“Le morti sul lavoro in un impianto così complesso non possono essere più imputate alla fatalità ma ad un sistema minato dalla precarietà che andrebbe radicalmente riformato per creare condizioni di sicurezza per la vita e la salute di questi ultimi, gli operai, che stanno pagando da troppo tempo il prezzo più alto” ha riferito Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo Metropolita di Taranto, in merito al recente funesto incidente accaduto all’Ilva.
Gli operai,…. quegli operai che a Taranto o perdono la vita o perdono il lavoro. Per il decesso sul lavoro del giovane operaio aspettiamo che la Magistratura faccia il suo corso e che si esprimi in merito.
Fra qualche giorno magari non se ne parlerà più e si attenderà il prossimo morto o il prossimo disoccupato dell’Ilva o del suo indotto, per organizzare scioperi, tavole rotonde, trasmissioni ed è sempre la stessa storia senza che cambi nulla, mentre si deve esigere una risposta dalla politica, una soluzione dallo stato.
Precarietà vivono gli operai tutti dell’Ilva e precarietà vivono tutti quelli dell’indotto, così come le rispettive aziende.
Queste ultime hanno avviato un confronto al fine di cercare soluzioni possibili per ristabilire una cadenza regolare ai pagamenti delle commesse correnti.
A tal proposito, Rinaldo Melucci sindaco di Taranto aveva richiesto un incontro con i commissari Ilva.
E sono forti le preoccupazioni in merito a quanto si sta determinando per queste aziende dell’indotto Ilva, più della stessa Ilva, perché la loro situazione, già compromessa dai crediti pregressi vantati verso l’amministrazione straordinaria, si va ulteriormente complicando a causa dei forti ritardi nei pagamenti correnti. Ricordiamo che il giovane deceduto nell’infortunio qualche giorno fa non era dipendente dell’Ilva ma di una azienda dell’indotto, anche se davanti ad un decesso questo non ha importanza.
“Un’impresa che è uno dei nostri fiori all’occhiello in termini di sicurezza e credibilità” ha riferito il presidente di Confindustria Taranto Vincenzo Cesareo e c’è da credergli, ma come ha riferito Mons. Santoro, tutto il sistema è minato dalla precarietà per cui è difficile pensare alla fatalità, anche se bisogna tener conto anche di questa.
Le aziende dell’indotto hanno unanimemente più volte manifestato i disagi derivanti dalla situazione attuale.
Le fatture vengono saldate solo dopo mesi oltre la scadenza andando a gravare su una condizione già fortemente compromessa dalle oramai note vicende legate ai crediti pregressi. Si tratta di 150 milioni complessivi, rientrati nella massa del passivo e di fatto non più nella disponibilità delle aziende.
“Se non ci fosse stata, a monte, questa condizione già molto penalizzante – ha dichiarato Antonio Lenoci, presidente della sezione metalmeccanica di Confindustria Taranto – oggi queste aziende sarebbero sicuramente in grado di gestire i ritardi nei pagamenti delle fatture. Così purtroppo non è e i bilanci chiusi al 31.12.17 evidenziano uno stato di forte sofferenza per tutte le realtà imprenditoriali coinvolte nella vicenda e un conseguente peggioramento del rating. Chi fa impresa sa cosa significa, cioè perdere credibilità e non essere più in grado di competere sui mercati”.
La situazione attuale, non consente, per evidenti motivi, di agganciare quella ripresa che è stata prospettata dalle più recenti analisi di Confindustria e Cerved, che hanno evidenziato una sensibile risalita dalla crisi delle aziende del Mezzogiorno.
Queste aziende non meritano di essere escluse da tale rilancio, ritenute strategiche per tutto il sistema, le stesse che hanno consentito la continuità produttiva dell’Ilva in tutte le sue fasi, con particolare riferimento proprio al periodo di passaggio all’amministrazione straordinaria.
Un periodo in cui, va ricordato, le aziende dell’indotto hanno svolto i lavori commissionati interfacciandosi con commissari di emanazione governativa che, subentrando alla parte privata, assegnavano alle imprese ulteriori garanzie sulla solidità dei pagamenti nel rapporto di fornitura.
Di fatto, come oramai purtroppo noto, tali garanzie sono man mano venute meno producendo una massa creditoria di proporzioni imponenti.
Per questo motivo il 17 maggio il presidente Vincenzo Cesareo ha scritto in pubblico (Facebook) la seguente dichiarazione, che riteniamo di dover riportare integralmente: “Per Taranto è stata una brutta giornata, vissuta con un’angoscia credo comune a tutti. Esprimere il mio profondo cordoglio alla famiglia del giovane Fuggiano è il minimo che io possa fare. Cose del genere non dovrebbero mai accadere. Sono vicino alla Ferplast, l’azienda in cui si è verificato l’incidente, un’impresa che è uno dei nostri fiori all’occhiello in termini di sicurezza e credibilità. Lo voglio affermare con forza per contrastare la convinzione errata rispetto al fatto che il nostro indotto abbia abbassato la guardia sul piano della tutela dei lavoratori. Vero è, però, che la situazione di estrema incertezza e precarietà in cui versa Ilva e le imprese che vi lavorano, condizioni fortemente anche la quotidianità. A pagarne il prezzo sono i lavoratori e le imprese. Se facciamo un’analisi dei crediti che queste aziende vantano nei confronti dell’Ilva e di quanto danno in termini di lavoro vediamo come la bilancia penda evidentemente solo da una parte. Queste aziende hanno continuato a finanziare lo stabilimento con il loro lavoro e i loro sacrifici. Ora diciamo basta. Non è più possibile far continuare a lavorare queste persone in condizioni che non sono più di sicurezza. È lo Stato che ha prodotto questa situazione ed è lo Stato che se ne deve far carico. L’ho detto stasera nel corso della riunione tenutasi in Prefettura alla presenza del presidente Emiliano, del sindaco Melucci e dei sindacati, e la denuncia è stata unanime”.