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A differenza di molti termini dialettali, “malombra” è una parola il cui significato è ben chiaro anche a chi non abbia una grande dimestichezza con la parlata vernacolare.

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Come è facile intuire, il termine è composto da due parole dal significato sostanzialmente simile al loro equivalente italiano; ma perché qualcosa o qualcuno viene definito “malombra” e da dove nasce questo termine?

Malombra, una parola dalle radici antiche

Sin dai tempi più antichi, si è creduto che l’anima di un defunto, disincarnata dal suo mondo fisico, assumesse la consistenza di un’ombra dall’apparenza a volte simile all’aspetto che aveva in vita, altre volte completamente trasfigurata, specialmente se il morto aveva condotto una esistenza malvagia e crudele.

Già nella mitologia greca prima e romana poi, le anime dei defunti erano accolte nell’Ade, luogo in cui nessun umano vivente poteva accedere pena non poter più tornare nel mondo dei vivi. Alla stessa maniera – come racconta ad esempio la leggenda di Orfeo ed Euridice – il contatto ed anche la sola vista dell’ombra di un defunto poteva avere effetti nefasti su entrambi i soggetti.

Appare quindi evidente che se già l‘ombra di un defunto che in vita aveva condotto una esistenza encomiabile poteva costituire un incontro non privo di conseguenze terribili, incappare nell’ectoplasma di una persona malvagia poteva rivelarsi fatale. Ecco quindi che “malombra” racchiude il significato di fantasma, spirito malvagio, spettro terrificante e – per analogia – persona trista e sgradevole alla vista.

La “malombra” nella storia

Una figura come quella della “malombra” , vista la sua origine che affonda nella notte dei secoli passati, ha influito notevolmente tanto nella cultura popolare che in quella accademica, e possiamo trovare varie immagini e personaggi che in modo più o meno diretto si rifanno a questo archetipo.

Che si parli della Carmilla del racconto di Sheridan Le Fanu o dello spettro del padre di Amleto, passando dalle “dark lady” dei film “hard boiled” americani senza dimenticare Morticia Addams e giungendo alle icone della musica rock come Siouxsie Sioux, Diamanda Galas o frontman di gruppi metal e gothic, gli esempi non mancano di certo.

Tra questi, un posto di rilievo lo merita senz’altro la protagonista del primo romanzo scritto da Antonio Fogazzaro, pubblicato a Milano da Brigola nel 1881 e intitolato appunto “Malombra”. Il romanzo è ambientato nel 1864 in un luogo non ben precisato, identificabile con il piccolo lago del Segrino nei pressi di Canzo, tra Como e Lecco, ed i protagonisti sono Corrado Silla e Marina Crusnelli di Malombra.

Quest’ultima è una donna piena di bellezza e di talento, brillante ed elegante, con animo ribelle, fiero e indomito, ma anche superba e sprezzante, irrequieta, annoiata, ricca di odio e, allo stesso tempo, volubile, capricciosa, piena di sarcasmo e “pensieri torbidi”.

In preda a crescenti inquietudini e tensione cerebrali, succube di una fragilità nervosa e di una disperata frustrazione, quasi invasata e in preda a progressivi stati di allucinazione, Marina di Malombra, vittima del proprio isolamento spirituale e dell’infelicità che lei stessa ha scelto di imporsi, perderà definitivamente i contatti con la realtà, portandosi così verso un drammatico e tragico epilogo finale.

In preda alla schizofrenia, credendosi la reincarnazione di una sua antenata, provoca allo zio che la ospita un malore fatale, presentandosi di notte nella sua stanza come Cecilia, una sua antenata venuta a reclamare la vendetta per le angherie subite dal padre del conte zio.

La sua furia distruttiva causa la morte oltre che dello zio anche dell’amato Corrado; questo sarà per lei solo una preparazione, una sorta di prova generale dell’ultimo e definitivo atto: quello contro sé stessa, irresistibilmente e inesorabilmente attratta dalle acque profonde e liberatorie del lago vicino al quale sorge il palazzo in cui ha vissuto quasi come una reclusa.

