C’è un tempio magico nella storia delle civiltà che attraversa sia il mondo Occidentale che quello Orientale.
Visioni che hanno come riferimento soprattutto il mare. Le voci del mare. Dalla premessa dei popoli pre – storici (non solo preistorici) alle culture post – archeologiche. La magia usa dei materiali ben definiti. Due di questi “materiali” sono il pensiero e il linguaggio. Modelli che ancora oggi sono strumenti chiaramente comunicativi. Una comunicazione lunare. Una comunicazione ancestrale. Una comunicazione letteraria. La letteratura ha la potenza di un errare metafisico che penetra gli aspetti antropologici. Il legame tra le culture letterarie Occitana – Provenza e Catalana costituisce una significativa chiave di lettura che permette di penetrare modelli poetici ed espressivi che sono parte viva della identità linguistica occidentale. C’è un rapporto costante tra la poesia provenzale e quella che definiamo occitana con la poesia italiana che annuncia o precede il dolce Stil novo. Il dolce Stil novo si serve degli occhi. La magia degli occhi filtrati attraverso lo specchio dell’anima. Lo sciamano si serve degli occhi, ovvero dello sguardo spirituale per percepire il pensiero. Ci sono modelli cosìddetti retorici e tessuti letterari in cui l’iterazione è abbastanza consistente.
Elementi che abbracciano quella dimensione della cultura poetica che sottolinea il sorgere di un concetto “cortese” anche nella descrizione dei rapporti e nelle versioni delle immagini. È proprio con Guido Guinizzelli e con le sue rime che la cultura italiana entra nel novero di quel rapporto-legame tra eredità provenzale e contesto occitano. Il Provenzale e l’Occitano sono una danza alchemica attraverso l’uso della parola. C’è da dire, come sostiene Costanzo Di Girolamo in I trovatori (Bollati Boringhieri, 1989 – 2002) che “La letteratura provenzale presenta una storia abbastanza tipica rispetto alle altre letterature romanze. Precocemente attestate, e in essa che prende vita la lirica moderna: una poesia d’arte, laica, composta in una lingua volgare. È infatti la lirica il genere egemone che ne domina , a danno di altri generi, la breve esistenza. Il primo trovatore a noi noto, Guglielmo IX d’Aquitania, inizia con ogni probabilità la sua attività poetica negli ultimi anni dell’XI secolo; Guiraut Riuier, che qualcuno ha chiamato l’ultimo trovatore, scrisse la sua ultima poesia nel 1292” . Guiraut Riuier si è servito dell’ascolto. Un ascolto trasformato in attesa. L’attesa in paziente lettura del pensiero alchemico. Il mosaico provenzale ha una profonda eredità occidentale che pone in essere tre realtà culturali e geografiche : quella francese, quella iberica, quella tedesca. In una tale geografia di modelli culturali ciò che emerge costantemente è il concetto di trovatore, ovvero trovare. La magia è un ricercare! Il segno tangibile è che siamo oltre ogni visione storica in quanto si entra in una dimensione in cui il rapporto tempo-fantasia è abbastanza consistente. D’altronde lo stesso verbo “trobar” ci porta ad una spiegazione che è quella di inventare, di creare, di trovare. E questo “trovare-inventare” è una ricerca in un gioco sistematico tra la parola non fine a se stessa ma quella parola che offre melodia, cioè musicalità.
