cultura Manlio Sgalambro
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La morte di Manlio Sgalambro. Un viaggio tra l’invito baudelairiano e il mondo pessimo “nicciano” che si incastona tra le griglie di Cioran.Variazioni per una metafisica.  Sarebbe il titolo dello sconforto per una morte che naviga tra il vuoto e la noia. Quando l’ho incontrato il suo sguardo mi ha raccontato la contemplazione, il silenzio e attraversare la noia la “pesantezza” nella bellezza della ricerca…

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Un filosofo nel tempo non della storia ma della metafisica della storia e dell’ontologia di un’anima in costante frammento di un’esistenza in cui l’io non diventa mai noi. Ma c’è l’attualismo che non è quello gentiliano. Neppure la crociana estetica ha appigli e frammentazioni lungo il pellegrinaggio degli attimi.

Quel mondo pessimo è una variazione nella metafisica del tempo ci ha insegnato Sgalambro. Anche nel suo ultimo libro il gioco degli aforismi è l’aforismo di una vita spesa nell’attesa. Il suo avvicinarsi ai linguaggi immersi nel quotidiano o i linguaggi della canzone che ricostruiscono la visione di una poetica tutta graffiata sulle pareti della coscienza.

Appunto nella sua teoria della canzone si avverte la metafisica della parola nel comunicante sogno di completare e contemplare la morte nel (e del) tempo. Ma il tempo muore? Non cito titoli. Ma resto legato a quella sua disperante esistenza di un linguaggio in cui il mondo pessimo è creazione ed essendo creazione è impalcatura del nostro cuore.

Ci invita al viaggio. Come la poesia maledetta ci ha indicato nel suo pensare il verso come l’esistente. E i suoi allievi hanno focalizzato questa attenzione. Credo che da Battiato a Califano abbia inciso un essere dell’uomo tra il contemplante sguardo di un Oriente tutto interiorizzato da Battiato alla fragilità dell’amore di Califano. Ma siamo nella teoria del linguaggio. Non esiste un linguaggio debole o robusto.

Esiste il linguaggio ed esiste la metafisica del linguaggio che si fa creazione. Sgalambro l’ho incontrato nel corso del mio peregrinare tra culture e sguardi nella filosofia e in quella letteratura che è poesia della filosofia. Come Maria Zambrano. Il Cioran del nichilismo nella tradizione del Tempio della Vita.

Ma il suo mondo ciceroniano si include in quella della morte del tempo che esulta nella brevità della vita di Seneca. Sgalambro supera Agostino per restare nel cerchio delle fantasie che giocano intorno alle farfalle del mistero che sono quelle gozzaniane ma sono anche le farfalle che lacerano il fiore appena nato.

Tutto finisce e tutto ha un seguito. Tutto si chiude nelle stanze ovattate proustiane, ma tutto ha una sua eredità. Ci sono gli orizzonti che non bisogna mai toccare perchè sono loro che camminano intorno alle nostre tristezze.

Finalmente uno scrittore che attraversa i linguaggi della modernità e rende la parola un sentiero della filosofia oltre il concetto melodrammatico della leggerezza. Sono i futili e i deboli che si chiudono nella spiegazione della leggerezza. Noi abbiamo bisogno di penetrare le pareti della fortezza e del pesante nel capire il grimaldello che apre le esistenze. O le chiude!

Certo, Cioran è il principio di uno scavo “nicciano”. Ma non c’è tristezza. C’è la consapevolezza che il sogno radicato tra le pareti dei labirinti debba diventare non la nebbia della tragedia ma la tragedia dell’onirico. Forse Ionesco. Ma l’assurdo è altro. La filosofia dell’attesa si decifra nella filosofia di questo mondo pessimo che non ci tocca vivere perchè ci tocca abitare.

Due concetti forti e diversi. Vivere e abitare. Ma Sgalambro anche con la sua dipartita non fa altro che invitarci al Viaggio. Una poesia della ripetizione nella vita che non sgombra il terreno al senso dell’ascolto e delle conoscenze.

Certamente ritornerò a parlare e scrivere di Sgalambro. Un filosofo oltre le accademie e le scienze cercate. La filosofia resta il pensiero dei folli. Come la poesia. Come i linguaggi della rarefazione che sono dentro il nostro non assentarci mai.

Anche quando non ci saremo più. E allora non sarà più un problema. Almeno per noi. Quando noi non ci saremo, Plotino sa, resteremo sempre a raccontare l’assenza sino a che le macerie diventeranno polvere nel vento e poi ci sarà il vento… perchè “…i miei pensieri sono i miei unici averi. Tutto ciò che posseggo

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