In linea con i linguaggi internazionali si è in linea con una dialettica in cui ogni “tipologia” di musica è non soltanto patrimonio da una comunità ma soprattutto un bene culturale da vivere tra la sua identità e il luogo.
Soprattutto nella musica italiana ci sono raccordi e rimandi che si intrecciano tra il classico e il moderno, la sperimentazione strumentale e le avanguardie musicali,la concertista con l’individuale, la nota con la parole.
Insomma c’è un intreccio abbastanza consolidato. Voglio qui cesellare una riflessione a me molto cara per i vari studi e le pubblicazioni che riguardano il linguaggio musicale dei cantautori e le (alcune) eredità linguistiche tout court. La canzone d’autore in Italia finalmente rientra nei linguaggi dei beni culturali. Dalla poesia araba alla “Vita Nova”. Da Rumi a Dante sino a Poliziano e a Ronsard e alla tradizione popolare.
Il percorso dei linguaggi è fatto di parola, musica, immagine. Dante è contemporaneità nel Dante oltre la teologia. La nostra contemporaneità, dalla scuola ai beni culturali, deve fare i conti con il legame tra poesia e musica. Ovvero con la parola dei poeti – cantautori (o viceversa) e con la musicalità stessa del linguaggio. Poesia e musica. Un dialogo costante che ha caratterizzato soprattutto gli ultimi decenni e in particolare la stagione degli anni Sessanta – Ottanta.
Non bisogna dimenticare un dato che resta fondamentale proprio negli intrecci tra linguaggio poetico ed eredità letteraria all’interno di un approccio con la canzone d’autore.
Il patrimonio musicale di una comunità è espressione di civiltà all’interno di un contesto quale può essere la cultura popolare. La cultura popolare trova proprio nella musica e nella canzone cosiddetta d’autore un modello di raccordo con la storia, con la tradizione, con la letteratura. Ci sono stati cantautori che hanno manifestato, attraverso i loro testi, un percorso di identità e di cultura. L’ “Antica Tradizione” è il tardo medioevo che si fa Tradizione nel Dante che recupera la musicalità greco – latina.
Tre elementi fondamentali si enucleano nei processi musicali che hanno caratterizzato la canzone d’autore. Mi riferisco alla parola (come espressione ed esperienza lirica), alla musica (come dettato fondamentale esercitato dalle note), all’immagine (come metafora di una proiezione visiva data dall’accordo tra la parola e la musica stessa). Parola, musica e immagine costituiscono un vero e proprio modello progettuale che ha trovato nei cantautori italiani degli anni Sessanta/Settanta (e mi riferisco in particolare a Luigi Tenco, a Franco Califano e a Fabrizio De André) dei riferimenti fondamentali.
Da qui alla “Antica Tradizione” e alla “Compagnia degli Anelli”: gruppi fuori dal conformismo e che recuperano ballate celtiche e medioevale. La funzione qui di Branduardi si pone come “luogo” forte proprio in un intreccio tra l’elaborazione della lingua della musica e lo “spettacolo” della parola sino alla voce – musica di Mango.
Sono patrimonio culturale di una testimonianza che raccorda la parola alla musica in uno spaccato la cui cultura popolare diventa anche interpretazione di una memoria e di un tempo che hanno attraversato la nostra storia contemporanea. Penso alla musica etnica. Proprio nella musica etnica dalla “Compagnia di canto popolare” ai “Pizzicati” il processo musicale presenta un vocabolario consistente. Si pensi al canto sardo e a Maria Carta.
La canzone d’autore è senza alcun dubbio un patrimonio culturale da tutelare, valorizzare e promuovere in un’ottica anche educativa rivolta verso le nuove generazioni. Promuovere la conoscenza di questa cultura è rimarcare quei processi identitari che hanno caratterizzato un passaggio generazionale.
I testi di questi autori sono anche il racconto di quell’Italia che si trovava a vivere gli anni Cinquanta e gli anni successivi in modo disorientante e proprio attraverso un atto creativo (qual è la canzone dei cantautori) si è rappresentato un modo di essere e un modo di esistenza attraverso dei codici etici ed estetici.
Nella canzone d’autore ci sono almeno tre percorsi tematici che andrebbero esplorati.
A) I rimandi letterari.
B) I luoghi presenti nei testi (una geografia che diventa anche esigenza esistenziale di raccontare i luoghi).
C) Il rapporto con il cinema (ovvero le colonne sonore che hanno “siglato” molti sceneggiati e molti film) che è un fatto nuovo perché si stabilisce un dialogo non solo sul piano delle immagini ma anche in termini musicali.
