Ben 296 specie italiane ed estere censite sul territorio nazionale, 25mila tonnellate prodotte l’anno pari ad un fatturato all’ingrosso di oltre 115 milioni di euro.
Sono le cosiddette “piante officinali”, una definizione tipica del Bel Paese con cui si identifica un insieme molto eterogeneo da un punto di vista agronomico di specie vegetali che, a sua volta, comprende sulla base delle principali destinazioni d’uso, le piante medicinali, aromatiche e da profumo. In Italia, stando alle ultime statistiche disponibili datate 2013, il settore riguarda 2.970 imprese per un totale di 7.660 ettari coltivati. Di queste, 114 sono pugliesi (13 biologiche) e occupano una superficie agricola totale di 412 ettari. Tra le coltivazioni di maggiori interesse in Puglia ci sono la camomilla, nel foggiano e in Salento, il coriandolo nelle aree cerealicole e la produzione di piantine aromatiche (rosmarino, basilico, erba cipollina, etc.) nel territorio di Fasano. Ora in discussione nella Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, c’è la proposta di legge per la coltivazione, la raccolta e la prima trasformazione delle piante officinali che mira a prendere il posto di un regio decreto del 1931.
“La proposta di legge è il frutto del Gruppo di Lavoro Ricerca e Sperimentazione del Tavolo Tecnico del settore istituito dal Ministero delle Politiche Agricole – dichiara Giuseppe De Mastro, professore associato di Agronomia e Coltivazioni Erbacee presso il Dipartimento di Scienza Agro-Ambientali e Territoriali dell’Università di Bari, intervenuto in audizione a Montecitorio – e punta alla definizione di un Piano di Settore della filiera delle piante officinali, attraverso una attenta analisi delle caratteristiche strutturali, tecnologiche ed economiche. è necessario svecchiare una obsoleta normativa anteguerra, inadeguata allo scenario attuale che non si limita più ai comuni impieghi erboristico, farmaceutico, cosmetico, liquoristico ed alimentare ma si allarga a nuovi settori industriali”.
Tra gli esempi citati dal professor De Mastro, innanzitutto l’utilizzo nell’agrochimica per la realizzazione di biopesticidi da utilizzare in alternativa ai tradizionali fitofarmaci: un comparto il cui giro d’affari dovrebbe raggiungere, entro il 2022, gli 8,82 miliardi di dollari. Un’ulteriore finalità delle piante officinali è quella di divenire sostanze attive nel packaging per allungare la “shelf life” dei prodotti alimentari così da rispondere alla domanda dei consumatori con tecniche di imballaggio più avanzate ed efficaci. Infine, rispondendo alle direttive comunitarie in materia, queste piante potranno essere valorizzate per ottenere oli essenziali da utilizzare come additivi per mangimi nell’alimentazione animale, sostituendo gli antibiotici la cui resistenza umana inizia a destare grande preoccupazione.
“Questi esempi – commenta il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate, capogruppo M5S in Commissione Agricoltura alla Camera – danno un’idea di quanto il consumo di piante officinale e dei prodotti derivati possa trovare nell’immediato futuro ambiti di sviluppo ben oltre quelli prospettati dagli attuali utilizzi. Il nostro Paese, peraltro, è in una situazione di forte deficit tra il consumo e l’attuale capacità di produzione interna di piante officinali, con le importazioni che pesano addirittura per il 70%. Pertanto è opportuno che vengano sostenute scelte che possano rendere queste colture un volano per l’economia agricola regionale”.