Aveva pubblicato recentemente “Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia”. Un libro importante.
Sebastiano Vassalli è morto! A Casale Monferrato. Era nato a Genova il 24 ottobre 1941. Lo scrittore de “La chimera”. Ma anche lo scrittore che fa parlare Giuda in un dialogare con il Cristo nella notte del Campo degli Ulivi. Lo scrittore che ha raccontato la vita di Dino Campana. Soprattutto lo scrittore di “Amore lontano”. Un saggio, quest’ultimo? Forse qualcosa di più. Un romanzo nella frammentazione dei capitoli? Forse qualcosa di altro. E’ un pensare la letteratura nella consapevolezza che il tempo è più della storia e il viaggio è un quotidiano labirinto dal quale non ci si può liberare. La letteratura è dentro questo labirinto. E a volte è il labirinto. Vassalli, dunque, pone delle questioni essenziali.
Ma una cosa è certa. Questo libro rompe con un pensiero letterario debole, che è quello che ha accompagnato i dibattiti di questi ultimi anni. La letteratura, in altri termini, non è l’altra ideologia ma non è neppure l’anti – ideologia. La letteratura è il mistero. Dice bene Vassalli. La poesia è un miracolo. Un libro straordinario. Appunto dirompente perché è fatta di anima e di testimonianza spirituale. E in questo percorso si serve della lettura di alcuni autori: Omero, Qohélet, Virgilio, Jaufré Rudel, Villon, Leopardi, Rimbaud.
Riferimenti forti per porre all’attenzione l’importanza di una letteratura che ha richiami antichi che vengono proiettati all’interno del contemporaneo. Si tratta, dunque, di un libro diverso. E’ chiaramente un riferimento sul quale si potrebbe aprire un intelligente e robusto dibattito. In fondo Vassalli apre, con queste indicazioni, una chiave di lettura su tutta la letteratura.
La letteratura è un viaggio. Con la letteratura si compie un viaggio e viaggiando si penetrano i labirinti dell’anima in un tracciato in cui il tempo costituisce una dimensione certamente immateriale ma anche metafisica. Il tempo si percepisce come luogo dell’essere. Così in Vassalli. Il quale attraversa lo sperimentalismo e vive le avanguardie recuperando la memoria e la tradizione sia estetica che linguistica.
La letteratura abita il luogo dell’essere grazie a delle visioni che partecipano ad una interiorità che si manifesta attraverso i segni. La parola e il linguaggio sono elementi non solo introspettivi ma onirici. La letteratura ha bisogno della metafora per costruire la zattera che dovrà navigare i mari dell’indefinibile. Come Ulisse. O meglio come Omero che ha definito i personaggi inafferrabili lungo quelle tappe che lentamente e con l’agonia dell’attesa impongono, nella nostalgia assordante, il ritorno. Avevamo dedicato un numero monografico di “Microprovincia”, la rivista diretta da Franco Costabile, a Vassali nel 2011.
Nel ritornare non ci si dimentica. I miti e la storia sono dentro la letteratura. Perché se la letteratura non ha come visione e come orizzonte il viaggio e il sentimento del viandante non può contenere il senso della parola che si radica nella fisionomia del personaggio e nella simbolicità dei linguaggi. I simboli danno respiro alla poesia. I personaggi, prendendo spunto da Vassalli, delineano le storie in una avventura che chiede di farsi destino. Omero resta antico ma è anche contemporaneo e Ulisse non è uno specchio (in letteratura non può vivere lo specchio: si frantumerebbe al primo colpo di vento o di onde appena pronunciata) ma una maschera.
La letteratura è fatta di maschere perché sa bene che per vivere il labirinto (e vivere nel labirinto con la consapevolezza però di uscirne fuori) non può fare i conti con la realtà ma deve superarla servendosi di quei fantasmi che si agitano nel cuore. I fantasmi sono un brivido delle finzioni. Ulisse è afflitto dai fantasmi e si serve delle finzioni ed è per questo che ama la maschera. Il labirinto è uno strumento della metafora del viaggio. Il mare per Ulisse è il labirinto. Ma serve per darci la consapevolezza del ritorno. Il ritorno di Ulisse è la maschera della letteratura dentro il tempo della memoria.
Ma cosa è la scrittura? Vassalli ci sottolinea delle attente cesellature. Nel libro “Un infinito numero” Timodemo, il segretario di Virgilio, quasi a conclusione della vicenda narrata chiosa: “La scrittura … può durare (e di solito effettivamente dura) ben più di chi se ne serve; e ci può dare quell’illusione di immortalità che più di ogni altra illusione passata o presente ha abbagliato gli uomini della mia epoca. Virgilio, Orazio, Properzio, Agrippa, Mecenate e lo stesso Augusto, si sono riscaldati alla luce di quell’illusione; e hanno creduto di poter vivere oltre la morte fino a diventare immortali, rispecchiandosi nella loro scrittura o in quella degli altri…”.
