I santi della cristianità calabrese vissero in odore di inquisizione. Una ortodossia che ha portato San Francesco di Paola ad essere definito taumaturgo.
Il Sud ebbe il travaglio cristiano del “nilano”, (San Nilo), del “paolano” (San Francesco), dello “stilano” (Tommaso Campanella), del “nolano” (Giordano Bruno). Le Inquisizioni restavano però legate ad un macro legame tra potere laico – reale e pontificale. Si pensi alla Inquisizione Medioevale. Al terribile percorso di quella Spagnola oppure portoghese. Si pensi alla grande funzione che ebbe lo Stato nella Inquisizione romana (da Campanella a Bruno).
Nella cristianità dei Santi calabresi l’incontro con il monachesimo ha segnato sempre un percorso contemplativo, in cui il valore della pietà ha assunto una visione, quasi penitenziale, all’interno di una geografia che ha visto confrontarsi l’Occidente con l’Oriente. San Francesco di Paola, in pieno passaggio epocale tra l’Umanesimo e il Rinascimento, non è stato soltanto il santo della “Charitas”.
La sua presenza, come ascoltatore della cultura dei “minimi tra i minimi”, ha sostenuto il carisma del mistero in una storia in cui la cristianità ha dovuto, spesse volte, interpretare il mondo musulmano e lottare per la tolleranza e la persuasione.
In Francesco il concetto di persuasione si lega, chiaramente, a quella di carità e in Calabria, che è la stretta geografica e umana tra Occidente ed Oriente, la persuasione è anche l’incontro costante con la tolleranza tra le genti. A questa famiglia di umili, di caritatevoli, di perseveranti, oltre la persuasione della religiosità dei valori, appartiene San Nicola di Longobardi.
Ma la Calabria è anche la Città del Sole, ovvero è l’eresia, in un tempo di inquietante inquisizione, che comprende il destino della teologia. Lo stesso San Francesco nella obbedienza, mai venuta meno, (ubbidire è capire, non ubbidire non comprendendo si corre il rischio di toccare la via della perdizione), ha dato senso non alla ragione dell’eresia, ma alla eresia come utopia.
“Quando Giovanni Paolo II giunse in Calabria nel 1985 pronunciò un lungimirante discorso sui Santi della Calabria ed ebbe a dire: “Voglio sperare, che voi non mancherete di rileggere la storia religiosa della vostra regione, che ha accolto il messaggio cristiano fin dal primo secolo, alla luce splendente dei Santi calabresi che hanno forgiato generazioni di cristiani secondo lo spirito del Vangelo e della Croce di Gesù Cristo. Come non rievocare alcune figure emblematiche che ebbi occasione di venerare nel corso della mia visita: S. Nilo e S. Bartolomeo, illustri rappresentanti del monachesimo cenobitico; S. Bruno, che diede impulso in Calabria al monachesimo certosino, fondando quella splendida Certosa, che ancora porto davanti al mio sguardo; S. Francesco di Paola, il Santo dell’umiltà e della carità, sempre vicino al cuore della gente! Gli alti esempi di questi Santi luminosi e sempre attuali devono costituire uno stimolo costante per quella animazione cristiana e sociale della Calabria, oggi non meno dei tempi passati, bisognosa di uomini e donne che sappiano testimoniare con coraggio l’impegno per una rinascita spirituale. Ma, i Santi calabresi, soprattutto San Francesco di Paola, non hanno disatteso l’impegno sociale, anzi non hanno lasciato occasione per porsi a servizio e a sollievo dei poveri, dei deboli, dei malati. Oggi il problema sociale, che tocca la Calabria , va sotto il nome più vasto di questione meridionale. Si tratta dei problemi riguardanti le differenti condizioni di vita delle popolazioni meridionali e quelle più specificamente calabresi, gli aspetti relativi alla vita morale e religiosa, ed alla coerenza nei comportamenti privati e pubblici, le preoccupazioni sociali relative alla disoccupazione, specialmente quella giovanile e intellettuale, ed il problema di fondo di un più vasto ed omogeneo sviluppo economico, che riguarda non solo la Calabria ma tutte le Regioni del Mezzogiorno d’Italia”.
Era l’1 giugno del 1985. Un grande Papa che lesse nella cristianità popolare l’identità di un popolo.
La cristianità è consapevole dell’utopia, ma soltanto l’utopia farà camminare il cristiano lungo la Croce per condurlo lungo l’attrazione verso la redenzione. Il concetto di minimo, non solo tra i minimi ma anche tra gli umili, è una declamazione dell’esistere dell’anima come antropologia della religione che resta nella sfera della teologia, ma si identifica sempre nel cammino di una carità diffusa attraverso l’umiltà compresa.
