Scrisse Vincenzo Monti: “Oh! squarciatemi il velo, e l’inumana /storia m’aprite di que’ vili astuti;/ date agli occhi di pianto una fontana! /La voce alzate, o secoli caduti! /Gridi l’Africa all’Asia, e l’innocente/ ombra d’Ipazia il grido orrendo aiuti./ Gridi irata l’Aurora all’Occidente,/ narri le stragi dall’altare uscite;/ e l’Occaso risponda all’Oriente”. Un urlo che divenne tragedia!
I processi inquisitori hanno sempre avuto come punto di riferimento il legame tra verità, illusione e teologia. In un tale contesto di idee tutto ciò che non veniva considerato pertinente a una teologia vera e propria, dalle regole precostituite, o a qualche sospetto di messa in discussione della teologia, veniva considerato fenomeno eretico. Già il fenomeno eretico apriva un processo inquisitorio.
Di fatto l’eresia è ciò che si “contrappone”, che va oltre il pensiero delle norme. Non solo un fatto morale, etico, ma anche un fatto giuridico all’interno di un processo avente come punto di riferimento la teologia.
In parecchie occasioni il cinema è stato cruente nel rappresentare gli aspetti e gli elementi che hanno caratterizzato i processi inquisitori, i quali hanno lasciato un lastrico fi inquiete tragedie.
Uno dei primi atti inquisitori ha colpito una grande filosofa e matematica quale è stata Ipazia di Alessandria d’Egitto, nata tra il 350 e il 370 e morta nel 415.
Una astronoma di grande interesse che ha posto all’attenzione aspetti di filosofia antica che hanno messo in discussione l’intero sistema filosofico. Rappresentante della filosofia neoplatonica, fu uccisa per mano dei cristiani su volontà dei parabolati, che ai tempi costituivano un nervo importante per mantenere intatto il pensiero della teologia cristiana.
Il film “Agora” analizza la visione di questo personaggio carismatico. Ipazia viene definita una donna martire, uccisa a causa della sua libertà di pensiero. Accanto alla filosofia e al pensiero matematico, aveva posto anche il problema dell’astronomia, in un’epoca in cui l’astronomia si legava all’alchimia. Il suo studio su Tolomeo è una dimostrazione emblematica di questo aspetto.
Pallada nell’ “Antologia Palatina” le dedica i seguenti versi: “Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole, vedendo la casa astrale della vergine, infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura”. Mentre Damascio scrisse: “Oltre che nell’arte dell’insegnamento, aveva raggiunto un tale livello di consapevolezza morale, ed era così equilibrata e austera, che si manteneva casta, e nello stesso tempo era così straordinariamente seducente e bella d’aspetto (sphodra kale te ousa kai eueides) che uno dei suoi allievi si era innamorato di lei. Il giovane non era stato capace di tenersi dentro il suo amore, ma aveva cominciato a manifestare anche a lei i segni della passione. I meno informati sostengono che lei lo liberò da quella malattia con la musica. Ma la verità originaria è che la terapia musicale fallì, e allora lei portò a lezione uno di quei panni che le donne usano per il sangue mestruale e glielo parò davanti, come simbolo dell’impurità della procreazione: «In definitiva è di questo, ragazzino, che ti sei innamorato» gli disse «di niente di sublime»”.
Una dichiarazione dell’antico poeta e grammatico greco che dimostra come veniva considerata Ipazia in un contesto in cui l’ellenismo è proposta ermetica e soprattutto orfica. “Io sono Ipazia/resterò nel mio canto/filosofa e creatura di luna/divinamente cercherò le parole/per raccontare al silenzio/l’incanto del mistero” (Antony Garcia).
Il film “Agora” pone all’attenzione il passaggio di una Chiesa concepita come centro di potere nel mondo greco all’interno di un percorso ortodosso e come la Chiesa stessa avesse recepito le istanze, non solo delle donne in generale, ma soprattutto delle donne dal pensiero forte.
È questo uno degli aspetti significativi di tutta la realtà che ha rappresentano la figura di Ipazia. Su di lei sono stati scritti alcuni saggi, oltre al film “Agora” di Alejandro Amenábar del 2009 liberamente ispirato a questa carismatica e misteriosa figura, in cui viene posto come punto nevralgico il suo rapporto con il fanatismo del vescovo Cirillo, considerato il mandante dell’omicidio, divenuto in seguito san Cirillo.
