Taranto e la Puglia negli studi di Ernesto De Martino costituiscono una chiave di lettura significativa per comprende i territori della Magna Grecia.
Quei territori che sono letti sia sotto l’aspetto archeologico che antropologico. Dalla “tarantinità” alla danza, al canto, al rito. Dalla “festa” della nascita di Cristo alla Passione delle giornate che attraversano la processione. Un ricercare il senso del magico e del sacro. La tarantina della Puglia alla ritualità del Salento. Sarà il Liceo Moscati di Grottaglie insieme alla Sabap delle province di Brindisi, Lecce e Taranto ad organizzare delle Giornate su De Martino partendo proprio dai nuclei centrali della ricerca dematiniana che riguarda “Sud e magia”. La prima giornata si è svolta con dei moduli scolastici molto apprezzati riguardati proprio gli elementi della ritualità magica nel Sud: dalla Basilicata alla Puglia. Il Liceo Moscati ha degli indirizzi con delle “curvature” sulla ricerca antropologica.
Un emblematico riferimento che permette agli allievi di approfondire, infatti, la ritualità antropologica del territorio. Una prima giornata nella quale protagonisti sono stati i ragazzi che guardano con molta attenzione alla demoetnoantropologia di cui la Soprintendenza del Mibac si occupa con molta energia. Nel corso della prima giornata è stato proiettato un Video dal titolo “la tela del ragno” pensato da entrambe le istituzioni e curato da chi scrive e realizzato da Stefania Romito (https://www.youtube.com/watch?v=xDJKSy0QxAA) e con ulteriore approfondimento sulla antropologia oggi (https://www.youtube.com/watch?v=SdFNzQjDT5U).
Le prossime Giornate vedranno l’impegno oltre che della scuola e del mondo dei beni culturali anche dell’Università del Salento e vedrà la partecipazione di esperti di tradizioni, di antropologia e di legami tra scuola e antropologia.
Ernesto De Martino, nato a Napoli il primo dicembre del 1908 e morto a Roma il 9 maggio del 1965, sosteneva: “ L’uomo si è affidato a ripetizioni ritmiche celesti proprio per proteggere il troppo interno e labile calendario del suo cuore, e per poter iscrivere i tempi precari dei cuori nel più stabile tempo del cielo ”. Una metafora in un percorso antropologico che recupera ciò che Mircea Eliade sosteneva: “Il sacro si manifesta sotto qualsiasi forma, anche la più aberrante”. In quanto, sempre Eliade: “Trasformando tutti gli atti fisiologici in cerimonie, l’uomo arcaico si sforza di «passare oltre», di proiettarsi oltre il tempo (del divenire), nell’eternità”.
La lettura di “Sud e magia” di De Martino non è applicabile a tutta l’impalcatura dell’alchimia popolare che si attraversa in molte comunità mediterranea, ma, comunque, resta un punto centrale nei processi antropologici il cui confronto è tra le etnie, appunto, del Mediterraneo e i mo0ndi dello sciamanesimo puro. Se dovessimo creare una possibile comparazione con Carlos Castaneda staremmo sue due pianeti completamente diversi. De Martino ha una visione antropologica della prassi. Castaneda della spirituali, che è, in fondo, quella di Eliade e che trova in Cesare Pavese la sintesi nel concetto di “selvaggio”, di ritualità e di mito.
Tra i testi di Ernesto De Martino da considerare restano: Naturalismo e storicismo nell’etnologia, Laterza, Bari, 1941; Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino, 1948;Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria, Einaudi, Torino, 1958; Sud e magia, Feltrinelli, Milano, 1959;La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano, 1961;Magia e civiltà. Un’antologia critica fondamentale per lo studio del concetto di magia nella civiltà occidentale, Garzanti, Milano, 1962;I viaggi nel Sud di Ernesto de Martino, a cura di Clara Gallini e Francesco Faeta, fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi, Bollati Boringhieri, Torino, 1999; Scritti filosofici, a cura di Roberto Pastina, il Mulino, Bologna, 2005.
Il fenomeno della magia indagato da De Martino, in alcuni spaccati territoriali etnici, come quelli della cultura grecanica della Calabria o Arbereshe, pur avendo, entrambi, un sostrato ben marcato nella tradizione mitico-contadina, diventano quasi inapplicabile in termini di interpretazione fenomenologica e soprattutto ontologica. De Martino “scava” nel territorio senza indagare le percezioni dei popoli preistorici e neolitici. Ovvero non si serve da una archeologia delle civiltà, ma di una tradizione delle culture.
In una sottolineatura forte De Martino chiosa: “L’uomo magico è esposto al rischio della labilità nelle sue solitarie peregrinazioni, allorché la solitudine, la stanchezza connessa al lungo peregrinare, la fame e la sete, l’apparizione improvvisa di animali pericolosi, il prodursi di eventi inaspettati ecc., possono mettere a dura prova la resistenza del ‘ci sono’. L’anima andrebbe facilmente ‘perduta’ se attraverso una creazione culturale e utilizzando una tradizione accreditata non fosse possibile risalire la china che si inabissa nell’annientamento della presenza” (E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Bollati Boringhieri, Torino 1997).
Si nota come l’uomo magico di De Martino non scava nella metafisica della spiritualità, come avviene in Eliade o Castaneda e nello stesso Pavese, in quei suoi scritti dove l’antropologia stessa diventa letteratura.