Il Papavero e la Papagna (Papaver somniferum)

Che relazione c'è tra la sonnolenza che ci colpisce dopo un lauto pranzo e la storia del San Giovanni che battezzò Gesù? La tradizione popolare unisce spesso utile e dilettevole, mettendo insieme la farmacopea contadina e le superstizioni legate al periodo di fine giugno.

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Complici la presenza di rimedi più efficaci e maggiormente sicuri (rispetto alla papagna), una minore disponibilità degli ingredienti necessari ed una più scarsa conoscenza del metodo di preparazione, oggi è quasi impossibile che una mamma esasperata somministri al figliolo irrequieto un calmante che contenga come principio attivo una sostanza che per la legge è uno stupefacente, alla base della preparazione di droghe come oppio e morfina.

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Eppure, per quanto oggi a molti giovani genitori possa sembrare strano, un tempo le loro nonne e bisnonne – in maniera ovviamente inconsapevole – di fatto usavano dei metodi che oggi farebbero inorridire educatori e pedagogisti, metodi tanto diffusi e usuali da essere entrati nel linguaggio comune ed utilizzati in modi di dire impiegati anche in contesti abbastanza distanti dalla loro origine.

Cosa è la papagna?

Cominciamo a raccontare cosa si intende comunemente conpapagna, un termine diffuso in tutta l’Italia meridionale – sia pure con alcune variazioni – con cui si indica tanto la causa quanto l’effetto di uno stato di sonnolenza e stordimento psicofisico.

Come sanno bene i più anziani, il termine deriva dalla storpiatura dialettale del nome del fiore di papavero, ed in particolare della specie del “Papaver somniferum”, con cui veniva preparata una tisana o un infuso che veniva utilizzato per calmare i bambini più irrequieti, ma anche per alleviare i dolori causati dal mal di denti, per calmare la tosse o per mitigare gli effetti di una diarrea.

Un tempo gli asili nido non esistevano, la maggior parte delle madri – specialmente in comunità rurali o agricole – dovevano dedicare le loro energie ad accudire una prole numerosa, senza trascurare gli impegni domestici ed il lavoro nei campi. Ecco quindi che un bambino troppo vivace, o con un sonno notturno breve e discontinuo, poteva diventare per gli adulti un problema da risolvere con metodiche oggi sono – è bene ribadirlo – considerate inaccettabili e pericolose.

Come accade per altre tradizioni, possiamo dire che pur condividendo i principi di base, ciascuna famiglia aveva una propria ricetta per preparare la “papagna”, via via affinata nel tempo e spesso trasmessa da madre a figlia o da suocera a nuora, in una sorta di “passaggio di consegne” generazionale.

C’era chi usava direttamente il lattice ricavato del pericarpo del fiore, altri preparavano un infuso o una tisana utilizzando i semi o altre parti della pianta; in tutti i casi l‘effetto tranquillante era garantito grazie alla presenza di vari alcaloidi, tra cui Morfina, Codeina, Papaverina, Noscapina e Tebaina.

Anche la modalità di somministrazione poteva variare: mentre ad adulti e bambini poteva essere somministrata facendogli bere l’infuso o la tisana preparata in precedenza, agli infanti troppo piccoli si passava lu pupiddo” o “pupieddo”, una specie di capezzolo artificiale realizzato racchiudendo nell’angolo di un tovagliolo di cotone una grossa mollica di pane insieme a foglie di alloro tritate e semi di papavero, che poi veniva fatta succhiare al bambino dopo averla intinta nel miele o nello zucchero per nascondere il sapore amaro della mistura e rendere più gradevole l’assaggio, affiancando così all’effetto psicotropo della sostanza quello calmante dato dall’atto della suzione.

Sonnolenza e stordimento

Come dicevamo, un tempo la “papagna era di uso comune, tanto da entrare in modi di dire che sono usati ancora oggi; capita così di definire con questo termine tanto la pesante sonnolenza che ci coglie dopo un lauto pranzo che lo stato di stordimento al risveglio da una pennichella pomeridiana un po’ troppo protratta nel tempo.

Allo stesso modo, papagna è anche sinonimo di una percossa particolarmente violenta, inferta con mano aperta o chiusa a pugno, che provochi al malcapitato che la riceva uno stato di disorientamento o – addirittura – la perdita di coscienza.

Il sonno di San Giovanni, un pericoloso effetto collaterale della papagna

Come è facile immaginare, nonostante la papagna fosse un metodo diffuso e condiviso, la precisione scientifica non era certo una caratteristica peculiare di queste preparazioni, ed il rischio di eccedere nelle dosi era sempre presente.

