Ritengo che sia stata una scelta ottima quella di nominare Alberto Bonisoli ministro dei Beni Culturali.
Un tecnico che ha esperienze ben precise all’interno dei processi valorizzanti. Approvo pienamente l’idea di inserire una simile personalità all’interno di un Ministero che ha puntato molto alla valorizzazione che diventa fruizione, in perfetta sintonia con una visione ben articolata del bene culturale e ben visibile all’interno della managerialità che punta alla promozione dei beni culturali. L’esperienza di Alberto Bonisoli porta dietro di sé una lunga professionalità, che viene caratterizzata per situazioni quali la promozione della moda come bellezza, del turismo come vero prodotto italiano che assume valenza culturale.
Alla luce del dibattito che si è innescato attorno ai beni culturali, credo che questa personalità abbia un senso preciso in una direzione in cui il processo delle culture possa diventare realmente un processo delle valorizzazioni. Dobbiamo smetterla di puntare a un visione “demonizzante” del bene culturale. Ormai il bene culturale è patrimonio reale di comunità che hanno ben definito, nel loro contesto, la direzione del patrimonio comunitario. Internazionalizzare i beni culturali italiani, in questo preciso momento, significa anche dare un senso alla dimensione della cultura intesa come economia.
Abbiamo sempre parlato di una cultura che deve dialogare con i beni culturali. La civiltà dell’identità nazionale deve comunicare con il proprio patrimonio affinché si possa realizzare un percorso valorizzante. A mio avviso sono mancate, fino ad ora, quelle esperienze che abbiano potuto dare un senso concreto alla “faccenda” dei beni culturali. Oggi ci troviamo di fronte a un triangolarità ben precisa che è quella della tutela, della valorizzazione, della fruizione. È possibile fortificare la fruibilità e la valorizzazione del bene culturale attraverso la managerialità della cultura. Alberto Bonisoli, proprio per l’esperienza che possiede, e per come ha agito non solo a Milano ma anche attraverso la sua struttura modulare della cultura come risorsa, ha dato un grande respiro a quella cultura completamente “aperta”.
Non si può più discutere del bene culturale senza porre al centro l’antropologia e la demoetnoantropologia dei territori. Sono fiducioso, conoscendolo nella sua operosità, del fatto che questo ministro, per l’esperienza che si porta dietro, per la capacità di lungimiranza che ha mostrato nei lavori finora attuati, e per come lo conosco, andrà avanti portando come punto di riferimento quel processo in cui la cultura diventa mercato e il mercato economia.
Soltanto in questi termini la cultura si trasforma in ricchezza, non più solo nicchia dell’economia nazionale, ma una vera e propria parcellizzazione all’interno dell’economia europea. Il bene culturale è economia come altre fattispecie che sono innervate nel tessuto territoriale.
La presenza di un simile ministro potrà fornire quel respiro in più a tutto un processo in difesa dell’identità che diventa conoscenza e, quindi, ricchezza. Ecco, allora, l’importanza di aver lasciato il turismo accanto alla cultura. Il bene culturale non è soltanto bene da tutelare, ma anche da far fruire attraverso le capacità e le professionalità.
È evidente che il ministro si deve circondare, anche a livello territoriale, di professionalità che hanno agito nel mondo della cultura non avendo quella concezione “chiusa” del bene culturale. Dovrà guardarsi intorno e vedere come la cultura è stata amministrata e come deve essere amministrata, perché la cultura va gestita.
Non è sufficiente affermare che l’Italia possiede un grande patrimonio storico. Questo immenso patrimonio storico necessita di essere guidato da personalità di spicco e di grande respiro sul piano territoriale che abbiano provate esperienze manageriali.
La cultura è economia. Da questo presupposto occorre partire per dare un senso vero ad una geografia della cultura che sappia guardare con attenzione e attrazione ad un patrimonio che porti sviluppo oltre alla ricerca e alla tutela. La cultura è conoscenza della memoria. La memoria diventa futuro solo attraverso il legame stretto tra bene della cultura ed economia del bene.