“L’espressione “pane al pane, vino al vino” significa parlare in modo chiaro e dire le cose come stanno, senza mistificazioni. Altrettanto chiaramente, all’Unione Europea e al suo tentativo di snaturare millenni di cultura enologica dobbiamo dire che il vino annacquato e senza alcool non è vino”, ha dichiarato Raffaele Carrabbap presidente di CIA Agricoltori Italiani della Puglia che ha commentato con queste parole la proposta emanata dalla Commissione Europea per l’introduzione dell’acqua nella produzione e la dealcolizzazione del vino.
Una pratica già adottata in altri paesi
La notizia è di qualche giorno fa ed ha suscitato immediatamente clamore e perplessità, anche se i termini della questione non sono ancora del tutto chiari.
Occorre dire che la proposta è tutt’altro che definitiva, si tratta infatti del Regolamento comunitario n. 1308/2013 attualmente in discussione a Bruxelles in un confronto tra Commissione, Parlamento e Consiglio, che prevede di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol.
La proposta risale al 2018, quando la Commissione Europea, all’articolo 193 dello stesso regolamento, utilizzava i termini “vino dealcolato” (con tasso alcolometrico non superiore a 0,5% vol.) e “vino parzialmente dealcolato” (con tasso alcolometrico compreso tra 0.5% e il limite stabilito per Paese, circa il 9%).
“Si snatura un prodotto storico millenario”
Ma evidentemente la questione è tornata sotto l’occhio dei riflettori, ed il mondo agricolo pugliese, già provato da crollo dei prezzi, siccità, xylella ed altro, non ci sta ad accettare passivamente questa ennesima mazzata.
“Sotto il mantello di un’esigenza ‘salutista’ non comprovata da alcuna ricerca scientifica, si vuol far passare altro, vale a dire la possibilità di snaturare un prodotto storico millenario a tutto vantaggio delle multinazionali del Food and Beverage, libere in questo modo di utilizzare la definizione ‘vino’ anche per bevande che nulla hanno a che fare con il vino e per quelle fermentate da frutti diversi dall’uva”, ha aggiunto Michele Ferrandino, presidente di CIA Capitanata.
Sulla stessa lunghezza d’onda, i presidenti di tutte le declinazioni territoriali della Cia, come testimonia Felice Ardito, presidente dell’area Levante. “Da millenni si produce vino in tutta l’area metropolitana barese. Se non ci fossero motivi per piangere, la proposta della Commissione Europea sarebbe da accogliere con sonore risate davanti a un bel bicchiere di rosso. Il problema, però, è che non c’è niente da ridere. Proposte come questa possono distruggere un tessuto produttivo fatto anche di piccoli produttori, di aziende vitivinicole con una storia pluricentenaria, di imprese che negli ultimi 20 anni hanno fatto innovazione, ricerca, raggiungendo una qualità talvolta straordinaria, ottenendo successi anche nei mercati internazionali grazie alle possibilità aperte dall’e-commerce”.
Stessa fortissima contrarietà è espressa dall’area Due Mari (Taranto-Brindisi) e naturalmente dal Salento. “Le aziende vitivinicole di Brindisi e Taranto hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni”, ha dichiarato Pietro De Padova, “cominciando un lavoro importantissimo sul ‘terroir’, e non solo sul rapporto che lega un vitigno al microclima e alle caratteristiche minerali del suolo in cui è coltivato, ma anche alla promozione di un intero territorio attraverso i propri vini”.
“Tutelare le eccellenze”
Un lavoro, quello sul ‘terroir’, che nel Salento ha portato frutti importantissimi, basti pensare al Primitivo di Manduria. “Siamo esterrefatti”, ha detto Benedetto Accogli, presidente di CIA Salento. “Se la proposta dovesse passare, il mercato del vino sarebbe stravolto, di fatto sarebbero legalizzate pratiche che oggi sono giustamente considerate frodi e contraffazioni. Il Testo Unico della Legge 238 del 12 dicembre 2016 vieta chiaramente l’introduzione dell’acqua e di altre sostanze nella produzione del vino”.
“La proposta della Commissione Europea è irricevibile, totalmente inaccettabile – ha concluso Carrabba – a meno che l’obiettivo non sia quello di radere al suolo un intero comparto, distruggendo quanto è stato faticosamente creato in centinaia di anni. Gli effetti sulla Puglia, e sull’Italia più in generale, sarebbero devastanti da ogni punto di vista: economico, sociale, occupazionale, perfino dal punto di vista dell’identità culturale e paesaggistica dei territori.
La Puglia è la terra degli ulivi, del grano e dei vigneti: stiamo già combattendo una battaglia drammatica sul fronte dell’olivicoltura, se ad essa si aggiungesse una ‘guerra’ sul vino le conseguenze sarebbero davvero tragiche.
L’Italia e tutta l’Europa del Mediterraneo non possono avallare una proposta scellerata, se questa partita dovessero vincerla le multinazionali vedremmo scomparire nell’arco di qualche anno un comparto che è parte integrante della nostra identità e della vita di milioni di persone”.