Il film contempla bene l’intransigenza del vescovo Cirillo, il suo fanatismo, il suo esercitare il potere e lo scontro non solo con il mondo pagano, ma anche con il mondo ebraico.
Ipazia non era ebrea, bensì pagana. Considerava la filosofia come modello neoplatonico. Quella filosofia greca in cui gli dei dominavano il cammino. Il suo confrontarsi con la grecità e con il mondo egiziano la poneva al di fuori di alcuni schemi. Proprio per la sua lettura delle stelle, della luna, del cielo viene punita anche se il suo paganesimo è figlio di tutto un contesto greco al quale era appartenuto tutta la sua famiglia. Ecco perché veniva giudicata pagana.
Cirillo (e il film lo testimonia) non pone solo come questione nevralgica del potere della Chiesa di quel tempo la lotta contro il paganesimo, ma anche quella contro gli ebrei. Di qui la sua “promozione” alla santità.
Si è tornati a studiare Ipazia dall’illuminismo in poi, non perché sia da annoverare tra i post illuministi o i neo illuministi, ma per il fatto che il suo essere uno “spirito libero” poneva una questione di teologia.
Questo è il dato concreto sul quale si sposta tutto il discorso inquisitorio che prende le mosse dalla sua formazione basata sulla filosofia antica di Aristotele e Plotino. Un viaggio in cui la sua presenza era molto temuta.
Si narra, infatti, che il vescovo Cirillo abbia detto “Sia lapidata a morte”, a sottolineare la volontà di annientare la persona, ma soprattutto il suo pensiero. Tutto ciò si avverte nel film, ma siamo in un tempo in cui ancora dominava il cosiddetto “paganesimo” degli dei. La cultura greca costituiva il punto di riferimento di un intero percorso destinato a diventare dominante all’interno del Mediterraneo.
Ritengo che il film sia un buon film perché non si sofferma solo ad analizzare l’iconografia di Ipazia, ma va oltre, ponendo come attrazione tutto quel contesto fatto di platonismo e di ellenismo.
Il grande filosofo Charles Péguy ebbe a scrivere:
“Ciò che noi amiamo e ciò che onoriamo è questo miracolo di fedeltà che un’anima sia stata così perfettamente in accordo con l’anima platonica e con la sua discendente l’anima plotiniana e in generale con l’anima ellenica, con l’anima della sua razza, con l’anima del suo maestro, con l’anima di suo padre, e un accordo così profondo, così intimo, che raggiungeva così profondamente le fonti stesse e le radici, che in un annientamento totale, quando tutto il mondo andava discordandosi, per tutta la vita temporale del mondo, e forse dell’eternità, essa sola sia rimasta in accordo, fino alla morte”.
É quindi la grecità, tutto il mito mediterraneo che ruota intorno alla grecità, ad Alessandria d’Egitto, ai simboli, agli archetipi che rappresentava Ipazia, a non essere accolti dalla Chiesa. Per questo motivo Ipazia era molto temuta. Una donna che possedeva molto fascino, un fascino connotato dal mistero dell’alchimia e della magia. Una donna che si era consacrata alla ricerca e che aveva scavato profondamente nelle sue radici greche, catturate dal mondo occidentale latino.
Il film esamina questa visione grazie anche all’attrice Rachel Weisz che ha saputo ben calarsi nei panni di un personaggio complicato come Ipazia. Una figura non solo rappresentativa, ma che ha testimoniato un’epoca, quella greca, ed è andata oltre ponendo come punto centrale la disubbidienza, il non accettare una visione precostituita come quella teologica. Il mio prossimo lavoro sarà completamente dedicato a Ipazia come musa ribelle.
Una delle prime martiri dell’inquisizione è, appunto, proprio Ipazia. Non una strega ma una filosofa matematica. Denis Diderot ebbe a cesellare: “Tutte le conoscenze accessibili allo spirito umano, riunite in questa donna dall’eloquenza incantatrice, ne fecero un fenomeno sorprendente, e non dico tanto per il popolo, che si meraviglia di tutto, quanto per i filosofi stessi, che è difficile stupire”.