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Uno dei crucci di uno scrittore è quello di ideare una storia che sia abbastanza originale da attirare l’interesse dei lettori ed abbastanza realistica da poter essere credibile. Questo per quello che riguarda la fantasia, perché invece il bello della realtà è quello che non deve essere credibile per essere vera anzi, a volte è vero proprio il contrario.

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“Boat people”, una vergogna della umanità

Sono passati poco più di quarant’anni ed è un mondo fa. Non esisteva internet, non esistevano i social network, non esisteva la Rete ma il mondo era ancora diviso tra sfere di influenze, in Italia vivevamo gli anni di piombo e dall’altra parte del mondo migliaia di persone rischiavano la vita alla ricerca di una speranza di vita, abbandonando la loro terra e cercando in mare un futuro migliore.

Di fronte al menefreghismo (quando non peggio) delle altre nazioni, l’Italia concepisce un piano così assurdo che potrebbe addirittura funzionare: inviare nelle acque vietnamite tre navi della Marina Militare – non attrezzate per una simile navigazione e nel periodo meteorologicamente meno adatto – a salvare questi profughi.

Tra cronaca rigorosa e godibilissima invenzione letterari Nicolò Zuliani, con il suo “Il colore della tempesta” (Salani editore) racconta la storia di Domenico, giovane italo-vietnamita che si trova d’improvviso in una storia molto più grande di lui, che lo costringerà a fare scelte, ad interrogarsi sul suo passato e sul suo futuro, a scoprire un mondo che non avrebbe mai immaginato di conoscere.

Tra Trinità e salsedine

Al suo fianco – un po’ alter ego e un po’ Virgilio – c’è Mario, incarnazione dei personaggi resi famosi da Sordi e Gassman, con il suo intercalare finto-spagnolo e la sua cinica visione del mondo, e intorno a lori il mondo del “Vittorio Veneto”, incrociatore lanciamissili che con il suo equipaggio diventano protagonisti di una missione umanitaria che mette a dura prova la logistica, la diplomazia, le regole di ingaggio ma – soprattutto – la proverbiale capacità tutta italiana di offrire una speranza sfidando ogni razionalità.

Chi già conosce la scrittura di Zuliani per averlo letto su diverse testate online negli ultimi anni o per averlo scoperto grazie al “La Storia la fanno gli idioti” ritroverà ne “Il colore della tempesta” le sue cifre caratteristiche, appena un po’ provate dall’impegnativa lunghezza del romanzo rispetto alla fulminante ironia del racconto a cui siamo più abituati.

Compare la citazione di Carlo Fecia di Cossato (insieme a Cosma Manera, un altro protagonista di storie italiane raccontate da Zuliani e che meriterebbero maggiore notorietà), fanno capolino battute e situazioni che potremmo immaginare vissute da Atza, Ario, Luca ed il variegato parterre dei suoi sodali ben conosciuto a chi legge il suo esilarante blog (www.bagniproeliator.com).

Una storia che racconta la Storia

Quella dei profughi vietnamiti accolti in Italia è una storia che fa il paio con quella dei cileni che fuggirono dalla repressione militare negli stessi anni, anche loro accolti da una solidarietà italiana forse meno avvelenata dalla politica o forse solo meno corrosa dal cinismo da social network; storie che sarebbero rimaste solo nella memoria sempre più sbiadita dei protagonisti se non avessero incontrato un narratore preciso e appassionato come Nicolò Zuliani, che al rigore della ricerca storica affianca la capacità di toccare le tante corde delle passioni umane.

Un romanzo da leggere e far leggere; chi ha più di cinquant’anni ritroverà nella propria memoria sprazzi di quelle vicende, chi è più giovane scoprirà un mondo in cui ci si imbarcava a sedici anni e si aveva difficoltà a scrivere una lettere alla propria fidanzata. Tutti – più o meno giovani – ritroveranno problemi, paure e cinismi ancora attuali dopo mezzo secolo, scopriranno una Italia forse un po’ da macchietta ma reale, realissima con i suoi pregi ed i suoi difetti, le sue vigliaccherie e le sue paure, i suoi eroismi e la sua generosità, “un popolo diverso da tutti gli altri, per cui esiste un prossimo che soffre e che per questa causa è capace di sacrificarsi”.

Trieste, estate 1979. Domenico Nguyen-Hun-Phuoc è uno studente italo-vietnamita che sta cercando di convincere la ragazza di cui è innamorato a mangiare una pizza insieme. Peccato lei vorrebbe un Domenico diverso – meno educato, meno pacato, più pronto all’azione politica – e in effetti, tra tanti ventenni che sembrano aver già deciso il proprio ruolo nel mondo, lui si sente un pesce fuor d’acqua. Mezz’ora dopo si trova su un aereo della Marina militare, seduto di fronte a un agente dei Servizi. Dall’altra parte del mondo, gli spiegano, alcune imbarcazioni di fortuna sono alla deriva nel Mar Cinese Meridionale, con centinaia di profughi a bordo in fuga dalle persecuzioni di Ho Chi Minh. Nessuna nazione intende fare niente, e così l’Italia ha deciso di intervenire inviando tre navi per un’operazione di salvataggio senza precedenti. Ma su quelle navi nessuno parla l’inglese, figuriamoci il vietnamita, perciò lo Stato ha bisogno di lui. La sua grande occasione di essere speciale è l’inizio di un’avventura incredibile – eppure vera – che appartiene a un’estate non così lontana e che oggi ci spinge a guardarci allo specchio. Zuliani la ricostruisce grazie a un solido lavoro di ricerca e auna scrittura che respinge ogni tentazione retorica per descrivere ciò che siamo da sempre: un popolo diverso da ogni altro, allegro e rumoroso, capace di bassezze ed eroismi impossibili.

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