Una figura universale

Spettri e fantasmi sono patrimonio comune di tutte le culture, sia pure – ovviamente – in maniera diversa a seconda delle usanze e delle tradizioni delle varie società.

In Giappone – ad esempio – gli yūrei (幽霊) sono i fantasmi della tradizione popolare nipponica e – al pari delle loro controparti occidentali rappresentano anime dei defunti che sono incapaci di lasciare il mondo dei vivi e raggiungere in pace l’aldilà.

Tradizione vuole che tutti gli esseri umani abbiano un’anima o reikon (霊魂). Al momento della morte il reikon lascia il corpo e resta in attesa del funerale e dei riti successivi, prima di potersi riunire ai propri antenati nell’aldilà. Se le cerimonie sono svolte nel modo appropriato, lo spirito del defunto diventa un protettore della famiglia, a cui torna a far visita ogni anno ad agosto durante la festa Obon (お盆), nella quale i vivi porgono ai defunti i propri ringraziamenti.

Nel caso di morti improvvise e violente, oppure se i riti funebri non sono stati effettuati, o ancora se lo spirito è trattenuto al mondo dei vivi da forti emozioni, il reikon può trasformarsi in yūrei ed entrare in contatto con il mondo fisico. Non tutti gli spiriti che si trovano in queste condizioni però si trasformano in yūrei, perché agire sul mondo fisico dal mondo spirituale richiede una grande forza mentale o emotiva.

Lo yūrei può infestare un oggetto, un posto o una persona, e può essere scacciato solo dopo aver celebrato i riti funebri o risolto il conflitto emotivo che lo tiene legato al mondo dei vivi, anche se sono presenti delle forme di esorcismo.

In genere queste figure sono caratterizzate, nell’aspetto, da alcune peculiarità, a partire dall’abbigliamento; simile al folkloristico lenzuolo bianco dell’immaginario collettivo occidentale, gli yūrei sono vestiti di un ampio abito bianco, che ricorda il kimono funerario in uso durante il periodo Edo.

Un altro elemento di vestiario che li contraddistingue è un fazzoletto avvolto intorno alla testa che assume una forma triangolare (con la punta rivolta verso l’alto) sulla fronte. Inoltre gli yūrei hanno generalmente i capelli lunghi, neri e scompigliati perché si credeva che i capelli continuassero a crescere dopo la morte.

Gli yūrei sono spesso accompagnati da una coppia di fuochi fatui (hitodama) in sfumature tetre di blu, verde o viola; queste fiammelle sono considerate parte integrante dello spirito. Le hitodama sono entrate a far parte anche della simbologia di anime e manga, in cui oltre a seguire un fantasma compaiono intorno a persone dall’aria funebre o stati emotivi fortemente depressi.

La malombra, illusione o realtà?

Allora la malombra esiste davvero? Spettri e fantasmi sono frutto di menti impressionabili, di fantasia sfrenata o hanno una loro effettiva rilevanza?

Ovviamente è impossibile dirlo; c’è chi ritiene che siano frutto di illusioni ottiche causate da tense mosse dal vento, chi più prosaicamente le ha credute null’altro che amanti scoperti nell’altrui talamo nuziale dall’imprevisto ritorno di un marito sospettoso e costretti alla fuga precipitosa coperti da un solo lenzuolo raccattato in fretta e furia per coprire le pudenda, chi le ha utilizzate per spaventare chi volesse avventurarsi in luoghi o fabbricati abbandonati.

Sia come sia, in ogni paese o città c’è almeno una storia che racconta di una “malombra” che – a volte in date precise ed altre volte in maniera imprevedibile – appare alla fioca luce della luna, aggirandosi tra vecchi palazzi e vicoli deserti.

Verità? Fantasia? Chi lo sa… ma in fondo il bello delle storie che oggi come allora ci raccontiamo non è che siano vere, ma che ci affascinino.

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