La canzone come testimonianza e quindi come prodotto culturale grazie anche ad una intelaiatura con le altre arti. Credo che sia importante poter stabilire un rapporto con la letteratura e con il cinema oltre alla sua autonoma forza che emana un vissuto lirico e musicale. Il labirinto della parola e l’isola del suono tra Tenco, De André e Califano: è questo il mio viaggi antico e nuovo.
I luoghi nella canzone d’autore potrebbero costituire una chiave di lettura delle città, dei paesaggi, del mare, delle campagne. Quante città sono state immortalate nella canzone. Quanta Italia, con le sue immagini e la sua storia, c’è nel rapporto tra parola e musica. Sarebbe un percorso di estremo interesse perché dentro le parole coronate dalla musica (e viceversa) vive un patrimonio di cultura. Un patrimonio che va rivalutato.
Così pure il dialogo, che non è possibile interrompere, tra la poesia e la musica. I cosiddetti rimandi sono delle traiettorie che non possono essere trascurate. Le colonne sonore. Penso ad un solo esempio: ad una serie del Commissario Maigret (incarnato in modo particolare da Gino Cervi) che aveva come sigla una delle canzoni più belle di Luigi Tenco.
Ebbene, credo che mettere insieme queste realtà culturali in un unico percorso e offrire una mappa articolata sul piano tematico servirebbe a rileggere la cultura riferita proprio agli anni Sessanta/Settanta. La canzone d’autore è una ricchezza importante e da tutelare e ha capacità di aggregare altri modelli culturali. Il cinema, la letteratura, la musica. I testi della “Antica Tradizione” hanno modelli prettamente medioevale.
Sembrano tre tappe ma hanno un unico obiettivo affidabile, chiaramente, al concetto di identità culturale: quello della conoscenza, della valorizzazione di queste forme dell’espressività, della promozione per la diffusione, anche nelle scuole, di una proposta che, sempre più, si incardina in quell’asse tra letteratura, storia e realtà.
Soprattutto se si fa riferimento e si parte da tre autori, citati prima, già consolidati, Luigi Tenco (1938- 1967), Franco Califano (1938 – 2013), Fabrizio De André (1940 – 1999), nella storia della canzone (e quindi dei linguaggi musicali) i temi e le suggestioni possono trovare una loro maggiore solidità perché ci si trova di fronte a materiali non in itinere ma storicamente leggibili. Ma il discorso delle presenze è, certamente, più ampio.
La valenza creativa degli artisti non può non confrontarsi con i modelli che propone una società. La civiltà dei linguaggi è dentro quell’esperienza creativa che realizza costantemente dei processi culturali. Certo, la linea è molto lunga, ma, in questa contestualità, ci sono dei riferimenti di fondo che a mio avviso restano tali sino a Franco Battiato che conosce molto bene gli incastri della musica e della filosofia della parola.
Ecco perché è necessario valorizzare e promuovere la conoscenza di questi elementi culturali che sono e restano parte integrante della manifestazione identitaria di un popolo. I cantautori sono i poeti della nostra contemporaneità. Ed è proprio vero che, in questo inciso, matrici letterarie e matrici poetico – musicali sono un costante incontro. Un incontro che raccordano il concetto antico di canzone con i nuovi modelli linguistici. Dante tra i cantautori dagli anni Sessanta al futurismo degli Skoll. Un gruppo che recupera i luoghi dell’immaginario futurista anche attraverso le finzioni di Dante. Insomma nella musica si trovano i capisaldi dei processi linguistici che non restano soltanto musica ma dettano le coordinate per un dire e un essere tra musica e cultura della vita, tra musica ed esistenza, tra musica e civiltà.
In fondo la musica nella mia contestualizzazione diventa l’espressione identitaria, ma anche il recupero di tradizioni che trovano nella “plasticità” del suono il luogo essenziale per comprendere la storia dei popoli tra Occidente ed Oriente. Certo, io ho cercato di chiosare uno spaccato in cui la stessa antropologia dei suoni è forma etnico-simbolica.
L’Italia contemporanea si vive non solo in ciò che il “classico”, il medioevale e il canto provenzale (importantissimo), il melodramma e il neoclassicismo romantico o meno hanno dettato ai “generi” epocali successivi, ma anche in quei “saperi” musicali e linguistici espressi dagli anni Cinquanta (1950) sino ad oggi. Ecco perché bisogna sempre insistere sulla musica come patrimonio comunitario e come luogo dentro i luoghi del bene culturale.