È morto Tullio De Mauro (era nato a Torre annunziata 31 marzo 1932 – morto ieri a Roma).
Ho conosciuto molto bene Tullio De Mauro. C’è stato un periodo in cui, al Ministero dei Beni Culturali, facevamo entrambi parte di commissioni e abbiamo lavorato sulla difesa e sulla tutela della lingua italiana, in modo particolare sulla capacità che hanno avuto le contaminazioni sulla lingua italiana, cioè le contaminazioni provenienti da altre realtà territoriali, realtà geografiche di altri paesi, e più volte ci siamo confrontati su questi temi, più volte abbiamo discusso sulla realtà della lingua italiana e sul rapporto tra lingua e dialetto. Proprio questo tema, il rapporto tra lingua e dialetto, ha sempre rappresentato per gli studi di Tullio De Mauro, un punto cruciale per fare della stessa lingua, della stessa comunicazione linguistica, una filosofia del linguaggio, una semiotica e una semantica del linguaggio stesso.
I temi fondamentali trattati da Tullio De Mauro quando noi, come Commissione dei Beni Culturali, abbiamo iniziato ad occuparci di lingue minoritarie, hanno posto una articolazione di un vocabolario che potesse avere delle koinè ben definite, ben precise. Tullio De Mauro è stato tra coloro che hanno inserito la conoscenza dei linguaggi “altri” nel linguaggio ufficiale. È stato uno studioso attento della filosofia della lingua, anche attraverso i modelli letterari, ed è stato soprattutto un attento conoscitore dei cambiamenti che ha subito la lingua italiana nel corso dei secoli. Da un punto di vita storico, da Manzoni in poi, la lingua italiana ha subito diversi cangiamenti che abbiamo chiamato “condizionamenti” da altre realtà, giungendo poi anche sul piano linguistico ad un meticciato delle lingue inserendo all’interno di questo processo un modello che è stato ed è ancora oggi un modello di antropologia delle lingue intorno alla filosofia della parola.
La ricerca è ancora tutta aperta. Lo studio che Tullio De Mauro ci ha consegnato andrebbe approfondito poiché cambiando le società, mutando le società, vivendo in una società in continua transizione, anche la lingua subisce il trasporto di nuovi vocaboli, di nuovi modelli di comunicazione e proprio per questo ritengo che vada inserita all’interno. Con Tullio De Mauro si parlava spesso di quella comunicazione della filosofia della lingua, perché la lingua è sì un sostrato di linguaggi, di parole, di un vocabolario attinente alla ufficialità in sé, ma nello stesso tempo vive le diverse realtà delle quali ci si trova a parlare, ci si trova a usare la lingua, e non è soltanto un modello di codice linguistico in sé, è anche una trasformazione, una trasposizione di ritmi, di tonalità, di accenti che vanno ad insistere proprio nella parlata comune.
Recuperare e dare un senso vero alle minoranze linguistiche per Tullio De Mauro è stato conoscere di più il territorio, conoscere di più quelle geografie territoriali che sono diventate poi parte integrante di una geopolitica del linguaggio geografico, regionale. Lo studio sulle lingue regionali ha aperto diverse prospettive tra cui, ad esempio, il bilinguismo sul quale noi oggi ci troviamo a parlare e a discutere. Ma il bilinguismo, e le comunità di minoranze linguistiche, è stato un elemento di avanguardia portato proprio da Tullio De Mauro con il quale abbiamo strutturato anche le condizioni per portare avanti un Comitato Nazionale per le Minoranze Linguistiche partendo dalla Legge del 1999 che tutela le minoranze. Su questo piano discutere di lingua, di linguaggi, di koinè e vocabolario è stato e per me e per Tullio De Mauro un inserire all’interno di questa dimensione un rapporto tra dialetto e letteratura, tra dialetto e scrittori.
Recuperare il dialetto che viene usato dagli scrittori, e in particolare dai poeti, significa non soltanto recuperare le radici, le identità prioritarie, ma significa anche approfittare di questa ricerca per dare un senso a una conoscenza maggiore che parte dall’identità regionale, ma che accanto alle identità regionali, fatte di tradizione e costumi, i linguaggi assumono una rilevanza straordinaria e su questo piano Tullio De Mauro è stato un innovatore perché, usando le lingue minoritarie, ha fatto in modo che quelle minoranze non restassero tali ma entrassero in una rete interattiva integrando. Ecco un significato, che è un significato della semantica e della semiotica, in una realtà che è una realtà della filosofia del linguaggio, ma anche antropologica perché la lingua si deve servire nell’antropologia dei luoghi e l’antropologia dei luoghi, senza una lingua vera e propria, non consuma quelle realtà e non assume a sé quelle identità che sono dettate dalla quotidianità. La lingua cosiddetta volgare, per dirla con il De Vulgare Eloquentia al quale De Mauro era molto legato, significa anche recuperare le koinè originarie, non soltanto di un vocabolario di una lingua, ma dei popoli che hanno abitato un territorio. Da un parte noi facciamo un’analisi linguistica, ma dall’altra si compie un processo culturale che si innesta in una dimensione antropologica.
Il compito che ha svolto Tullio De Mauro è stato un compito di primaria importanza per i linguaggi, ma è stato anche di primaria importanza per riscoprire una letteratura regionale in sé, e non soltanto regionale, ma una letteratura che avesse come dato prioritario il dettato territoriale.
