Chiunque abbia una età che va dai cinquanta ai sessant’anni, definita – come spesso accade – con un termine anglofono tanto semplice ad affermarsi tra gli altri quanto difficile da comprendere da chi venga racchiuso nella categoria identificata con questa etichetta, troverà in questo libro un elenco di fatti ed eventi che fotografano un epoca e prevedono un futuro che solo vent’anni fa sarebbero sembrati distopici.
Neppure George Orwell, spesso citato – e non di rado a sproposito – dai commentatori da social network, aveva potuto prevedere una simile evoluzione, anche se la “neolingua” preconizzata nel sui “1984” è senz’altro un buon punto di partenza per comprendere – ovemai fosse possibile – cosa sta succedendo.
La suscettibilità, No one is innocent
Nel suo “L’era della suscettibilità” Guia Soncini, acuta commentatrice e non troppo rassegnata cronista dei tempi in cui viviamo, racconta episodi personali e fatti di cronaca, smonta certezze e denuda idoli, getta una luce obliqua su “damnatio memoriae” e defenestrazioni più o meno virtuali che periodicamente squassano i social con indignazioni che – come acutamente nota l’autrice – durano due giorni, per poi cedere il passo alla polemica successiva.
I cinquantasessantenni citati all’inizio ritroveranno in questo libro eventi che sarebbero sembrati normali ai loro genitori e inaccettabili ai propri nipoti, in un elenco che è la punta di un iceberg il cui scioglimento ci sta inesorabilmente sommergendo.
Facile ridere delle avvertenze antinfortunistiche provenienti da oltreoceano o dei disclaimer che appaiono al principio di film e serie TV; meno divertente è rendersi conto che oggi opere come “Lolita” o “Otello” (solo per citare sue delle più note) sono state espunte da programmi universitari perché potenzialmente offensive verso chi abbia la pelle particolarmente scura o abbia subito moleste sessuali in età adolescenziale.
Di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno
Non sempre buoni propositi portano a risultati altrettanto lodevoli; la storia è piena di tragedie originate da chi pensava di fare bene e le più grandi tragedie del secolo scorso – dalle guerre che hanno insanguinato l’Europa alle leggi razziali che ne furono osceno presupposto – avevano al tempo agli occhi di molti delle motivazioni ben più che condivisibili.
Amaro contrappasso, che sarebbe drammatico se non fosse grottesco, è una sorta di enatiodromia in cui si getta il proverbiale bambino insieme all’acqua sporca contenuta nella tinozza in cui l’infante fa il bagno. Ogni cosa diventa così potenzialmente offensiva, ogni affermazione può ipoteticamente urtare la suscettibilità di qualcuno, ogni rappresentazione di un evento può rievocare traumi ed è oramai una pallida ed inutile foglia di fico la excusatio non petita che recita che fatti e persone citate in un’opera di fantasia possono ricordare eventi reali solo per pura casualità.
Succede così che sempre più siano coloro che attuano una più o meno inconscia censura preventiva ed evitino di scrivere e parlare di situazioni potenzialmente divisive, ma questa è oramai una cautela quasi del tutto inutile poiché – se “omnia munda mundis – sillogisticamente ogni cosa offenderà chi teme di essere al centro degli strali altrui.
Uno, nessuno, centomila
Il drammatico paradosso che Guia Soncini dipinge con ironico garbo e ricchezza di note esplicative nel suo “L’era della suscettibilità” (mai titolo fu più iconico) è che il tentativo di non offendere nessuno comporta la quasi certezza di offendere tutti; affermare che una madre è anche donna offende le genitrici che si sentono uomini seppure dotate di apparato riproduttivo femminile così come usare l’espressione “persone che mestruano” suscita le vibrate proteste di coloro che vedono in questa etichetta un tentativo del patriarcato di negare una caratteristica esclusivamente femminile.
Il guaio è che quella che un tempo sembrava una iperbole oggi è drammatica realtà; “Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini, e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare” affermava Armand-Jean du Plessis de Richelieu, che di queste cose se ne intendeva, con l’aggravante che ieri per stroncare la reputazione di qualcuno era necessaria l’intelligenza raffinata e maligna di un cardinale ed ex ministro di Stato mentre oggi è sufficiente un utente che non capisca una battuta di spirito di un comico o una figura retorica nell’editoriale di un giornalista e per questo dia il via ad una tempesta mediatica tanto violenta quanto refrattaria ad ogni tentativo di spiegazione.
Ognuno si sente bersaglio e vittima, nessuno immagina di non essere il bersaglio degli altrui lazzi e men che meno di doversi assumere l’onere della prova; molto più facile stracciarsi le vesti, additare al pubblico ludibrio e invocare draconiani provvedimenti.
Chi dimentica è complice
Dopo la lettura di questo libro guarderemo social network e titoli di giornali con occhio diverso, non potremo non chiederci cosa non è stato scritto o detto per paura di offendere, per timore di urtare altrui sensibilità, per evitare accuse di insensibilità o peggio.
Al pari di una mamma (ho una età che mi autorizza ancora ad utilizzare impunemente questo termine) che ammonisce sui rischi dei giochi di strada il figliolo che si appresta ad uscire di casa, la Soncini (ed anche sull‘impiego dell’articolo femminile davanti al cognome nel libro c’è un inciso assai stimolante) scrive – ipotizzo – con la consapevolezza di essere una vox clamantis in deserto ma con la meritata soddisfazione di poterci dire “te lo avevo detto!” ogni volta che non ci capaciteremo di come il nostro “sei un figlio di buona donna” non venga interpretato come un complimento indiretto alla madre del nostro interlocutore ma piuttosto come una diretta offesa alla stessa genitrice.