Perché nella cristianità calabrese la santità è vissuta come personificazione interlocutoria tra le culture che hanno reso il popolo calabrese accettante…perché è proprio nella cristianità il dono dell’accoglienza, ma l’accoglienza è realmente una metafisica dell’anima.
Gioachino da Fiore, sia come teologo sia come camminatore nel mistero, non smette di incrociare l’eredità di un Oriente mistico con un Occidente carismatico. Nella sua religiosità l’antropologia dell’anima è sostanza oltre la ragione ed è quindi sostanza d’anima pur accettando, ecco dunque l’accoglienza, una griglia simbolica che proviene da un mondo sacro di un Oriente meta-esoterico.
Lo stesso Campanella è un migrante per eresia nei confronti dell’Occidente perché il sole è una metafora della luce graziante che diventa una metafisica della Grazia accogliente. Il culto mariano, in Calabria, resta fondamentale ed è il culto che ha la sua voce parlante nella Madonna del Rosario di Pompei. Una Calabria dei Santi, che nel mistero del mistico viaggiatore ha attraversato il linguaggio della teologia, ha legato la religione alla filosofia, ma ha saputo interpretare il mistico passaggio di Paolo tra le terre dell’anima.
Qui si ritrovano l’esperienza mistica, che è il cammino mistero e l’obbedienza. San Nicola di Longobardi è la voce che recita la provvidenza nel Cristo Redente. Ovvero un cammino nella Provvidenza.
La santità e l’Inquisizione, ovvero l’eresia del Santo sono un intreccio inevitabile. Si pone come dibattito non solo teologico ma anche politico e filosofico
La santità dei Santi calabresi si incontra con la teologia di Gioacchino da Fiore, di Bernardino Telesio, di Tommaso Campanella, di San Nilo e del misterioso cammino del silenzio di Serra San Bruno, ovvero di una fede carismatica bruniana che “spigola” anche con il nolano Giordano Bruno.
La Calabria ha la sua eredità orientale. Il mondo ortodosso è ben presente al punto tale che la Chiesa cattolica dialoga costantemente con le Eparchie. Francesco non scaccia i musulmani. Li ferma. San Nicola, orante ai piedi della Madonna di Loreto, si rende interprete di una cristianità.
D’altronde i conventi dei Minimi sono l’anima della terra nella continuità tra l’Oriente e l’Occidente. La Calabria non può astenersi dal linguaggio di San Francesco. Accanto alla carità e all’umiltà si pone la fortezza che incontra l’eresia.
San Nicola ha compreso subito questa mirabile spiritualità ed ha decodificato il concetto di anima stessa in Spirito nell’essenza della sua comunità. Ecco il senso che, in fondo, si offre alle orazioni, ovvero ecco come le orazioni diventano pellegrinaggio di preghiera nella parola orante.
Diventa molto complesso e affascinante il processo del dialogare tra teologia e mistero, perché la Calabria propone come voce religiosa in Cristo la teologia. Gioacchino da Fiore è dentro questo cammino.
Campanella per sfuggire alla teologia diventa errante, pur nella ubbidienza della fede. Francesco legge, e lo fa con le Regole, il “giardino” di Gioacchino, ma interviene con le azioni e con la presenza e comprende che il mistero, affinché possa essere fede, ha bisogno del mistico.
Essere “Taumaturgo” ed/o essere considerato tale significa aver assorbito una teologia dell’Essere, ma ciò lo rende un interlocutore tra la Chiesa e il vivere la Trinità nel mistero del cammino che lo conduce tra il mare e le terre. San Nicola interpreta questa visione e la traduce nella Grazia beatificante in un raggio di luce tra l’estasi e il sublime.
Quando la penitenza chiama e la persuasione è provvidenza la voce è un camminare nella spiritualità. L’umiltà è potente, l’umiltà guida, l’umiltà disegna le vie, l’umiltà certifica la carità, l’umiltà è un camminare di senso. Ma l’umiltà resta al centro del dono della contemplazione. La contemplazione di vissuto è il donarsi nel sempre. Perché in questo donarsi si ramifica la ricerca della perfezione. Il cristiano per vivere la santità deve lasciarsi assorbire completamente dall’accettazione e allontanarsi da ogni gesto che non sia la accoglienza mistica del perdono.
Così il monachesimo è la pazienza espressa nello sguardo che ha il silenzio gaudioso. Così il monachesimo è la speranza legata alla volontà caritatevole della provvidenza. Francesco di Paola è la provvidenza nell’osservanza. San Nicola è l’osservanza nella provvidenza. Questo incontro di santità nella Calabria degli intrecci delle cristianità, nella latinità e nella ortodossia, è la Calabria che ha dialogato con gli Orienti di un sacro immenso che è nella vita dei popoli pur in una temperie in cui prendeva consistenza il potere dell’inquisizione.