L’alchimia è un ascolto della musica che viene da un orizzonte senza confini. In altri termini il testo poetico veniva proposto come una canzone. La canzone dettata dalla luna, dal cielo, dalle ombre. Si pensi ai testi di Jaufre Rudel che esprimono un tempo della malinconia fatto di una liricità tipica che è quella trobadorica. Ma anche nelle poesia di Marcabru si caratterizzano per una insistenza di elementi mitico – cristiani il cui dato lirico è assorbito come metafora e proiettato come immagine. Siamo in una temperie nella quale l’Occidente è difesa di Umanesimo e gli scorrimenti lirici sono una attrazione che va dal cavaliere alla donna. Il canto d’amore assume quelle sembianze che sono dettate dal segno della nobiltà. Così nel canto cortese. Non mancano sia i segni di una ironia toccante come in Bernart de Ventadorn o il tradizionalismo classico di Peire Rogier. Un intercalare quasi affabulistico che si definisce nella recita costante di una malinconia in cui amore e lontananza sono i riferimenti fondamentali. Fa da sfondo a tutto questo lo straordinario recitativo che sviluppa la storia di Tristano che verrà ripresa più volte nelle diverse epoche successive, ma il racconto de Tristan di Thomas appartiene probabilmente a quel frangente di anni che va dal 1170 al 1175. un labirinto scenario di specchi tra il pensiero e lo sguardo. Tristano e Isotta definiscono non una nostalgia ma la ferita di un amore che attraverserà tutto il cantico dei sognatori innamorati. In pieno clima duecentesco o in un clima che prepara ciò che leggeremo nella Vita nova di Dante. Lo stesso Dante non è assolutamente immune da radicamenti provenzali o da atteggiamenti lirici che ci riportano ad una ispirazione “sirventese”. Un diario alchemico in cui i simboli sono espressione della magia. In questo modello di poesia ciò che colpisce è soprattutto la forma di recitazione. Meglio sarebbe la teatralità. La teatralità che è voce e gestualità e contraddistinguono anche un modo di fare poesia attraverso il recupero di una parlata che è tutta dentro le radici – magie di un popolo. In fondo ci troviamo in una cultura che è cultura di popolo espressa grazie a una forma pittoresca di un poeta, o meglio di un trovatore che potrebbe essere definito come un viandante.
Uno dei poeti che ha innovato questo percorso è stato chiaramente Raimbaut de Vaqueiras il quale sottolinea il modello di una canzone cortese in una missione alchemica vera e propria. L’intreccio tra il mondo catalano e quello occitano è una forza stilistica che offre organicità ai modelli dei canzonieri. Problematicità dei temi affrontati e studio della lingua costituiscono il destino vero di una proposta di civiltà letteraria che assume valenze autenticamente poetiche certamente, ma di una poesia che ha i linguaggi della luna e del cielo. Guido Guinizzelli ha assorbito questo tessuto. La visione Occitana ha il canto delle allegorie che sono metafore di sensualità magica. La tradizione occitanica è un vento lirico che coinvolgerà quasi tutta la scuola siciliana in una interpretazione esplicitamente trobadorica. La funzione che ha avuto Peire Vidal con la sua canzone è una interpretazione essenziale. Chi si inserirà in questo spaccato pur con una impostazione articolata è anche Guido Cavalcanti. Il poeta dei simboli e delle allegorie, ma anche di una filosofia che intreccia cuore e anima in un “presenza del sensibile. Si può ben dire che la poesia ha un debito nei confronti della cultura che proviene dalla Provenza e che porta dentro una perseveranza magica. È evidente l’intelaiatura tematica e lirica di una presenza in cui la cultura catalana e occitana incide notevolmente nel sostrato poetico e meta – poetico di una poesia che è frutto di un mosaico fantastico allegorico giullare. Siamo nel campo della poesia che viene considerata chanson. Lo dimostrano anche i versi di Bertran de Born, di Comtese Beatriz de Dia, di Arnaut Daniel. Una chanson si divide in de croisade e de toile. Nella prima c’è una esortazione nei confronti dei cristiani i quali vengono invitati a partecipare alle guerre sante.
Nella seconda invece si raccontano gli amori nel ricordo dell’amato morto. In entrambi si intrecciano il sacro e il profano, ovvero il religioso di una antropologia alchemica. Una poetica il cui senso lirico è appunto il canto. Un canto che, comunque, non fa a meno dei luoghi, di quei luoghi che costituiscono il respiro e il sollievo di un cantare le pieghe del tempo e del tempio e i giorni della vita come alcuni anni più tardi farà un grande scrittore provenzale – alchemico che risponde al nome di Fredèric Mistral. Uno scrittore che ha saputo raccogliere le istanze di una ricca e importante tradizione nel cui orizzonte letterario si ascolteranno le voci e gli echi, i suoni e i sentimenti di una eredità culturale che continua a vivere tra i segni mai dimenticati di una appartenenza che è, profondamente, culturale, metafisica, espressivamente alchemica e umana In Mistral la Provenza e la dimensione della Catalogna rappresentano dei riferimenti ben visibili e catturabili sia attraverso i personaggi sia attraverso il paesaggio sia attraverso alcune forme iterative che hanno un forte spessore sul piano valoriale della parola. La “memoria” alla quale fa riferimento Mistral proviene direttamente da quella stagione pre – medievale e medievale che è il disegno di un canto lunare di tutta la cultura provenzale – occitana e catalana.
La magia del linguaggio lunare ha voci caratterizzanti. La poesia diventa la magia che fa incontrare il cielo con la terra. La luna con il tempio dell’anima.