La tragedia Mediterranea è la tragedia nel crollo della storia. Ma vado oltre. Il Mediterraneo custodisce culture sommerse e metafore dell’appartenenza.
I luoghi del tempo diventano luoghi di un essere e di un sapere che vivono in un racconto costante che pone all’attenzione la nostalgia delle civiltà e l’attesa dei popoli. Ma Mediterraneo non significa soltanto mare. L’acqua come allegoria del cangiante è un punto che offre una interpretazione letteraria e misteriosa. C’è anche la terra, come deserto, come testimonianza di una spiritualità che lega il passato come voce di un destino indefinibile e l’attesa come dimensione profetica.
Proprio per questo non bisogna considerare il Mediterraneo soltanto come la culla della storia ma anche come il futuro di civiltà nelle quali si sono incontrati i viaggi e la memoria e il percorso di un’attesa che si rivolge al futuro. Ha ragione Pedrag Matvjevic: “Non esiste una sola cultura mediterranea, ce ne sono molte in seno ad un solo Mediterraneo” (“Corriere della Sera”, 22 ottobre 2004).
Tradizioni, usi, costumi, lingua, arte non sono soltanto dei processi da valutare in termini culturali ma da penetrare sul piano di una sensibilità umana. Il Mediterraneo ha visto e vede passaggi di popoli che trasmettono modelli di appartenenza. Non una appartenenza. Ma modelli che interagiscono con i vari Paesi frontalieri ma anche con quei Paesi interni che al Mediterraneo devono molta della loro storia.
Ci sono lingue che sono state filtrate da radicamenti che hanno trovato nel Mediterraneo non solo un humus etico quanto una spiritualità e una essenza. Perché proprio nell’incontro di queste culture il Mediterraneo rappresenta il raccordo tra Occidente ed Oriente. Le etnie che sono presenti in Italia, anche quelle che hanno una radice nordica, non possono definirsi senza una valenza che ci spinge alla comprensione di snodi valoriali provenienti da realtà mediterranee.
L’Italia è, nell’ambito di una visione geografica ampia, espressione di mediterraneità e si porta dietro una profonda esperienza che è quella dell’identità di un incrocio, appunto, tra Occidente ed Oriente. Non è stata l’America a “colonizzare” l’Europa o a “invadere” il Mediterraneo. E’ stato il Mediterraneo ad entrare dentro l’America. In fondo l’America nasce Mediterranea. Cristoforo Colombo è l’espressione più straordinaria di quanto abbia contato la civiltà mediterranea nel contesto mondiale.
Il senso dell’antico e la profondità delle radici non possono recidersi. Ecco perché la multiculturalità e la realtà multietnica hanno trovato in Italia sempre una sede di accoglienza articolata e straordinaria anche dal punto di vista sentimentale. Se insistono presenze minoritarie che sono portatrici di etnie diversificate non è solamente una questione relativa alle nuove migrazioni o alle nuove diaspore ma l’Italia è una terra che custodisce antiche etnie che si sono ben radicate sul territorio.
Questo radicamento non è una questione di ospitalità (come si potrebbe ospitare uno straniero) ma si tratta di un fenomeno che si è ben spalmato sul territorio stesso attraverso l’entrare dentro una comunità. Pur mantenendo l’appartenenza originaria hanno trovato nel Paese “ospitante” identità con le quali convivere e confrontarsi. E queste presenze minoritarie si sono integrate non abbandonando la cultura valoriale che rimanda costantemente a delle radici che pur essendo lontane nel tempo restano come riferimenti certi.
Si pensi a quelle culture anomale rispetto ad una tradizione mediterranea che mantengono fede ad un radicamento preciso e sono ben consapevoli della loro storia. Mi riferisco ad etnie come i Cimbri, come i Ladini, come i Germanici come anche i Franco – Provenzali o, rischiando su queste comparazioni, gli Occitani. Hanno provenienze i cui dati oggettivi non chiamano in causa il Mediterraneo. Nonostante tutto la loro tradizione e la loro cultura di appartenenza ha trovato nel Mediterraneo un vissuto con il quale stabilire un dialogo costante.