Ci sono tre elementi fondamentali in un linguaggio vissuto su un territorio delle minoranze, o su un territorio in cui insiste il bilinguismo. Queste tre realtà sono: una lingua ufficiale che è quella italiana, una lingua minoritaria etno -antropologica e il dialetto. Noi non ci ritroviamo nelle comunità minoritarie soltanto a ragionare con una mappatura di lingue che si dividono tra la lingua etnica e quella italiana, ma all’interno di questo contesto ci troviamo a confrontare il nostro vocabolario anche con il dialetto del luogo. Faccio un esempio: nelle comunità italo albanesi c’è la lingua ufficiale che è quella italiana e c’è la loro lingua ufficiale Arbëreshë italiano- albanese, tant’è che entrando in questi comuni troviamo la scritta bilingue, italiana e albanese, come in tutte le 12 comunità tutelate dalla normativa del 1999, ma in più c’è un’altra lingua, come diceva Tullio De Mauro, che è il dialetto. Davanti a queste contestualizzazioni geografiche è naturale che la realtà è data da questa triangolarità e gli studi che noi abbiamo portato avanti, sui quali ci siamo confrontati con Tullio De Mauro vanno in questa direzione, ecco perché noi consideriamo De Mauro un maestro da questo punto di vista, che ha dato i primi insegnamenti, le prime testimonianze molti anni fa sulle lingue tagliate, le lingue altre, le lingue consumate, le lingue volgari, le lingue che venivano accantonate e mascherate da un finto dialetto, e tutta una contestualizzazione che può essere recuperata, diceva, soltanto attraverso la scrittura e quindi attraverso la letteratura.
Tocchiamo un altro aspetto, ovvero la lingua parlata e quella scritta. Il recupero della lingua parlata è la tradizione delle comunità di una cultura popolare che si inserisce all’interno di una cultura popolare. La lingua scritta, invece, ha bisogno di un sua fisionomia e di una geometria vera e propria della grammatica e del vocabolario. La grammatica e la sintassi nella lingua parlata, e quindi nella cultura popolare, viene ad essere assunta come una proporzione immediatamente congiunturale con l’identità antropologica, mentre nella lingua scritta è naturale che vanno usati alcuni criteri ben definibili dalla sintassi e dalla grammatica ufficiale. Ciò non toglie che il dialetto ci permette di conoscere di più i luoghi, i territori e ci ha permesso di conoscere di più le mappature della nostra Italia. Dalla Sicilia alla Lombardia, dal Veneto alla Puglia, ogni regione ha delle caratteristiche ben precise, e queste caratteristiche sono dimensioni di un processo che è culturale, identitario e antropologico.
Tullio De Mauro poneva in sé tutte queste caratteristiche, ecco perché sosteneva sempre il fattore di “lingua salvata” perché è quella che riesce a tutelare il dialetto, è quella che riesce a dare un senso forte all’ufficialità della lingua italiana, è quella che riesce a difendere le minoranze linguistiche. Su questi tre aspetti Tullio De Mauro ha svolto il suo compito anche istituzionale dando un senso tangibile alla contemporaneità, perché tutto ciò che noi viviamo è contemporaneo, tutto ciò che abbiamo vissuto portandolo all’interno del tempo presente diventa contemporaneo e tutto ciò che vivremo noi lo prepariamo nella contemporaneità. Di conseguenza è naturale che la lingua va salvata e questa salvezza della lingua è una dimensione in cui il vocabolario quotidiano può diventare il vocabolario di un’esistenza.
Un linguista che si è sempre confrontato con la storia e con i tempi e che ha sempre cercato di inserire in un dialogo, in un rapporto, la storia antica delle lingue e la storia moderna attraverso una linguistica dell’Italia unita partendo dall’Unità d’Italia fino ad arrivare ai nostri giorni.
I libri fondamentali che raccontano questa storia iniziano a partire dal 1963 con il testo “Storia linguistica dell’Italia unita”, ripubblicato nel 1970, per poi passare alla storia della semantica con la sua introduzione alla semantica. Tra gli ultimi libri, di grande interesse è il testo realizzato insieme ad Andrea Camilleri, nel 2013, dal titolo “La lingua batte dove il dente duole” e “Storia linguistica dell’Italia repubblicana”, pubblicato l’anno successivo, ovvero come la lingua si è evoluta a partire dal 1946 ai giorni nostri. Sempre nello stesso anno, un testo che resta a mio avviso fondamentale e sul quale ci siamo confrontati spesso sia come Università che come Ministero dei Beni culturali, è “In Europa sono già 103, troppe lingue per una democrazia”. Un dibattito aperto molti anni prima che continua ad costituire un punto di riferimento sia attraverso la visione del dialetto, sia attraverso l’interpretazione delle lingue cosiddette “tagliate” delle minoranze linguistiche e il vocabolario della lingua italiana.
Questi aspetti sono elementi che hanno fatto di Tullio De Mauro un punto di riferimento nella linguistica europea. Da linguista, ha cercato di portare avanti un processo che è stato un processo culturale in senso generale, ma soprattutto un processo etnico linguistico, linguistico e antropologico.