Incisivo o periferia degli esclusi? Il Mediterraneo è stato sempre un legame e uno scontro. È nelle epoche che è stato percepito e vissuto come tale. Si può parlare di un Mediterraneo delle culture all’interno dei processi geopolitici? Quale valore ha il legame tra l’Europa storica del Nord e un Mediterraneo tutto intrecciato tra divisioni etniche e religiose?
La Mostra “Donne Mediterranee e Balcaniche in immagini” che verrà inaugurata mercoledì 12 ottobre a Cosenza si pone come interfaccia tra culture ed etnie. Mostra che nasce all’interno del Progetto Etnie del Mibact. Ci sono alcune riflessioni che si pongono. Un aspetto importante è quello etno – antropologiche- e su questo sto lavorando grazie ad una chiave di lettura le cui immagini che risalgono agli anni Trenta ci conducono ad una teperie e a delle civiltà ben definite.
I popoli restano sempre, nonostante il vissuto di società in transizioni, ancorati a divisioni e condivisioni che sono il portato storico di territori e aree geografiche. Ma la visione che si presenta nella attuale realtà è ormai tutta letta attraverso chiavi interpretative che si pongono come apri pista tra le eredità di un Occidente complesso e di un Oriente articolato. C’è da dire che in un tempo in cui il Mediterraneo non è soltanto una geografia o un “modello” geopolitico l’antropologia delle etnie assume una concordanza con quelle eredità che hanno attraversato la civiltà pre Magno Greca sino a tutto il contesto Romano.
È proprio nello spaccato tra le identità greche, neogreche e latine che le etnie del Mediterraneo assumano una valenza sia politica sia prettamente antropologica sia metafisica. Finora abbiamo trattato la questione relativa al rapporto etnie e Mediterraneo come se fosse una dimensione meramente territoriale.
In un tempo di vissute incompiutezze esistenziali il Mediterraneo resta un destino, come volle definirlo Braudel, ma anche una sostanziale filosofia della conoscenza dei saperi in una visione antropologica.
I veri saperi del Mediterraneo nascono dalla definizione di un processo etnico che significa la forza di una archeologia dei saperi dei popoli e delle loro identità. In fondo questo Mediterraneo oggi resta senza una precisa identità. Anzi senza una appartenenza perché se vogliamo dirla in termini di saggezza delle conoscenze le identità ci sono ma sono una dichiarazione di confusione e di reali conflitti anche di ordine economico oltre che religioso etico e culturale tout court.
Bisogna fare in modo di recuperare il Mediterraneo delle etnie nelle archeologie. Questo è il punto, perché le etnie storiche hanno un senso nello sviluppo che i popoli hanno dichiarato lungo i secoli. Secoli che sono state e sono epoche.
Il Mediterraneo è fatto di epoche e parla attraverso le epoche , ma le epoche sono una espressione di interpretazioni e di letture puramente etniche. Da questo punto di vista la chiave di lettura antropologica resta, nonostante le crisi religiose e ideologiche, il dato centrale per entrare tra le onde dei marti vissuto e decifrare una storia che, comunque, è sempre la nostra storia. Una storia che trova in Omero e Virgilio i punti non sono di contatto ma i riferimenti anche rispetto a ciò che abbiamo definito il sapere delle archeologie delle lingue.
Restano fondamentali i legami tra le lingue, l’archeologia e le tradizioni. Senza una valenza antropologica, comunque, neppure la storia avrà senso. La storia non è da considerarsi soltanto come elemento storiografico o geo-storiografico, ma va inserita in quel processo di identità in cui le etnie restano appartenenze e le identità si misurano costantemente con le la tradizione ma anche con le innovazioni sia linguistiche che etno archeologiche. La Mostra di “Donne Mediterranee e Balcaniche” è un segnale preciso che ci permette di leggere le civiltà meticciato e ci pone una questione di pluralità etnica e di relazioni antropologiche tra civiltà.