La lingua è la vera affermazione identitaria, la quale diventa, a sua volta, definizione di elementi simbolici. Queste presenze minoritarie si dichiarano con una loro tradizione e con una griglia simbolica che non può essere similare a comunità come quelle dei Grecanici o degli Arbereshe, o dei Croati, o degli Sloveni, o dei Friulani, o dei Catalani. Una società, dunque, prioritariamente con più etnie si mostra chiaramente con una diversità di culture. Nei vari territori, ovunque essi vivono, queste comunità non sono legati in forma monolitica, anzi si esprimono con una eterogeneità di manifestazioni culturali. Il rapporto tra etnia e cultura risulta fondamentale proprio alla luce di una realtà geografica che è quella consolidata in una storia mediterranea.
I Cimbri, per ritornare ad un esempio emblematico, rispetto ai Grecanici sono popoli e comunità (ora) che hanno vissuto storie completamente diverse e il loro portato di memorie ci restituisce tradizioni e archetipi completamente differenti. Eppure, pur nell’ampiezza delle distanze territoriali e geografiche, si trovano a vivere in u Paese che è Mediterraneo. Il Nord e il Sud non vanno considerati come poli di un globo ma come strategia di una cultura che pur nella diversificazione delle loro etnie di partenza si ritrovano, con la loro etnia, in un processo di integrazione complessivo proprio sul versante delle identità. Il Mediterraneo ha sempre accolto popoli e appartenenze, come si diceva, e ha permesso l’espressione di identità eterogenee.
Il Mediterraneo, dunque, è il luogo – non luogo del mare e del deserto e il viaggio ha sempre costituito una metafora che è quella del labirinto. Le presenze minoritarie hanno attraversato il labirinto e poi hanno cercato di fermarsi in un luogo e di consolidarsi in un luogo pur con delle radici diverse. Questi sono popoli stanziali.
Ci sono altre presenze minoritarie che non hanno un luogo ma non hanno neppure un non luogo. Mi riferisco agli Zingari (Rom e Sinti). La loro appartenenza è nel superare costantemente il concetto di luogo. Sono i “figli del vento”. E come tali sembrano delle foglie con una loro consapevolezza, con una loro anima e con una loro cultura. Popoli non stanziali ma con una loro civiltà e con una loro identità che resta una realtà in una fedeltà della comunanza.
Soltanto il Mediterraneo può unire nella diversità. Ecco perché non può esistere una sola cultura mediterranea e non può reggere un Mediterraneo legato, pur marcatamente, solo alla storia, ovvero al passato. Una nuova “percezione” del Mediterraneo è proprio nella consapevolezza delle aumentate diversità.
Occorre, per ritornare a Matvejevic, una identità del futuro. Occorre ripensare la storia vivendo in “prospettiva”. Aggiunge: “Un’identità dell’essere si esaurisce facilmente se non riesce a motivare un’identità del fare, analoga e complementare”. Dare senso ad un Mediterraneo che non si chiuda nella nostalgia o nella mitologia. Essendo un luogo dell’accoglienza e delle frontiere non può che essere anche il destino dei popoli che superano ogni separazione oltre ogni stereotipo.
I popoli e le civiltà non possono vivere di passato perché corrono il rischio di morire di passato. Il Mediterraneo che è stato luogo della profezia non può fare a meno di segnare il destino del futuro. La tradizione è nel popoli. In quei popoli che lo hanno attraversato e che lo vivono. Il futuro è nella centralità di un processo che va oltre. La storia delle etnie e le presenze etniche sono una testimonianza straordinaria che va letta in tutta la sua complessità. Oggi nella tragedia di popoli e civiltà.