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C’era un tempo in cui la cultura a Taranto e nel suo territorio era al centro degli interessi di sviluppo e si “osava” guardare con grande attenzione e intelligenza prospettica ad una progettualità culturale in cui il “Bene culturale” rappresentava l’asse intorno al quale creare correlazioni tra la città e l’Europa, tra gli Eventi nazionali e i riferimenti internazionali.
Tutto ciò era inserito in un Progetto Cultura che passava attraverso la funzione alta di una politica delle idee e del confronto dialettico tra economie sommerse e culture diffuse.

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La prima fase aveva visto protagonista il Comune con la Giunta Guadagnolo e assessore De Feis. La seconda fase, successiva negli anni, ovvero 1995 – 1999, si riferisce alla Provincia con la Giunta Cantore e vice presidente e assessore alla cultura il sottoscritto.
Due momenti in un mosaico di stagioni in cui, a prescindere dalla fase del Premio di Taranto ancora precedente, Taranto si era internazionalizzata.
Oggi tutto crolla. Taranto non ha più nulla. La soprintenda ai beni archeologici viene “spacchettata” (che brutto termine?). L’Università nata sotto l’auspicio di Amalfitano e Giunta Cantore (la storia si fa con i documenti e non con le conferenze stampa: gli accordi universitari sono stati sottoscritti dalla Giunta Cantone, vedere le delibere per conferma) barcolla e diventa debole sul piano istituzionale.
I beni culturali non hanno avuto, dopo quelle date, uno slancio internazionale. Dopo le Mostre De Chirico, Futurismo, Magna Grecia Festival (sul raccordo cultura – beni culturali) non si è parlato più di Eventi.

Bisogna puntare agli eventi. Il Polo museale nato sotto la Riforma Franceschini ha obiettivi importanti e decisivi sia in termini culturali che sul piano delle relazioni istituzionali e nei raccordi tra cultura ed economia. Occorre essere consapevole e preparati per una nuova cultura del’immagine, dei saperi articolati e non monolitici, degli intrecci tra sviluppo delle realtà culturali.
Ma la città non c’è. La politica culturale del territorio è confinante a piccoli momenti passeggeri che non lasciano il segno. Taranto muore culturalmente di noia e di una progettualità lungimirante. Soltanto un Polo museale aggregante potrà risvegliare una città dormiente. Ed è necessario, anche in riferimento al linguaggio di Franceschini, non creare rotture tra i campi del sapere in una società costantemente in transizione.

I saperi articolati sono la ricchezza di un nuovo modello di un terziario avanzato. Ricostruire un assetto culturale significa ristabilire un dialogo con l’identità di una città, ma anche con uno “sdoganamento”, sul quale ho lavorato da decenni (e sul quale ho pubblicato diversi testi proprio sul legame tra risorse e vocazioni delle culture sino alla nuova Riforma e precedentemente al Codice dei Beni Culturali. Cfr sito), del Fattore soltanto tutela e salvaguardia. Resta un fatto prioritario, ma i riflettori devono essere puntati sulla valorizzazione, conoscenza, fruizione.
Ben venga un Polo museale così ben definito dalla Riforma, d’altronde è stato da decenni un mio punto di riflessione e proprio qualche anno fa vi era stato un disegno di legge, da me perorato, rimasto fermo in Commissione Cultura del Senato che parlava di un Museo autonomo rispetto alla Soprintendenza.

Ciò ora è stato recepito e credo che in una concezione riformista dei beni culturali si può aprire una nuova stagione di quella progettuale che sappia puntare agli eventi e legare la crisi di una città ad uno sviluppo culturale come impresa progettuale. La città e la cultura sono prerogative per un territorio che vuole crescere oltre le nebbie del Centro Italsider, come diceva nel 1960 Carlo Belli, l’inventore dei Convegni sulla Magna Grecia.

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