Poteva così capitare che l‘effetto fosse eccessivo e che – soprattutto bambini e neonati – cadessero in uno stato di eccessivo torpore, da alcuni definito “sonno di San Giovanni”.

L’origine di questo nome è legato ad una leggenda che racconta come San Giovanni Battista cadde in un sonno profondo durato tre giorni e tre notti, tanto che nemmeno Gesù riuscì a svegliarlo. Quando Giovanni si ridestò, il Cristo commentò questo lungo torpore dicendogli: “Ieri è stato il tuo onomastico e non te ne sei accorto!”

Ecco la fusione tra fantasia popolare e tradizioni religiose; a fine giugno – specialmente nel Meridione – l’intenso lavoro nei campi e il clima mite erano ottime premesse alla base di un sonno profondo e ristoratore, ed ecco quindi che – forse come giustificazione di chi avesse indugiato un po’ di più tra cuscini e lenzuola, forse per scherno un po’ invidioso di chi quell’esperienza non poteva permettersi – di chiunque giacesse in un sonno refrattario ad ogni sveglia, si diceva dormisse come il battezzatore del Cristo.

Se uniamo a questo anche la credenza che a fine giugno le tradizioni popolari temevano lo svolgersi di sabba stregoneschi e la presenza di entità maligne, appare chiaro perché molte delle ricorrenze che hanno luogo in questo periodo hanno in comune la caratteristica di lunghe veglie notturne (magari per raccogliere fiori o frutti per preparare poi la “Acqua di San Giovanni”) oppure di celebrazioni e rituali particolarmente rumorosi, con canti e feste accompagnati da trombe (come nel caso della “Feste delle Trombe” grottagliese), campanacci e tamburelli e petardi, per scacciare i demoni e per aiutare Gesù a svegliare il Battista prima del suo onomastico.

Ieri e oggi

Se un tempo la “papagna era di uso comune, oggi – come detto – è rimasta solo nei modi di dire e, forse, solamente nell’uso personale di qualche anziano contadino.

Certo fino a pochi decenni fa era talmente usata che in molti orti e terreni coltivati una parte era riservata proprio alla coltivazione della specie di papavero più ricca del principio attivo.

L’uso del papavero è attestato da usi e tradizioni risalenti all’epoca greca e romana, particolarmente evidenti nel nostro territorio in cui queste due culture trovarono un singolare punto di incontro con la altrettanto importante società messapica. Molto importante al proposito è le figura di Demetra, che nella zona del tarantino aveva ad Agliano, vicino Sava, un importante santuario, mentre i Messapi la onoravano – tra gli altri luoghi – nel tempio ubicato vicino Oria, e più precisamente sul monte Papalucio. A questo proposito il toponimo del monte potrebbe solo casualmente ricordare omofonicamente quello del papavero e della “papagna, ma spesso certe “coincidenze” – come nel caso della “mater matuta” con la Madonna di Mutata grottagliese – possono offrire intriganti spunti di riflessione.

Oggi è interessante notare che l’uso intensivo di questa pianta deriva dalla sua importazione in Austria in seguito all’occupazione militare dell’Impero ottomano; con l’estensione successiva dell’Impero Austroungarico nel nord Italia, il papavero fu introdotto per usi decorativi e alimentari, soprattutto con l’impiego dei semi tostati su pane e torte dolci, derivato dal fatto che i semi di Papaver somniferum sono difatti molto più grandi di quelli del papavero comune.

In Italia si trova allo stato spontaneo in tutte le zone costiere, collinari e di bassa montagna (fino a 1200 m), spesso infestando le zone dove la terra viene mossa per lavori, anche in virtù del fatto che i semi possono aspettare in quiescenza per diversi decenni le condizioni ideali alla germinazione, tanto che è considerato una pianta di natura infestante per la sua ottima capacità di diffondersi molto facilmente e per la sua resistenza negli ambienti più ostili.

La varietà spontanea in Italia ha fiori per lo più viola con una macchia più scura alla base, ma può essere anche rosso o bianco. Le capsule, a maturità, si aprono sotto la corona per lasciare cadere i semi al vento, contrariamente ad alcune varietà commerciali, ornamentali o per la produzione di semi, che rimangono chiuse trattenendo i semi anche quando la capsula è secca, facendola somigliare a un sonaglio che produce un caratteristico rumore quando agitato.

La coltivazione del Papaver somniferum – se effettuata in maniera estensiva e per uso commerciale – è soggetta ad autorizzazione, anche se sono comunque normalmente in commercio a scopo di giardinaggio cultivar selezionati appositamente per la grandezza e i colori del fiore.

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