende affaccendato.
Ovviamente, l’irregolarità altrui non autorizza nessuno ad essere altrettanto disattento verso regole e codici, ma d’altro canto uno Stato che voglia dirsi di diritto non può affermare che la legge è uguale per tutti senza fare i tutto per dimostrare con i fatti la fondatezza di questo principio. Tra uno stato di polizia stile “Grande Fratello” ed uno in cui regna l’anarchia più lassista può e deve esserci una via di mezzo, e se è vero come è vero che ciascuno di noi cittadini ha il dovere di rispettare le leggi, è altrettanto vero che queste devono apparire promulgate ed applicate da uno Stato che – a tutti i livelli – deve agire secondo logica e raziocinio, perché è vero che la legge non ammette ignoranza, ma non tollera neppure applicazioni miopi o – peggio – provvedimenti che prestino il fianco a sospetti di indebite tolleranze e favoritismi.