Il tempo nello spazio è un processo di ripresa dei codici valoriali della memoria – simbolo. E’ su questo che si gioca l’essere della parola che assorbe l’infinito dei numeri – codici o l’infinitezza dell’immensità della parola – sogno – malinconia. Nel vocabolario dello scrittore i segni si traducono, appunto, in tempo. La scrittura serve a vincere il tempo?
Sempre nel libro citato c’è il personaggio di Aisna che invita a cena, nella sua dimora, Virgilio e Mecenate. A un certo punto sbotta: “Voi credete che la scrittura serva a vincere il tempo (…) e che gli dei ve l’abbiano concessa in un momento di particolare benevolenza, per rendervi partecipi della loro eternità: ma posso dimostrarvi che siete in errore. La scrittura è stata inventata da Mania, la dea delle ombre e della menzogna; e il démone che la governa è Tuchulcha, il dio – cadavere, l’essere più malvagio con cui i Rasna abbiano dovuto lottare nei dieci secoli della loro esistenza”.
E poi aggiunge: “La scrittura uccide…”. Ecco allora i termini della metafora – illusione che si trasformano in metafora – finzione. Il linguaggio dello scrittore è una finzione che attraversa le dimensioni della fantasia e si colloca nel desiderio – passione della malinconia – trasposizione. In fondo la scrittura nel vocabolario è una trasposizione di fattori esistenziali e psicologici che cercano di offrire un tentativo di salvezza allo scrittore stesso. Uccide perché? Perché vorrebbe annientare il tempo oppure vorrebbe superarlo.
La letteratura contemporanea, in fondo, è legata a questa metafora come resta legata ad un altro personaggio del mito, ovvero ad Enea. Virgilio ha percorso il dramma della profezia nella meditazione della morte. Ulisse e Omero definiscono il ritorno nell’attraversamento del labirinto. Enea e Virgilio annunciano un destino che verrà. Il mare come essenza della nostalgia e come rappresentano della memoria.
La letteratura è una rivelazione di modelli simbolici. Se il mito resta fondamentale nel viaggio laico il sacro è la certezza emblematica nel viaggio cristiano (e religioso in termini più ampi). Certo, Ulisse ed Enea sono il pellegrinaggio nel mito. La Bibbia non chiede ragione ma contemplazione.
Si pensi a Qohélet. L’Ecclesiaste. “C’è il tempo di nascere e il tempo di morire/Il tempo di piantare e il tempo di estirpare/Il tempo delle lacrime e il tempo delle risa/Il tempo dei gemiti e il tempo dei balli”. Il tempo della poesia è il tempo della creazione. Quando i fantasmi cominciano a danzare le parole sono la voce dei simboli e si dichiarano. C’è sempre una guida nascosta, ci sono sempre dei segreti, ci sono sempre degli sguardi che si intrecciano nella ricerca e nell’attesa. Forse la stessa parola è un labirinto o un Tempio.
Ha scritto Sebastiano Vassalli in “Amore lontano”: “L’unico miracolo che si compie dai tempi di Omero e da prima ancora, e che non può essere dimenticato o messo in dubbio perché chiunque può farlo rivivere con la lettura, è quello delle parole che trattengono la vita. E’ la poesia”. La poesia come elemento fondante in un processo che pur avvertendo istanze culturali è nel gioco delle immagini di una fantasia che conosce la sofferenza della parola. Ed è proprio questa sofferenza che permette alle corde del cuore e dell’anima di vibrare.
Ancora Vassalli: “La poesia è vita che rimane impigliata in una trama di parole. Vita che vive al di fuori di un corpo, e quindi anche al di fuori del tempo. Vita che si paga con la vita…”. Dunque un processo che ci conduce al centro di un viaggio. Di quel viaggio che non può focalizzarsi nella storia ma nella frammentazione dell’universale sentire il senso e l’orizzonte dentro il quale il tempo si fa essere. Se la letteratura è un navigare nel labirinto il poeta e lo scrittore non possono che considerarsi dei viandanti che cercano di avvistare la luna o un bagliore di luce, l’alba o un chiarore mattutino per porgersi verso l’uscita del labirinto.
Vivere dentro il labirinto è cercarsi nell’inquietudine. Il mare e il deserto sono, appunto, una metafora. Il Ritorno o la Terra Promessa sono manifestazioni di una metafisica dell’io che è dimensione ontologica. In fondo “La poesia è ciò che mantiene nel tempo le nostre poche consapevolezze. E’ ciò che il Dio della parola ci rivela di sé, per frammenti e lampi di significato. L’immagine complessiva di Dio, cioè il suo volto, noi non lo vedremo mai; e non sapremo cosa racconta il poema dell’universo…”.
Bisogna affidarsi a questo misterioso incantesimo che raccoglie le particelle del nostro sentire e i frammenti del nostro essere. La letteratura è un essere, un sentire, un ascoltare le voci di dentro, una lontananza, una memoria, un amore… Come quella verso Dino Campana…